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Sebastiano Messina
Quando dire regime divideva la sinistra
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Pungente ed esatto questo breve excursus d'una polemica recente. Similitudini e piccole differenze tra parole. Da la Repubblica del 12 marzo 2005

Forse il regime non c´era, forse la dittatura ci sarà. La frecciata di Prodi contro la riforma costituzionale di Berlusconi, «che sta creando le premesse per una moderna e pericolosissima dittatura di maggioranza, anzi del premier», ha riaperto un delicatissimo contenzioso lessicale sul berlusconismo e su tutti gli insidiosi abissi di tirannia che sono sempre sul punto di inghiottire la democrazia italiana. Perché proprio Prodi era stato uno dei più freddi, quando i girotondini sganciarono sul centro-destra l´arma fine-di-mondo, l´accusa di aver dato vita a «un regime» (il secondo, dopo quello fascista).

Né il Professore, né D´Alema, né Rutelli hanno mai approvato quella mossa. Non perché non fossero allarmati dall´occupazione berlusconiana della televisione, ma perché hanno sempre visto in quel vocabolo rovente un punto di non ritorno, un segnale d´allarme da lanciare solo davanti alle fiamme, non al primo filo di fumo. «La parola regime - disse una volta D´Alema - non è parola da politologo. Il regime ricorda il fascismo e io penso che le parole non si devono sprecare perché hanno un suono e quando poi si è costretti a usarle non suonano più. E´ di un certo estremismo usare le parole per sentire come suonano». Prodi approvava, da Bruxelles, Amato ironizzava sulle parole di Nanni Moretti, bandiera internazionale dei girotondini, e Rutelli dissentiva pubblicamente dal radicalismo di Paolo Flores d´Arcais: «La definizione mi pare impropria».

Oggi, però, sono proprio loro a scagliare contro Berlusconi queste tre parole - «dittatura della maggioranza» - che hanno un suono assai simile a quello del vocabolo «regime». Il primo, come sempre, è stato Amato, addirittura un anno fa (era il 20 gennaio 2004), commentando il premierato sfornato dai «saggi» del centro-destra: «Vogliono la dittatura della maggioranza», sentenziò. Esattamente la stessa formula adottata adesso, prima da Rutelli e poi da Prodi.

In realtà, tra il «regime» dei girotondini e la «dittatura» degli ulivisti c´è una certa differenza. Le due parole ci ricordano entrambe il fascismo, ma «dittatura della maggioranza» è una citazione di Alexis de Tocqueville - il padre della democrazia liberale - che non ce l´aveva con i tiranni e i despoti e tantomeno con Mussolini e Hitler che dovevano ancora nascere, ma con chi - nel nome della democrazia - voleva schiacciare le minoranze a colpi di maggioranza. «Quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte - scriveva Tocqueville ne "La democrazia in America" - poco m´importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge».

Siamo solo all´inizio. Ma se Prodi, D´Alema, Rutelli e Amato si trovassero un giorno a corto di argomenti, possono sempre citare una fiammeggiante filippica che sembra scritta ieri sera: «Attenti alla deriva autoritaria! Le regole non possono essere cambiate in corsa con i numeri della maggioranza che se ne avvantaggia, penalizzando l´opposizione. Non è democratico chi pensa di poter fare a colpi di maggioranza, in Parlamento, ciò che è favorevole a lui e sfavorevole all´opposizione: questo si chiama dittatura della maggioranza!». Così parlava, il 17 marzo 2000, Silvio Berlusconi: quando all´opposizione c´era lui.

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