Nei mezzi su gomma, il pianale ribassato – ed eventualmente le piattaforme elevatrici – fanno a volte o’miracolo, soprattutto se l’autista accosta bene il mezzo a marciapiedi alti almeno 30 centimetri come spesso sono quelli alle fermate del tram su rotaie, però il combinato autista-autobus-marciapiede non sempre è collaborativo.
Per i treni, invece, il macchinista si accosta automaticamente al marciapiede, ma se questo è basso (la vecchia misura italiana è 25 centimetri sul piano del ferro) c’è poco da fare, la “scalata” è garantita anche se il treno ha il pianale basso. E pensare che le prime carrozze con le porte a 60 centimetri dal piano del ferro (le celeberrime pianale ribassato) furono ordinate nei primi anni Sessanta – una vera novità per l’epoca – e divennero di uso abbastanza comune negli anni Ottanta. In seguito, dopo vari lotti di carrozze ed elettromotrici più (o meno) indovinate e affidabili, tutte però con il pianale alto, da quasi venti anni il nuovo materiale rotabile del trasporto regionale, sia di Trenitalia che delle imprese “regionali”, ha una buona parte del pianale basso, con porte a 55-60 centimetri sul piano del ferro. Sono i tipi EtrY0530 di Fiat, Taf e Tsr di Ansaldo, Vivalto di Corifer, Flirt e Gtw di Stadler, Atr 220 di Pesa, Coradia di Alstom, Civity di Caf, Alfa2 di Firema.
I treni ad alta velocità, a cominciare da Etr 1000 (“Zefiro” di Bombardier) e Agv di Alstom, invece, hanno il pianale alto e la fretta con cui sono stati ordinati è sospetta: ci si è riforniti prima della entrata in vigore, all’inizio del 2013, delle specifiche tecniche di interoperabilità relative alle persone con ridotta mobilità? Parallelamente si vanno diffondendo (con molta lentezza) sia sulla rete in gestione a Rfi sia sulle reti “regionali” i marciapiedi alti 55 centimetri sul piano del ferro. Quando treni e marciapiedi “giusti” finalmente si incontrano, l’incarrozzamento è rapidissimo, come in metropolitana, e un eventuale cliente a ridotta capacità motoria può salire o scendere senza bisogno di assistenza.
Ascensori o rampe?
Certo tutto questo non basta, è bene che sul treno vi sia anche un’area dove si possano ancorare una o più sedie a rotelle, un bagno accessibile e, se si tratta di una stazione importante o comunque di località con sottopassaggio, dovrebbe esserci anche un ascensore o le rampe a pendenza adeguata. E qui il problema diventa spinoso. Rete ferroviaria italiana ha deciso unilateralmente di installare “elevatori” o ascensori solo a patto che il comune o un altro ente o società pubblica si accollino l’onere della manutenzione ordinaria e (soprattutto) del servizio di pronto intervento in caso di guasto e per liberare persone imprigionate. Dato che si tratta di circa 10mila euro all’anno per ascensore, è evidente che pochissimi comuni si sobbarcano la spesa, soprattutto ultimamente. In alcuni casi, sono stati installati dei “montascale”, vittima di vandalismo nel giro di poche settimane e che comunque richiedono spesso la presenza di un operatore terzo.
Gli elevatori hanno poi il brutto vizio di rompersi, e non sempre Rfi, che è titolare della manutenzione straordinaria, interviene rapidamente. Il marciapiede diventa così inaccessibile anche per settimane (per esempio, a Modena l’ascensore tra atrio e sottopassaggio è chiuso per lavori da oltre tre mesi). Talvolta, durante i lavori di costruzione del sottopassaggio, è stato predisposto il “pozzo” per l’ascensore, poi murato per mancanza di un accordo con l’ente locale. Eppure, nella maggior parte dei casi, basterebbe realizzare una rampa: con pendenza 8 per cento si tratta di solito di cinque tronchi da 10 metri e relative piazzole, in totale 60 metri. La rampa ha il vantaggio di non rompersi ed eventualmente permette di rinunciare alla scala. Il problema è che costa circa il triplo dell’ascensore (che viaggia sui 15-20mila euro).
Lavori in corso in poco tempo
In molte stazioni e fermate, tuttavia, l’ascensore c’è già o addirittura non serve, bisogna invece alzare il marciapiede. Le direzioni territoriali di Rfi hanno intrapreso azioni in tal senso, ma la scarsità di risorse (non è alta velocità…), la necessità di lavorare sotto esercizio e la “non visibilità mediatica” degli interventi non ne incoraggiano la diffusione. Sarebbero lavori facili, senza necessità di gara perché rientrano nella manutenzione straordinaria e realizzabili con il “global service” che le strutture di Rfi hanno sottoscritto con imprese di lavori edili opportunamente qualificate e selezionate. Il costo si aggira sui 250 euro al metro quadro e i lavori si possono avviare e concludere in meno di un mese.
Se ne è visto un esempio questa estate nella stazione centrale di Bologna dove un marciapiede lungo oltre 300 metri e largo 9 con tre sottopassaggi (cinque scale) e tre ascensori (due di servizio) è stato alzato in 15 giorni, interrompendo completamente i due binari adiacenti (10 e 11). Certo, non in tutte le stazioni si può chiudere per due settimane marciapiede e binario adiacente, ma in molte – medie e grandi – sì. E dunque quante centinaia di cantieri si possono aprire in poche settimane, oltretutto offrendo occasioni di lavoro ai relativi operai? Quante (centinaia di) migliaia di viaggiatori si possono agevolare? Quanti minuti di percorrenza si possono togliere ai treni regionali che per evitare le penali dei contratti di servizio hanno ormai velocità da sbadiglio? Quante ore di ritardo per servizio viaggiatori si possono risparmiare ogni giorno?
Negli ultimi tempi, in alcune stazioni sono stati alzati solo quei marciapiedi dove fermano i treni alta velocità, ma non gli altri: Rimini, Pesaro, Verona PN, Firenze SMN, Milano Centrale,Roma Termini, per citarne solo alcune, nonostante i treni alta velocità non abbiano il pianale ribassato. È una strategia per certi versi incomprensibile e anche un po’ odiosa.
Per le piccole stazioni su linee che chiudono in agosto (o per tutta l’estate) sarebbe facile da programmare un intervento a tappeto in quel periodo e forse permetterebbe anche qualche risparmio. In casi limite, si può anche chiedere un sacrificio agli utenti: per due-tre settimane i treni non fermano per i lavori, oppure non fermano dalle 9 alle 17, oppure si sale e scende solo dalla prima carrozza mentre sul resto del marciapiede si lavora, preferibilmente in periodi di “morbida” come ferie estive, Natale, Pasqua.
Sono lavori con una notevole parte manuale, che quindi darebbero lavoro a centinaia e forse migliaia di operai per qualche anno. Ed è anche improbabile che si formino comitati “anti-marciapiede”, che soprintendenze poco sensibili frenino, che qualche ricorso al Tar o ritrovamento archeologico blocchi tutto sul nascere. Peccato che anche il “Governo del fare” si sia fatto trascinare sul terreno delle grandi opere che fanno immagine (come l’alta velocità Napoli-Bari), ma non producono ricadute sui territori attraversati e comportano vantaggi marginali per i potenziali utenti.
Per quanto riguarda i treni del trasporto regionale, poi, una parte è prossima alla fine della vita utile, ma la parte (di Trenitalia come di altre imprese, sia chiaro) che ha più di 20 anni ma meno di 35 e quindi potrà servire per altri 15-30 anni, potrebbe essere adattata alle esigenze delle persone con mobilità ridotta con una spesa irrisoria, molta buona volontà e senza rischio di incorrere in procedure di infrazione UE, basterebbe aggiungere una carrozza a pianale ribassato.
Insomma, la domanda che rivolgiamo al presidente del Consiglio e al ministro dei Trasporti è semplice: è troppo difficile sbloccare treni e marciapiedi per le persone a ridotta mobilità? Ricordando che la categoria comprende genitori con passeggini, turisti con valige, bambini, persone attempate.