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Quache prima riflessione a sinistra
31 Marzo 2010
Articoli del 2010
«Questo paese non sta tanto bene, ma è ancora vivo. Forse più di quella politica che dovrebbe rappresentarlo». Il manifesto, 31 marzo 2010. L’editoriale di V. Parlato e due note su Vendola e le Sinistre

Almeno un sussulto

di Valentino Parlato

Il Partito democratico dovrebbe prendere atto, con serietà e responsabilità, della sconfitta subita in queste elezioni regionali. Una sconfitta, aggiungerei, acutizzata dal positivo risultato ottenuto da Nichi Vendola in Puglia. Tutto il nord dell'Italia e buona parte del sud è in mano alla destra e consolarsi con possibili eventuali conflitti tra la Lega e il Pdl è del tutto illusorio: il territorio e la televisione marciano insieme.

Queste elezioni provano che non si batte Berlusconi con gli scandali e i processi. Il paese è cambiato, viviamo in una società largamente berlusconizzata, privatizzata, e senza più fiducia nella politica, come prova la forte crescita dell'astensionismo: a destra e anche a sinistra.

Ai tempi della mia giovinezza, quando c'era il Pci si facevano convegni e aspre discussioni sullo stato del capitalismo nel paese, sui suoi mutamenti. Oggi il Pd è un partito separato dal territorio (con i lavoratori ha più contatti la Lega di Bossi), con poche e incerte idee sulla società italiana e sulla crisi che la investe, molto dura, anche per chi ha la casa di proprietà o la pensione. La popolazione giovanile è diminuita in seguito alla denatalità, e la denatalità ha a che fare con questioni molto concrete, materialissime come l'impossibilità di progettare un futuro e dunque dei figli.

Il guaio è che il Pd oggi fa politica (o crede di far politica) senza sapere dove sta. Una volta la stampa del Pci faceva inchiesta sui territori di nuova industrializzazione (ricordo di averci lavorato con Luca Pavolini), oggi si fa più attenzione alle intercettazioni telefoniche. Qualcuno, giustamente, finisce in galera, ma nulla si mette in movimento nella società. E ancora, il Pd non è neppure un partito, ma una sommatoria eteroclita di pubblici incarichi. La Lega - va detto - è oggi l'unico vero partito che ci sia in Italia.

Ma allora che fare per non lasciare che il Belpaese si avviti in questa melma, mettendo in gioco anche l'unità nazionale, proprio alla vigilia dei festeggiamenti per il suo centocinquantenario? Dal Partito democratico ci si aspetta una mossa, un sussulto di presa di coscienza della gravità della situazione e dei pericoli che sono davanti a noi. O si pensa di cavarsela prendendosela con Grillo o accusando i NoTav della Val di Susa che l'hanno votato di aver consegnato il Piemonte alla Lega? Ma non si tratta solo del Pd (dal quale, devo dirlo, c'è poco da aspettarsi) ma anche di tutti i soggetti democratici che ancora ci sono e, aggiungerei, anche di questo nostro manifesto, che è nato da un preveggente scontro con il Partito comunista e che da quasi quarant'anni sostiene che questa società si deve e si può cambiare.

E poi, non per consolarci, in questi mesi abbiamo visto piazza piene e animate, di lavoratori in sciopero, o per denunciare il cappio sul collo dell'informazione, o per difendere l'acqua pubblica e i beni comuni. Anche la sfida di Michele Santoro ha avuto successo. Insomma, questo paese non sta tanto bene, ma è ancora vivo. Forse più di quella politica che dovrebbe rappresentarlo.

L'«anomalia» Puglia ora punta all'Italia

Vendola non entra nel Pd

e lavora all'unità a sinistra

di Iaia Vantaggiato

E adesso che farà Nichi Vendola? Si limiterà a governare bene la Puglia o andrà oltre? Davanti a lui si aprono adesso due strade non contrapposte: quella che lo porterebbe dritto sino alla leadership del centrosinistra e quella che, da lì, gli permetterebbe di conquistare la candidatura a premier contro Berlusconi nelle elezioni del 2013. Sussurrata ovunque da mesi, la domanda è esplosa dopo il voto. Ovvio che sia così. Lo impone lo stesso doppio ruolo di Vendola: presidente della Puglia e leader di una formazione nazionale che (nonostante il risultato elettorale) proclama l'ambizioso obiettivo di rifondare la sinistra.

A Bari i dubbi sono pochi: qui l'anomalia aspira a diventare «normalità», pronta com'è a essere esportata e a contagiare tutta l'Italia. Del resto il peso politico nazionale di Vendola è uscito accresciuto da questa prova elettorale. Non è il salvatore della patria ma poco ci manca. Inutile nasconderlo: senza la sua vittoria il ko del centrosinistra sarebbe stato totale e irreversibile.

Per quanto riguarda il suo partito, però, le cose stanno diversamente. E' vero che Sel ha confermato il risultato (3,1%) ottenuto alle europee 2009 ed è vero che mantiene quasi inalterato il numero dei propri consiglieri regionali. Ma su un totale di 20 eletti ben 11 sono pugliesi. E non solo. Sinistra e libertà ha anche mancato il sorpasso sulla Federazione della sinistra (Prc-Pdci) in 9 regioni. E' uno strumento, insomma, che al momento è tutt'altro che efficiente e che già a partire da oggi nella riunione del direttivo a Roma dovrà cominciare a fare i conti con i risultati elettorali. D'altra parte sia il presidente della Puglia che il più autorevole tra i suoi consiglieri, Fausto Bertinotti, hanno sempre detto di considerare Sel un mezzo « temporaneo» necessario a raggiungere l'obiettivo finale: la costruzione di un vero partito unitario della sinistra. Almeno a giudicare dai risultati di ieri, Sel non pare proprio attrezzata nonostante «l'anomalia» pugliese.

Vendola intanto vola a Roma, dove nei prossimi giorni lo attendono le telecamere di Vespa, Telese e Santoro. La domanda più attesa è: «Entrerà dentro il Pd?». Il governatore stoppa subito: «Credo che ciascun attore del centrosinistra sia inadeguato e parziale, inadatto alla necessità di ricostruire una egemonia culturale e politica a sinistra». Ciascuno «dovrebbe fare un passo indietro, per poter fare tutti insieme un passo avanti». Vendola non ha dubbi: «Mancano le forme dell'agire politico e le parole. Il vocabolario dell'alternativa non è stato ancora scritto».

Ergo un ingresso di Vendola nel Pd sembra oggi fuori discussione. Non di una vera e propria rifondazione della sinistra si tratterebbe ma di un'annessione che costringerebbe Vendola al ruolo angusto di capo corrente. Nessuno, qui in Puglia, glielo perdonerebbe, non certo i suoi ragazzi che con lui hanno trovato un modo diverso di fare politica. Nichita non sembra neanche pensarci. Tra le righe traspare piuttosto un'altra idea: lasciare a Sel una struttura leggera e chiedere a tutta la sinistra di sciogliere forze e partiti attuali per dar vita alla fase costituente di un partito unitario. Non che Vendola o Bertinotti, politici navigati, si aspettino una immediata risposta positiva. Ma qui entra in gioco di nuovo la Puglia, dove il Pd - ormai non più di stretta osservanza dalemiana dopo primarie e regionali - è vicino allo sbando e dove il presidente, oltre al suo stesso immenso peso specifico, può contare sulla rinnovata alleanza con Michele Emiliano. Quel che oggi è lontanamente possibile in Italia, qui in Puglia è già quasi realtà. E una volta fatto qui il primo passo il resto - l'esportazione del modello Puglia - verrebbe quasi da sé.

Certo, una simile ipotesi incontrerebbe quasi certamente l'opposizione di D'Alema e dello stesso Bersani, contro i quali però Vendola ha già una sponda interna al Pd: quella delle due mozioni sconfitte al congresso, Franceschini-Veltroni e Marini-Concia. E la stessa Idv che di un nuovo centrosinistra ha fatto la propria bandiera, non rimarrebbe insensibile. Non è un caso che oggi il consigliere più ascoltato da Di Pietro resti ancora Maurizio Zipponi, ex responsabile lavoro per il Prc ed ex vendoliano doc e ancora in ottimi rapporti con il presidente della Puglia.

Lombardia e Campania,

tramonta la stella solitaria del Prc

di Matteo Bartocci

Malconcia ma viva, la Federazione della sinistra (Prc, Pdci più associazioni varie) deve fare i conti con risultati elettorali non esaltanti. La conta con i vendoliani di Sinistra e libertà a parte la Puglia finisce quasi in parità. 475mila voti Fds, 478mila Sel più due biciclette Sel-Verdi e Fds-Verdi da circa 150mila voti cadauna. In totale dunque più di 1.200.000 voti a sinistra del Pd, con una percentuale nazionale che per entrambi è comunque inferiore al 3%. «Due debolezze che si sommano non fanno una forza», commenta il numero 2 del Prc Claudio Grassi. A via del Policlinico ieri lunga giornata di riunioni, prima la segreteria di Rifondazione, poi il coordinamento della Federazione. Sul tavolo risultati pesanti soprattutto in Lombardia e Campania, dove Fds correva da sola contro il centrosinistra schierando due candidati di livello nazionale come Vittorio Agnoletto e il segretario Paolo Ferrero. Risultato, zero eletti. In Lombardia Fds ottiene 87mila voti (2%), alle europee di giugno ne aveva più di 79mila (3,3%). Tracollo anche in Campania, dove Ferrero prende addirittura meno voti (39mila) del partito (43mila) e raccoglie appena l'1,35% dei consensi. Prima sintesi provvisoria: l'antagonismo col centrosinistra non ha pagato anche senza il ricatto del voto utile.

Debacle a cui si aggiungono il risultato non esaltante a L'Aquila (dove il Prc ha sperimentato sul campo il «partito sociale» caro al segretario con le brigate di solidarietà attiva) e soprattutto la rivolta della Val Susa. Il Prc si è speso tantissimo per mantenere viva una relazione con i No Tav ma nell'urna è stato asfaltato dalla lista Grillo. Esempi? Venaus: Grillo 29%, Fds 0,5%. Bussoleno: Grillo 28,5%, Fds 4%. Susa: Grillo 14,6%, Fds 1,8%. E via andare. Seconda sintesi provvisoria: anche dove si fanno battaglie sociali e politiche sacrosante poi ci si allea col centrosinistra e non si riesce a incamerarne risultati sensibili.

Nel carniere comunque la Federazione conta 17 consiglieri regionali eletti e 5 potenziali assessori nelle giunte di centrosinistra. Un risultato più equilibrato di quello di Sel, che praticamente ha fatto il pieno solo in Puglia. Che fare dunque? «Se andiamo da soli, come in Lombardia e Campania, andiamo male e se ci alleiamo col centrosinistra i risultati sono insufficienti», commenta Grassi. Segreteria e coordinamento hanno deciso: 1) di accelerare la costruzione della Federazione della Sinistra che è ancora in un limbo organizzativo; 2) di lanciare «un'offensiva unitaria verso Sinistra e libertà» (Grassi) in modo da arrivare almeno al risultato delle Marche, dove la sinistra unita fuori da Pd, Idv e Udc ha ottenuto almeno il 7%. Una «massa critica» da costruire negli anni che separano dalle politiche ma che non affronta, per ora, il vero nodo da sciogliere a sinistra (e nel Pd). E cioè non tanto il rapporto tra partiti quanto il rapporto tra partiti e «popolo». Uno spazio politico nuovo (anomalo?) che è esattamente il valore aggiunto dell'esperienza pugliese che ancora molti faticano a comprendere.

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