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Eugenio Scalfari
Quando la cura è peggiore del male
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Come Tremonti ha messo la corda al collo dell'economia italiana, come si può uscirne, nell'analisi del fondatore di Repubblica, nel numero dell'11 luglio 2004

Quando critichi questa manovrina-stangatina che nel 2005 dovrà inevitabilmente trasformarsi in una manovrona-stangatona, ti senti obiettare: c´era forse una soluzione alternativa? Siete in grado di proporla? Coraggio, fuori la proposta.

In realtà sì, c´era una soluzione alternativa; c´erano molte soluzioni alternative, ma c´era soprattutto una premessa alternativa: non bisognava arrivare a questo punto, non bisognava imboccare tre anni fa questa politica economica e finanziaria dissennata, fondata su presupposti miracolistici inesistenti e ingannevoli. Se una persona è debole di cuore o di polmoni e se la si cura per tre anni con salassi e fanghi caldi riducendola uno straccio, è poi difficile rimetterla in piedi dallo stato di prostrazione in cui è precipitata. Il medico ha sbagliato fin dall´ inizio e invece di guarirlo rischia di ammazzare il suo paziente.

La cura Tremonti è stata esattamente questo: quando l´esperto fiscalista fu insediato sulla poltrona di Quintino Sella, la finanza e l´economia italiane erano state da poco dimesse dall´ospedale. Erano tornate in buona forma e facevano rispettabile figura tra i dodici paesi dell´euro e tra quelli del Gruppo dei Sette. La finanza pubblica era tornata solida, la cura Ciampi aveva risanato il bilancio, le partite correnti registravano un consistente attivo.

L´altissimo debito pubblico ereditato dalla gestione del decennio Forlani-Cossiga-Spadolini-Craxi-Andreotti era stato fermato ed era cominciata una virtuosa tendenza discendente. Inflazione e tassi d´interesse erano tornati alla normalità. La lira infine era stata convertita nella moneta europea comune. A questo punto, per legittima volontà del popolo sovrano, la barra del timone cambiò mano e passò all´accoppiata Berlusconi-Tremonti. Cominciò una fase radicalmente nuova. L´economia italiana e i suoi operatori, risparmiatori, contribuenti, furono lusingati e indotti a comportarsi sconsideratamente: la pace sociale fu stracciata, la concertazione abolita e relegata tra i ferri vecchi, il sindacato umiliato e incattivito. L´asse della politica economica fu spostato di 180 gradi, l´opera di risanamento abbandonata.

La conseguenza fu che le entrate rallentarono il passo, il fabbisogno si accrebbe e con esso aumentò il livello del debito pubblico. Ma poiché l´impegno era stato quello di arrivare ad una generale e radicale diminuzione della pressione fiscale, cominciando soprattutto a liberare gli spiriti animali dei ceti più ricchi, si ebbe come conseguenza che il finanziamento del fabbisogno di cassa e del disavanzo di competenza furono affidati ai condoni, alle vendite dei cespiti di patrimonio, alle anticipazioni bancarie sulle entrate future. In tempi di vacche magre ed anzi magrissime si scommise sul futuro facendo apparire un presente roseo che in realtà aveva colori di tutt´altra natura.

Perciò la domanda: esiste una alternativa alla stangata di oggi, è mal posta. La risposta è l´antico monito che s´impartisce a chi è stato bocciato agli esami: «Oportebat studuisse», bisognava aver studiato.

* * *

Allo stato in cui è arrivata la finanza italiana, con un rapporto deficit/Pil ormai oltre la soglia del 3 per cento, valutato al 3.5 dalle maggiori istituzioni di analisi internazionali e addirittura oltre il 4 nell´anno venturo, è evidente che una manovra sulla spesa e sulle entrate fosse indispensabile.

L´assurdo consiste nel fatto che ancora nel maggio scorso il "premier" negò perfino l´ipotesi di una qualsiasi operazione di bilancio e il suo ministro dell´Economia fu del medesimo avviso. Va bene che gli italiani sono scordarelli, ma c´è un limite. La frase «i nostri conti vanno benissimo» è stata detta addirittura da Berlusconi e dal suo "doppio" Tremonti ancora nel giugno e ancora la sera prima che il ministro dell´Economia si dimettesse.

Quando il nostro "premier" divenuto anche ministro interinale dell´economia è tornato dalla riunione dell´Ecofin di lunedì scorso, sembrò - stando ai resoconti televisivi della Rai e di Mediaset - che tornasse vincitor come il Radames dell´Aida. Marcia trionfale. Accordo completo a Bruxelles. Conti in perfetta regola come avevano sempre predicato e conclamato i Tremonti, i Bondi, i Cicchitto, gli Schifani.

Ma che cosa in realtà era accaduto all´Ecofin e che cosa è stato formalizzato venerdì dal Consiglio dei ministri? Era accaduto che il premier aveva assunto l´impegno in una assise internazionali a realizzare entro dieci giorni una manovra da 7,5 miliardi di tagli di spesa e di aumento di entrate. E questo è stato formalizzato nel decreto di venerdì. Dunque era completamente falso che i nostri conti andassero bene. I conti andavano male anzi malissimo e continuano ad andar male anzi malissimo anche dopo la manovra realizzata in modo insufficiente e sbagliato.

Il benestare dell´Ecofin non entra nel merito ed è motivato semplicemente dal fatto che in ogni caso abbiamo per ora evitato di superare la soglia del 3 per cento.

L´abbiamo evitato attraverso provvedimenti depressivi che frustano un cavallo anemico per indurlo a correre come fosse il destriero di Orlando. Ma non è il destriero di Orlando, è un ronzino sfiatato che avrebbe avuto bisogno di ben altre cure e questa è l´amara verità che tuttora continua a non venir detta al paese da quel raggruppamento politico che, come ha detto salacemente il governatore del Lazio Storace, si è trasformato in un «Casino delle libertà».

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Sono stati tagliati 1 miliardo e 250 milioni di euro di incentivi alle imprese. L´80 per cento di questo taglio riguarda imprese operanti nel Mezzogiorno. Ma quel che è peggio non è soltanto il taglio alla legge 488 e ad altre provvidenze incentivanti, ma il blocco imposto alle erogazioni del ministero delle Attività produttive. Doveva erogare 1 miliardo e 750 milioni ma ora tutto dovrà slittare al 2005 insieme ai bandi di concorso delle imprese e a 45 mila posti di lavoro previsti. Le regioni più colpite sono Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia.

Un altro dei capitoli della manovra è l´aumento delle imposte su assicurazioni, banche, fondazioni, per 1300 milioni di euro che si riverseranno inevitabilmente sui costi dei servizi (polizze, interessi sui prestiti, etc.).

Infine i 2 miliardi di euro che dovranno venire anche da vendite di immobili dello Stato riaffittati dallo Stato stesso costituiscono un´operazione basata anch´essa su un´assurdità. Si aggravano le spese correnti per pagare i canoni di affitto e le si alleggeriscono vendendo cespiti patrimoniali. Con un debito pubblico ai livelli enormi che conosciamo le vendite di cespiti patrimoniali dovrebbero essere mirate a ridurre lo stock del debito e non le spese correnti. Risulta francamente incomprensibile l´adozione di un criterio di questo genere.

Ciò che tuttavia non è stato chiarito al pubblico consiste nel fatto che le misure strutturali contenute nella manovra riguardano il secondo semestre 2004. Taglio di spese e aumento di imposte si ripeteranno inevitabilmente raddoppiate nel 2005 mentre la parte non strutturale della manovra (vendite di cespiti patrimoniali e rinvio nelle erogazioni dei ministeri) dovranno essere rimpiazzate con altri tagli e altre imposte.

Domenica scorsa scrissi che per mantenere nel 2005 il rapporto deficit-Pil entro la soglia del 3 per cento sarebbe stata necessaria un´altra manovra da due punti di Pil. Quella attuale è di un punto scarso e depurata dai 2 miliardi di una tantum scende a mezzo punto. Ci attende dunque nel 2005 un´altra stangata di oltre 20 miliardi di euro. Ecco i primi esiti d´una gestione che ci ha portato sull´orlo del disastro finanziario.

* * *

C´era, sì, l´alternativa ed era quella di adottare fin dall´inizio misure di sostegno dei redditi familiari e di incentivare i crediti al consumo e alle imprese. Era il solo modo per rilanciare la domanda in una fase congiunturale depressa, migliorando per questa via sia la dinamica del Pil sia, di conseguenza, il rapporto deficit-Pil.

Questa strada non è preclusa anche se il ritardo nell´imboccarla dopo tre anni di dilapidazione delle risorse la rende oggettivamente più difficile.

L´idea di un fondo rotativo finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti è positiva se verrà adottata rapidamente e affidata alla gestione del sistema bancario, senza peraltro che ciò giustifichi ulteriori tagli agli incentivi a fondo perduto.

Non ci sono scorciatoie in politica economica, né miracoli. Sono tre anni che ripetiamo questi suggerimenti di buona amministrazione. Quello che manca oggi non sono le idee né gli esempi. Mancano nella gestione delle pubbliche finanze persone come Ciampi, Andreatta, Visco. Si vede. Eccome se si vede

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