Piccola storia della decadenza culturale di una parte del vecchio Partito comunista italiano. Cui molto ci sarebbe da aggiungere, a partire dalla sconfitta di Enrico Berlinguer (e dall'assassinio di Aldo Moro).
Il manifesto, 3 dicembre 2016Perché gran parte del ceto politico e intellettuale di provenienza comunista è schierata con il Sì? Cedimenti, calcoli, opportunismi ci sono anche stavolta. Ma, a riverire il capo di turno con giravolte sensazionali, spingono anche ragioni di cultura politica. A franare, in appoggio alla manipolazione governativa della costituzione, è soprattutto quello che, con un qualche schematismo, si può definire il centro destra del vecchio Pci. La componente di centro sinistra, ad esclusione di Bassolino e Turco, è invece mobilitata attivamente per il no: da D’Alema a Bersani e Folena, da Tortorella a Reichlin e Salvi.
Con la sua venerazione dei falsi miti della democrazia immediata, con l’ubriacatura per il fragile miraggio del sindaco d’Italia, Veltroni ha proseguito il lavoro di destrutturazione della cultura istituzionale avviato da un Occhetto nuovista e invaghito delle leggende maggioritarie di Segni.
Accantonati gli schemi tradizionali di stampo parlamentare, i Ds hanno attinto dalle elaborazioni dell’area giuridico-politologica della Fuci (da Barbera e dagli ideologi del bipolarismo immaginario, suoi seguaci). La resistenza di rigorosi giuristi del mondo cattolico, come Elia e Onida, ha per un certo tempo ostacolato la penetrazione nell’Ulivo delle suggestioni per il premierato assoluto.
Per aggirare lo scoglio, Veltroni ha però disegnato lo statuto del Pd sul modello dell’investitura di un capo che opera nel vuoto di canali di mediazione, destinati a spegnersi dopo la chiusura dei gazebo che hanno riconosciuto il volto del leader. La coincidenza delle cariche di segretario e premier ha demolito l’impianto della democrazia parlamentare con irrazionalità, forzature, fughe.
Il presidente Napolitano, diversamente dall’amletico Macaluso di oggi e dal resto della sua area molto vicina alle posizioni di Barbera, non ha condiviso questo impianto culturale. Il sostegno a Renzi nasce non già dalle sirene del direttismo ma dalla preoccupazione di proteggere la sua interpretazione creativa del ruolo presidenziale nel periodo cruciale che va dalla caduta di Berlusconi (regia della soluzione tecnica) alla sterilizzazione (con un incarico fantasma) della velleità di Bersani di procedere verso un governo di svolta.