Inseriamo di seguito il primo paragrafo ("Il paesaggio come bene patrimoniale") del primo capitolo ("La filosofia del piano") del Documento programmatico del PPR della Puglia. Esso definisce, dal punto di vista metodologico e operativo, il programma di formazione del PPR della Puglia. E' stato elaborato dal coordinatore scientifico del piano, Alberto Magnaghi. In calce il link per scaricare il documento integrale, estratto dal Bollettino Ufficiale Regionale, n. 168 del 27.11.2007
I paesaggi delle Puglie, prodotti nel tempo lungo della storia dalle “genti vive” (Sereni) che li hanno abitati e che li abitano, costituiscono il principale bene patrimoniale (ambientale, territoriale, urbano, socio culturale) e la principale testimonianza identitaria per realizzare un futuro socioeconomico durevole e sostenibile della regione.
Questo futuro non risiede in una esasperata accelerazione degli scambi, della standardizzazione dei prodotti, della mobilità di merci e persone sul mercato mondiale, ma nella capacità di innovare, produrre e scambiare beni che solo in quel luogo del mondo possono venire alla luce in quanto espressione culturale di una identità di lunga durata che il paesaggio, a ben interpretarlo, racconta, Un’identità che si è costruita nell’azione umana di lunga durata, esito evolutivo di dinamiche relazionali nelle quali le dimensioni dello spazio e del tempo sono indissolubilmente legate. In questa visione è necessario superare la distinzione che faceva alternativamente prevalere l’uno sull’altro, con lo spazio il più delle volte percepito quale sfera della fissità (e dell’inerzia), in opposizione al tempo come dominio del movimento (e del progresso) [1].
In questo senso il paesaggio ha valore di patrimonio sociale e di bene comune che deve essere continuamente costruito e ri-costruito mediante azioni di conservazione, valorizzazione, riqualificazione.
Il paesaggio storico è ricco di idee, di invenzioni, di narrazioni. Certo un paesaggio inteso non solo come veduta, “bello sguardo”, ma indagato, decifrato, nella sua bellezza, come specchio dell'anima dei luoghi, come teatro in cui va in scena l’autorappresentazione identitaria di una regione, “come parte essenziale dell’ambiente di vita delle popolazioni e fondamento della loro identità” (art 5 della Convenzione europea del paesaggio). In questa accezione esso è un giacimento straordinario di saperi e di culture urbane e rurali, a volte sopite, dormienti, soffocate da visioni individualistiche, economicistiche e contingenti dell’uso del territorio; ma che possono tornare a riempirsi di significati collettivi per il futuro. Il paesaggio è il ponte fra conservazione e innovazione, consente alla cultura locale di “ripensare sé stessa”, di ancorare l’innovazione alla propria identità, ai propri miti, sviluppando “coscienza di luogo” per non perdersi inseguendo i miti omologanti della globalizzazione economica.
Miti questi ultimi che tendono a rappresentare il territorio come un insieme di “piattaforme” transnazionali, nazionali, interregionali, regionali: piattaforme logistiche, produt.tive, fasci infrastrutturali (corridoi); le città diventano “snodi”, “sistemi commutatori fra flussi”.
La Puglia è disegnata in queste rappresentazioni come un insieme di rettangoli che collegano cerchi e quadrati (corridoi che collegano piattaforme logistiche, porti, interporti, zone industriali e cosi via). Questa rappresentazione funzionale per nodi e flussi, se assunta come unico criterio interpretativo “sovraordinato” delle opportunità territoriali, rischia di obnubilare l’identità dei luoghi, trasformandoli in crocevia (snodi) omologati e omologanti di funzioni economiche dei mercati globali. La rappresentazione identitaria dei paesaggi, restituendo evidenza socioeconomica alle peculiarità del territorio, dovrebbe restituire alle relazioni fra luoghi il loro valore strutturale di sviluppo degli scambi fra società locali (regioni, microregioni) e della loro connessione a rete per la cooperazione oltre che per la competizione [2].
Uno sviluppo locale che si richiami al concetto di autosostenibilità deve innanzitutto, come argomenta Gianfranco Viesti, far riferimento alla “capacità delle istituzioni e delle società locali di valorizzare .le risorse disponibili”4. [3]. Ma quali risorse? Certo in primo luogo “conoscenza”, “saperi”, “cervelli”; ma, aggiungo, quando queste risorse riescono a trarre la loro ragione di scambio (con altre conoscenze e “cervelli”) dal profondo dei giacimenti identitari, che le proiettano sulla scena globale come attori originali di un processo dì cooperazione-competizione e non come oggetti di un percorso di omologazione e, infine, di subordinazione culturale ed economica; contribuendo in questo modo a ridefinire il concetto stesso di “sviluppo”.
Il Piano paesaggistico dunque si candida ad essere strumento per riconoscere, denotare e rappresentare i principali valori identitari del territorio; per definirne le regole d’uso e di trasformazione da parte degli attori socioeconomici; per porre le condizioni normative e progettuali per la costruzione di valore aggiunto territoriale[4]come base fondativa di uno sviluppo endogeno e autosostenibile [5].
[1]J. May e N. Thrift, a cura di, Timespace: Geographies of Temporality, Routledge. Florence, KY, USA, 2001.
[2] Massimo Quaini fa riferimento a questa speranza quando, descrivendo uno scenario oppositivo alle maglie larghe della globalizzazione nel modello di sviluppo della Liguria, scrive: “il secondo registro identitario punta ... alla centralità dei territorio locale e sulla diversità dei paesaggi ... è un registro fatto di molte identità locali non ancora sacrificate sull’altare della velocità dei flussi e delle reti; che fa proprio l’elogio della lentezza e si realizza nella costruzione di uno spazio più conviviale, che conflittuale. … Le identità e i paesaggi locali per sopravvivere hanno bisogno di circuiti economici ben radicati nelle qualità e nelle risorse del territorio e per funzionare devono saper mettere insieme propensioni, domande e consumi tipicamente post-industriali e post-moderni e dunque fare appello a u mercato più vasto. È il caso per esempio della riscoperta delle vocazioni agrarie e produzioni alimentari e artigianali di qualità, collegato a nuove forme di viaggio lento e di turismo culturale, come anche di scoperta della fascia collinare come luogo di residenza alternativo alle invivibili aree metropolitane.
[3] G. Viesti, Le tessere del mosaico. Rimettere insieme la Puglia, Laterza, Bari 2005.
[4] Per “Valore Aggiunto Territoriale” di un sistema locale intendo: una crescita durevole del patrimonio prodotta dalla messa in valore delle risorse ambientali e socio-territoriali, garantendone la riproduzione nel tempo e determinando empowerment della società locale; il conseguente sviluppo della capacità di autoriproduzione della società locale, anche attraverso la riduzione della sua impronta ecologica come aumento di autosufficicnza alimentare, energetica, tecnologica.
[5] Il concetto di autosostenibilità è riferito at superamento del concetto di ecocompatibililà ovvero di un modello di sviluppo che richiede correttivi e puntelli esterni per essere sostenibile; l’autosostenibilità la riferimento a un modello di sviluppo che trova nelle regole riproduttive delle sue risorse locali la capacità autogenerativa delladurevolezza. Vedasi in proposito il mio: Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, 2000.
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