Francesco ha voluto evidenziare una cosa che questo giornale sostiene da sempre: che non c’è accoglienza senza integrazione; senza la capacità di dare casa, lavoro, reddito, scuola e servizi sociali a chi si è visto costretto a cercare tra noi rifugio o speranza di sopravvivere. Ha anche ricordato che la questione dei profughi e dei migranti, insieme a quella del clima – tra loro strettamente legate – è la questione centrale del nostro tempo: tanto per il «cuore», cioè per lo spirito da cui ciascuno di noi si deve sentire guidato, quanto per la «politica», cioè per le scelte che ogni paese deve fare.
Ricevere, dice Francesco, è un comandamento di Dio, perché «tu sei stato schiavo – migrante – in Egitto». Ma poi, è come se Mosè, nel sottrarre il suo popolo al dominio del faraone, ne avesse lasciata in Egitto una buona metà, perché nella terra promessa «non c’è posto per tutti»; magari per poi aiutarli là, «a casa loro». Ma dicendo «Primo: quanti posti ho?», Francesco ha perso una grande occasione, che forse lo separerà, lasciandoli più soli di quel che già sono, da quanti cercano di andare alla radice del problema, perché solo così lo si può affrontare se si vuole aprire una prospettiva vincente.
Il fatto è che «i posti» per i nuovi arrivati non sono in numero fisso; questo dipende dalle scelte politiche. Per il fascista Orbán, e per i governi del gruppo di Visegrad, non ce n’è neanche uno. Per la Germania sembrava che ci fossero senza limiti. Ma poi, lasciata sola, anche la Germania ha stretto lei il passaggio.
Ma quello che a Francesco certo non sfugge è il fatto che il ministro Minniti e il governo italiano, i posti che non vogliono o non riescono a creare in Italia non sono andati a cercarli in Europa – dove peraltro la maggior parte dei nuovi arrivati vorrebbero andare – adoperandosi per forzare le chiuse dell’Unione e dei loro governi con tutti i mezzi a propria disposizione; cioè mettendo in chiaro che da ciò dipende non solo la coesione, ma la sopravvivenza stessa dell’Unione. Perché un’Europa sigillata come una fortezza assediata è destinata a finire in mano alle destre nazionaliste e xenofobe: scioviniste non solo nei confronti dei profughi, ma di tutte le altre nazioni europee.
Forse su una distinzione così importante occorre porsi una domanda elementare: un’adolescente nigeriana, venduta dalla sorella ai gestori della tratta, o reclutata dagli stessi con la promessa di un lavoro, e poi violentata in modo seriale, sia in Libia, da prigioniera, che, da schiava del sesso, in Italia (il paese al primo posto nel mondo per turismo sessuale, con nove milioni di maschi adulti frequentatori abituali di prostitute), magari preservando la sua verginità per il primo cliente, come raccontato nel bel reportage di Francesca Mannocchi sull’Espresso, è una profuga o una «migrante economica»? E la stessa domanda si può porre a proposito di decine di migliaia di uomini sfruttati in modo bestiale nelle campagne e nei retrobottega dei ristoranti, o definitivamente lasciati per strada, per i quali quella è comunque la loro ultima chance di sopravvivenza.
Il fatto è che le barriere frapposte all’arrivo di un popolo che fugge dai rispettivi paesi perché là non può più vivere, affrontando non solo un viaggio pieno di rischi e violenza, ma anche un futuro di emarginazione e miseria (perché che cosa li aspetti una volta «arrivati» in Italia non sfugge più a nessuno), non sono fatte solo di reti, di filo spinato, di cani inferociti e di guardie armate, né solo di accordi con banditi vestiti da Guardia costiera o da sindaci libici.