la Repubblica
La leggenda del premier eletto dal popolo
di Ilvo Diamanti
"Presidente eletto dal popolo". Così si definisce Silvio Berlusconi. Sempre più spesso, da qualche tempo. Per rivendicare rispetto dai molti nemici che lo assediano.Ma, al tempo stesso, per marcare le distanze dall´altro presidente. Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica. Il quale, al contrario, è "eletto dal Parlamento". Anzi da una parte di esso. Perché Napolitano non è "super partes", ma di sinistra. Come tutte le altre istituzioni dello Stato. Corte Costituzionale e magistratura in testa. Non garanti. Ma soggetti politici. Di parte. Per questo Berlusconi non ne accetta le decisioni, ma neppure il ruolo. In pratica: considera le istituzioni dello Stato – e quindi la Costituzione – inadeguate. Peggio: illegittime. Meno legittime di lui, comunque. Presidente eletto dal popolo.
Queste affermazioni, sostenute a caldo e a tiepido dal premier, dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, si fondano su premesse discutibili, anzitutto sul piano dei fatti. Dati per scontati. Che scontati non sono.
Il primo fatto è che Berlusconi sia un presidente "eletto dal popolo". È quanto meno dubbio. Perché l´Italia non è (ancora) un sistema presidenziale. I cittadini, gli elettori, votano per un partito o per una coalizione. Non direttamente il premier o il presidente. Anche se, dopo il 1994, abbiamo assistito a una progressiva torsione delle regole elettorali e istituzionali in senso "personale". Senza bisogno di riforme. Così, nella scheda elettorale, accanto ai partiti e alle coalizioni viene indicato anche il candidato premier. (Come ha lamentato, spesso, Giovanni Sartori). Tuttavia, non si vota direttamente per il premier, ma per i partiti e gli schieramenti. Silvio Berlusconi, per questo, non è un presidente eletto dal "popolo". Semmai dal "Popolo della Libertà". Da una maggioranza di elettori, comunque, molto relativa. Alle elezioni politiche del 2008 il partito di cui è leader Berlusconi, il Pdl, ha, infatti, ottenuto il 37,4% dei voti validi, ma il 35,9% dei votanti e il 28,9% degli aventi diritto. Intorno a un terzo del "popolo", insomma. Peraltro, prima di unirsi con An, fino al 2006, il partito di Berlusconi era Forza Italia, che non ha mai superato il 30% dei voti (validi). Al risultato del Pdl si deve, ovviamente, aggiungere il 10% (o l´8%, a seconda della base elettorale prescelta) ottenuto dalla Lega. I cui elettori, però, non hanno votato per Berlusconi. Visto che al Nord la Lega ha sottratto voti al Pdl, di cui è alleata e concorrente. E quando ha partecipato al governo (come in questa fase) si è sempre preoccupata di fare "opposizione". Questa considerazione risulta ancor più evidente se si fa riferimento al risultato delle recenti europee. Dove si è votato con il proporzionale e con le preferenze personali. Il Pdl, il partito di Berlusconi, ha infatti ottenuto il 35,3% dei voti validi, ma il 33% dei votanti e il 21,9% degli aventi diritto. Lui, il Presidente, ha personalmente ottenuto 2.700.000 preferenze. Il 25% dei voti del Pdl, ma meno del 9% dei votanti. Il risultato "personale" più limitato, dal 1994 ad oggi.
Tutto ciò, ovviamente, non intacca la legittimità del governo e del premier. Semmai la sua pretesa di interpretare la "volontà del popolo".
D´altronde, si vota una volta ogni cinque anni, mentre i sondaggi si fanno quasi ogni giorno. Per cui, più che sul voto, il consenso tende a poggiare sulle opinioni. Sulla "fiducia". Ma stimare la "fiducia" dei cittadini è un´operazione difficile e opinabile. Che non coincide con il consenso elettorale. Non si capirebbe, altrimenti, perché, se davvero – come sostiene Berlusconi – il 70% degli italiani ha fiducia in lui, alle recenti elezioni europee il Pdl si sia fermato al 35%, la coalizione di governo al 45% e le preferenze personali per il premier al 9% (dei voti validi).
La fiducia, inoltre, è difficile da misurare. Per ragioni sostanziali, ma anche metodologiche. Soprattutto attraverso i sondaggi. Dipende dalle domande poste agli intervistati. Dagli indici che si usano. Alcuni fra i principali istituti demoscopici (come Ipsos di Nando Pagnoncelli e Ispo di Renato Mannheimer) utilizzano una scala da 1 a 10, per analogia al voto scolastico. Per cui l´area della "fiducia" comprende tutti coloro che danno a un leader (o a un´istituzione) la sufficienza (e quindi almeno 6). Oggi, in base a questo indice, circa il 50% degli italiani esprime fiducia nel premier Berlusconi (le stime di Ipsos e Ispo, al proposito, convergono). Mentre a fine aprile, dopo il terremoto in Abruzzo, superava il 60%. Ciò significa che negli ultimi mesi la "fiducia" del popolo nel premier si è ridotta, anche se risulta ancora molto ampia. Tuttavia, anche accettando questi indici, un 6 può davvero essere considerato un segno di "fiducia"? Ai miei tempi, nelle scuole dell´obbligo – ma anche al liceo – era una sufficienza stretta. Come un 18 all´università. Che si accetta per non ripetere l´esame. Ma resta un voto mediocre. Basterebbe alzare la soglia, anche di pochissimo, un solo punto. Portarla a 7. Per vedere la fiducia nel premier (e in tutti gli altri leader) scendere sensibilmente. Al 37%. Più o meno come i voti del Pdl. Con questi dati e con queste misure appare ardita la pretesa del premier di parlare in "nome del popolo". Tanto più che, con qualunque metro di misura, il consenso personale verso il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, risulta molto più elevato. Fino a una settimana fa, prima della recente polemica, esprimeva fiducia nei suoi confronti circa l´80% degli italiani, utilizzando come voto il 6. Oltre il 50%, con una misura più esigente: il 7. Lo stesso livello di consenso raccolto dal predecessore, Carlo Azeglio Ciampi. Anche da ciò originano le tensioni crescenti tra il premier e il Presidente della Repubblica. Nell´era della democrazia del pubblico. Maggioritaria e personalizzata. Dove i media sono divenuti lo spazio pubblico più importante. E il consenso è misurato dai sondaggi. Nessuno è "super partes". Sono tutti "parte". Tutti concorrenti. Avversari o alleati. Amici oppure nemici. Anche Napolitano, soprattutto Napolitano. Per la carica che occupa e la fiducia che ottiene. Agli occhi di Berlusconi, impegnato a costruire la leggenda del "presidente votato e voluto dal popolo". Non può apparire amico.
Corriere della sera
Lodo, no dal 72 per cento. Consensi alti al premier
di Renato Mannheimer
Agli italiani, ormai da molti anni, non piacciono — a torto o a ragione — i privilegi concessi agli esponenti politici. Quando, in occasione di tangentopoli, venne revocata l’immunità parlamentare, l’opinione pubblica reagì con soddisfazione. Da allora il «sentimento» è rimasto per molti versi lo stesso. Per questo, non sorprende più di tanto il fatto che, di fronte al quesito relativo ai benefici previsti dal Lodo Alfano, l’ampia maggioranza della popolazione (72%) bocci il provvedimento. In particolare, il 58% dichiara di non condividere «per nulla» la legge in questione: a costoro si affianca il 14% che afferma comunque di condividerla «poco».
Manifesta invece il proprio consenso per la legge poco meno di un italiano su quattro (24%) (è bene ricordare che gran parte dei giudizi espressi dalla «gente comune» sono formulati solamente sulla base della propria impressione, del proprio generico orientamento, senza particolari competenze in campo giuridico o, talvolta, politico).
Risultano particolarmente in disaccordo col provvedimento i più giovani, specie se laureati, i residenti al Nord-Ovest e, in generale, nelle grandi città. Ma il dato più significativo — e inaspettato per alcuni — concerne l’orientamento politico.
Non sorprende, infatti, la grande percentuale di contrari tra gli elettori del Pd e dell’Idv (86%). Ma colpisce il fatto che i votanti per il centrodestra risultino assai più divisi fra loro, tanto da suggerire l’esistenza, di una vera e propria frattura di opinioni al loro interno. Se è vero, infatti, che grosso modo metà degli elettori per la coalizione di governo (45% per il Pdl, 42% per la Lega) manifesta il suo sostanziale accordo col provvedimento, è vero anche che una percentuale simile (anche se lievemente maggiore: 51%) esprime al contrario perplessità.
Si tratta di una delle rare volte in cui si intravede l’emergere di dubbi diffusi all’interno dell’elettorato di centrodestra su di un provvedimento proposto dal governo. Può essere il segnale del principio di una più generale disaffezione, ma, molto più probabilmente, è solo la reazione isolata ad un singolo provvedimento, i cui contenuti risultano poco condivisi dalla «cultura politica» degli italiani, compresa buona parte dell’elettorato di centrodestra. Insomma, le perplessità paiono riguardare soprattutto il merito della legge in sé. Tanto che il livello di popolarità del presidente del Consiglio non pare essere stato intaccato da quanto è accaduto. Il consenso per Berlusconi, rilevato proprio il giorno dopo gli episodi e le esternazioni seguite alla bocciatura del Lodo, risulta infatti sostanzialmente simile a quanto emerso il mese precedente e rimane poco sotto il 50%.
In definitiva, malgrado tutto — le polemiche, i toni aspri, le proteste — la fiducia popolare nel Cavaliere pare restare assai diffusa (anche se con un lieve decremento rispetto ai livelli raggiunti la scorsa primavera). E’ quantitativamente molto inferiore a quella riscossa dal presidente della Repubblica (che gode del favore dell'88% dei cittadini), ma rimane elevata, tanto da superare ancora oggi quella relativa a molti presidenti del Consiglio del passato. Insomma — sorprendentemente per molti osservatori italiani e stranieri — il Cavaliere continua a mantenere il proprio legame col suo elettorato, anche se si accresce di intensità la disapprovazione nei suoi confronti tra i suoi oppositori. Senza che, tuttavia, il loro numero si sia sin qui ampliato più di tanto.