È ancora possibile valutare le scelte istituzionali italiane con l´occhio rivolto a quel che avviene negli altri paesi? O la nostra politica è ormai così fuori misura da rendere ardua, se non impossibile, qualsiasi comparazione?
Una prima considerazione riguarda l´uso politico dei riferimenti alle soluzioni adottate in altri paesi. Quando si ricominciò a parlare di un "lodo" che avrebbe dovuto mettere il Presidente del consiglio al riparo da qualsiasi azione giudiziaria, subito si disse che questa era la strada seguita in tutti, o quasi, gli ordinamenti democratici. Fu facile a studiosi e commentatori dimostrare che così non era, che l´immunità era una prerogativa dei soli capi di Stati, e neppure in tutti i paesi. Acqua sul marmo. Non solo nei tremendi dibattiti televisivi, ma pure nella discussione nell´aula di Montecitorio, più di un esponente della maggioranza continuò imperterrito a ripetere la giaculatoria secondo la quale a Berlusconi non sarebbe stato concesso nessun salvacondotto, ma attribuito solo quello che altri primi ministri già avevano. Una piccola falsificazione, un peccato tutto sommato veniale? No. Piuttosto la conferma dell´impasto tra ignoranza e arroganza che ormai sta alla base di troppe decisioni politiche e legislative. Di fronte a questo stato delle cose qualsiasi indulgenza è inammissibile.
Due casi specifici possono aiutarci a comprendere meglio lo stato delle cose. Si è citato molte volte Chirac. Ma questo riferimento va nella direzione esattamente opposta a quella dei sostenitori di quello che poi è divenuto il "lodo Alfano". Chirac non è il Primo ministro, ma il Presidente della Repubblica. La decisione di attribuirgli un´immunità provocò polemiche furibonde e si disse, giustamente, che alla sua origine vi era un vero e proprio colpo di mano. Per arrivare a questa conclusione fu comunque necessaria una revisione degli articoli 67 e 68 della Costituzione, ritenendosi impraticabile la via della legge ordinaria.
Il secondo esempio arriva da Israele. Titolo di giornali italiani del 12 luglio: «Olmert ha i giorni contati». Questa drastica previsione deriva dal fatto che il Primo ministro israeliano è indagato per frode. Le indagini vanno avanti e nessuno ha chiesto uno "scudo" per Olmert sostenendo che non si poteva incidere sulle sue delicatissime funzioni alla vigilia del vertice di Parigi, particolarmente importante per il futuro dello Stato di Israele.
Questi sono dati di realtà, facilmente accessibili, che dovrebbero costituire la documentazione di base per chi legifera. Peraltro, nel "documento dei cento costituzionalisti", è stato ricordato che «l´immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle costituzioni greca, portoghese, israeliana, francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tantomeno nell´ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente». Basta allineare queste poche informazioni per concludere che la comparazione giuridica ci dice che l´immunità per reati comuni è strumento eccezionale, circoscritto a pochissimi paesi e a un solo soggetto, il Capo dello Stato. La soluzione italiana, quindi, si presenta come l´ennesima anomalia italiana, ancora una volta spiegabile facendo riferimento, purtroppo, a quella che è divenuta una perversa caratteristica del nostro sistema istituzionale, la categoria delle leggi ad personam. Non si è seguita, infatti, nessuna delle vie indicate da altri ordinamenti, dove si sono adottati strumenti particolari per far valere la responsabilità penale dei membri del Governo, senza però creare situazioni di immunità. La comparazione ci dice che alle esigenze di organi dello Stato tra loro diversi devono corrispondere soluzioni differenziate.
Proprio partendo da queste semplici constatazioni, diventa impossibile collocare la mossa italiana nel contesto di un recupero di garanzie che erano state notevolmente ridotte negli anni Novanta, per reagire a fenomeni di corruzione che si erano manifestati non soltanto in Italia. La rinnovata attenzione per l´immunità dei parlamentari e per una più adeguata disciplina dei reati ministeriali, infatti, risponde all´esigenza di costruire equilibri pregiudicati da taluni eccessi, e non ha nulla a che fare con l´attribuzione di privilegi personali. Di questo dovrà tenersi conto se si vorrà riaprire la discussione sull´immunità parlamentare, sostanzialmente travolta nel 1993. Il tempo era quello di Tangentopoli, quando non si scatenò un tornado forcaiolo, ma l´opinione pubblica, sbigottita e indignata, assisteva ogni giorno alla rivelazione di abissi di illegalità, coperti fino a quel momento anche grazie ad una rete di protezione nella quale l´immunità parlamentare giocava un ruolo essenziale. Gli abusi dell´immunità erano noti da anni (ricordo solo che ad essi Gustavo Zagrebelsky aveva dedicato un libro nel 1979), e proprio questa consapevolezza diffusa fece sì che, nel nuovo clima, quel tipo di immunità apparisse indifendibile.
Riproporre il tema dell´immunità dei parlamentari, allora, presuppone un contesto profondamente mutato, dove gli antichi abusi non potrebbero ripetersi, come si va sostenendo in altri paesi. Ma è davvero questa la conclusione che ci ispira la realtà italiana di oggi? O proprio il lodo Alfano ci dà una indicazione in senso contrario, ci conferma che il vecchio vizio di tagliare gli strumenti legislativi sulla propria misura è tutt´altro che scomparso?
Tornando a gettare uno sguardo sugli altri paesi, l´esperienza francese ci dice che bisogna prestare attenzione al modo in cui si arriva a concedere l´immunità alle più alte cariche dello Stato. In Italia, abbiamo assistito ad una sequenza molto semplice, e inquietante. La conosciamo. Per allontanare dal Presidente del consiglio un specifico processo, si è minacciato di sospenderne decine di migliaia. Quando si è realizzato il vero risultato di tutta quella manovra, la tutela di Berlusconi, la norma sulla sospensione dei processi è stata modificata (anche se pure la nuova formulazione suscita gravi perplessità). E questo è stato salutato da più d´uno come un successo della ragionevolezza, mentre era il risultato di una manovra al fondo ricattatoria, che bisogna chiamare con il suo vero nome.
Non è possibile, allora, tirare sospiri di sollievo, quasi che il problema, alla fine, fosse solo quello di liberarsi di una vicenda sgradevole, di eliminare un inciampo sulla strada del dialogo e delle riforme. Il lodo Alfano è stato, appunto, una riforma con la quale si è data una nuova curvatura al nostro ordinamento. Senza una più solida e determinata politica di opposizione, è concreto il rischio di trovarsi ancora di fronte a qualche "prendere o lasciare", alla minaccia di sfasciare tutto per portare a casa quel che davvero interessa. Prima ancora che il Lodo Alfano fosse definitivamente approvato, da Parigi il Presidente del consiglio ha cominciato a lanciare messaggi proprio in questa direzione.