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Giovanni Valentini
Quei piromani criminali
28 Luglio 2009
Articoli del 2009
Ritorna la piaga degli incendi dolosi estivi, programmati e gestiti dalla speculazione edilizia. Su la Repubblica, 28 luglio 2009 (m.p.g.)

Cominciamo a non chiamarli più "piromani". La piromania è una mania incendiaria, un impulso irrefrenabile di dare fuoco alle cose. E come il cleptomane non è un ladro, così il piromane non è automaticamente un delinquente. Meglio, allora, chiamarli incendiari, terroristi, criminali delle fiamme.

Dalla Sardegna fino alla Puglia, alla Calabria e alla Sicilia, l’offensiva del fuoco che assedia ancora una volta il Belpaese - con il favore del caldo torrido e del vento forte - non è né una calamità naturale né tantomeno un evento imprevedibile. Qui si tratta precisamente di dolo, di incendi dolosi, innescati puntualmente da una volontà efferata di distruzione e di speculazione, spesso nelle stesse regioni o addirittura nelle stesse località. Quello che abbiamo di fronte è un esercito clandestino di malviventi; una "mafia occulta" che va combattuta con le armi della legge, della prevenzione e della repressione.

La prevenzione, innanzitutto. Cioè il controllo del territorio, la sorveglianza da parte delle forze dell’ordine, del Corpo forestale dello Stato, della Protezione civile. Magari con l’ausilio di tutti gli strumenti – elettronici e telematici – che la moderna tecnologia mette a disposizione. E purtroppo, su questo primo punto, si deve lamentare un’evidente carenza dell’apparato pubblico, una mancanza di efficacia e di tempestività: sia nell’attività preventiva di vigilanza e di controllo sia in quella d’intervento per circoscrivere e spegnere i roghi.

Poi, la repressione. Non solo, ovviamente, quella di carattere giudiziario che spetta alla magistratura penale e agli organi di polizia, per perseguire il reato di incendio boschivo introdotto nel 2000, sotto il governo Amato, da un decreto-legge dell’allora ministro dell’Agricoltura, Alfonso Pecoraro Scanio. Ma anche quella di ordine amministrativo che deve sanzionare i responsabili sul piano più economico e materiale. Vale a dire risarcimento dei danni, sequestro dei conti correnti, confisca dei beni.

E infine, bisogna rendere più rigoroso ed effettivo il blocco delle aree colpite, in modo da impedire qualsiasi iniziativa edilizia per i successivi dieci, quindici o vent’anni, sulla base del catasto degli incendi che molti Comuni non hanno mai realizzato. Così si può sperare di stroncare la speculazione che prima distrugge i boschi, gli alberi, le piante; poi semina il cemento delle lottizzazioni e delle villette sui terreni arsi dal fuoco.

Soltanto in Sardegna, secondo i primi calcoli degli amministratori locali, al momento i danni ammontano a ottanta milioni di euro. Ma quanto valgono in realtà quindicimila ettari di macchia mediterranea, per la collettività locale e nazionale? Quali sono le conseguenze sull’ecosistema, cioè sull’ambiente, sull’atmosfera, sull’aria che respiriamo? E quanto tempo occorrerà per rimboscare, per ripristinare l’habitat naturale, per tentare di ricostituire un patrimonio di per sé irriproducibile?

C’è, evidentemente, un modello inaccettabile di consumo del territorio all’origine di tutti questi incendi estivi. Una programmazione perversa che, in forza della speculazione e del profitto, tende a privatizzare un bene pubblico inalienabile – come l’ambiente e il paesaggio – che invece appartiene a tutti i cittadini. Il fuoco, appiccato dalla manovalanza criminale, è lo strumento di un’operazione finanziaria che fa capo – come denuncia l’ex governatore sardo, Renato Soru – alla "lobby dei cementificatori".

È l’intero Paese a rimetterci, non solo le regioni più direttamente colpite: anche in termini di sicurezza, di immagine, di attrattiva turistica. E in particolare, il nostro povero Sud, già penalizzato da una politica governativa che tende ad aggravare il deficit strutturale, ad aumentare le distanze, a deprimere ulteriormente l’economia meridionale. Ecco perché questa ennesima emergenza estiva diventa, con tutte le sue implicazioni e connivenze, la metafora di un’Italia spaccata in due, dal caldo e dalle fiamme, dall’incuria e dalla criminalità.

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