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Renzo Cassigoli
Quando Michelucci proponeva un’altra idea di città
6 Gennaio 2009
Firenze
Il verde non come accessorio decorativo, ma come elemento costitutivo della città: come ci insegnava Cederna in quegli stessi anni. Da l'Unità, ed. Firenze, 11 novembre 2006 (m.p.g.)

Sono state molte le iniziative per ricordare la disastrosa alluvione di quarant’anni fa. Iniziative importanti che culmineranno, penso, nell’incontro in difesa dell’ambiente e degli ecosistemi urbani (domani in Palazzo Vecchio) nel corso del quale sarà solennemente firmato l’appello delle città di Firenze, New Orleans, Dresda, Budapest e Venezia, per la salvaguardia del pianeta e dei patrimoni culturali.

Forse, però, è mancato un ricordo importante: l’inascoltata proposta, che Giovanni Michelucci lanciò all’indomani della catastrofe, di ripartire dalla ricostruzione del quartiere di Santa Croce, uno dei più devastati, per risanare una parte importante del centro storico e riproporre così un’idea di città «aperta», non più costruita per parti separate e ghettizzanti. L’idea - già proposta all’indomani della distruzione di Borgo San Jacopo ad opera dei nazisti in fuga - era quella di un uso popolare degli spazi, le cui parti potevano essere collegate da «percorsi».

Un’idea semplice, che riproponiamo con le parole del Grande Vecchio dell’Architettura, tratte dalla conversazione raccolta nel libro Abitare la natura, edito da Ponte alle Grazie nel 1991. «Proponevo qualcosa di più di un semplice pensiero architettonico - spiegava Michelucci - Era una nuova Firenze, quella a cui pensavo. Non più separata in due parti da un fiume ostile, ma unita da un percorso che, per orti e giardini, da Boboli per San Frediano, attraverso l’Arno arrivasse all’orto di Santa Croce, nel cuore del quartiere, riscoprendo quel verde che, come ho sempre sostenuto, non si può “mettere” nella città: ne fa già parte. Pensavo di affrontare la rinascita di quel quartiere da sempre segnato dall’emarginazione, cercando oltre la sopravvivenza, anche gli elementi dinamici della storia. L’alluvione, per esempio, aveva messo in evidenza come i viali del Poggi non fossero solo un anello utilissimo di scorrimento fra la vecchia e la nuova città, ma anche un elemento di sviluppo il quale, organizzando lo spazio fra le Murate e San Salvi, avrebbe fatto assumere a Santa Croce la funzione di collegamento e di avamposto della memoria storica al di là dei viali. Altro che sopravvivenza! Era nuova una vita per il quartiere e l’intero centro storico. Era la fine della separatezza fra l'antico quartiere e la parte ottocentesca della città. Ma così non fu - concludeva amaramente Giovanni Michelucci - C’è stata un’ostilità nei miei confronti che non ho mai capito. Forse perché andavo capovolgendo la città e con essa alcuni interessi costituiti».

Probabilmente come quelli che ancora oggi sembrano dominare Firenze, ormai senza un’idea di città.

Per questo, forse, è imbarazzante ricordare il Grande Vecchio dell’Architettuta scomparso alla vigilia del suo centesimo compleanno.

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