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Pianificazione provinciale, si riparte dalla Puglia
26 Febbraio 2008
La Puglia di Angela Barbanente
Un documento di indirizzo approvato recentemente dalla Giunta Regionale pugliese per riformare la pianificazione d'area vasta (m.g.)

Proposta di Accordo tra Regione e Province per la collaborazione in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, Bari, 13 luglio 2005



Le ragioni del rilancio del ruolo delle autonomie locali nel sistema di governo del territorio regionale

La straordinaria domanda di innovazione e partecipazione democratica che ha segnato la nascita di questo governo regionale non può non investire anche il governo del territorio. Una domanda di forte discontinuità rispetto al passato nei rapporti fra Regione ed enti locali proviene dal sistema delle autonomie, che da tempo mostra forte insofferenza di fronte a tendenze regionali neocentralistiche. Essa è sostenuta dal mutato quadro istituzionale e normativo che, sia a livello europeo sia a livello nazionale, ha individuato nei principi della sussidiarietà, del decentramento dei poteri e della collaborazione interistituzionale i cardini dell’esercizio dell’amministrazione pubblica.

In nome di una sussidiarietà non solo di principio, ma intesa quale essenziale condizione di efficacia dell’azione amministrativa, città e territori pugliesi chiedono che siano loro attribuiti più ampi spazi e capacità di auto-governo, per stabilire assetti integrati di politica, società e cultura a livello locale. I processi alla base di tale richiesta sono complessi e largamente alimentati da iniziative di sviluppo locale i cui esiti non possono darsi per scontati. La questione importante, tuttavia, è che non è possibile ignorarli, facendosi sovrastare da eredità o resistenze del passato.

La domanda di decentramento si accompagna a un crescente protagonismo degli enti locali nella costruzione di strategie di sviluppo locale, che sollecita la pianificazione territoriale a diventare per queste un supporto piuttosto che un ostacolo. Ma essa è da mettere in relazione anche al crescente attivismo di cittadini e movimenti sociali, i quali fanno sentire sempre più forte la propria voce, talvolta esprimendo una domanda di qualità insediativa che le forme consolidate di governo del territorio sembrano non essere in grado di garantire.

La creazione di un rapporto di collaborazione fra Regione e autonomie locali è vitale, peraltro, per ristabilire un clima di fiducia fra detti enti, e fra questi e gli operatori economici, i gruppi sociali e i cittadini nel governo del territorio, dopo una lunga fase nella quale le lentezze esasperanti dei controlli regionali hanno fornito argomenti a supporto di una deregolazione selvaggia, la quale ha generato vaste aree di opacità e di iniquità e alimentato sospetti nei confronti dell’amministrazione regionale.

Il ruolo delle Province

Le Province possono divenire snodo fondamentale nei nuovi rapporti da stabilirsi fra Regione e livelli locali di governo territoriale, con riferimento non solo al sistema delle autonomie, ma a tutti i soggetti pubblici e privati operanti nel territorio. Questo ruolo non deriva soltanto dalle funzioni attribuite all’ente Provincia dalla legislazione nazionale e regionale, ma anche dall’esigenza di coordinare iniziative e modi d’uso del territorio che hanno quale scala di riferimento territori sempre più vasti. Si pensi alle tendenze di modificazione dell’offerta di attività ricreative, commerciali, direzionali, all’estensione delle aree di relativa domanda e alle forme di mobilità generate. Esso deriva, inoltre, dall’esigenza di non appiattire e banalizzare in quadri regionali aggregati, i caratteri di una Regione che presenta notevolissime differenze interne dal punto di vista ambientale, socio-economico e paesaggistico.

La mancanza, per oltre un ventennio dall’approvazione della legge urbanistica regionale 56/1980, di qualsiasi efficace quadro di riferimento pianificatorio sovracomunale è espressione evidente della difficoltà dell’Ente Regione di costruire scenari condivisi di organizzazione del territorio ad ampia scala. In mancanza di questi, l’attività di governo del territorio è stata dominata da un’interpretazione tutta procedurale e burocratica dei compiti a tale Ente attribuiti.

Le Province possono concorrere a modificare questa interpretazione delineando, mediante i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale, scenari futuri di sviluppo e tutela del territorio nell’area vasta. La pianificazione provinciale, poi, rappresenta occasione preziosa ai fini della costruzione di un sistema di conoscenze condiviso delle caratteristiche socio-economiche, ambientali, insediative e infrastrutturali, fornendo, da un lato, visioni più ricche, articolate e aggiornate di quelle oggi disponibili del territorio regionale, dall’altro, quadri di riferimento di area vasta per le diverse strategie d’azione di scala comunale.

Tale sistema di conoscenze dovrebbe essere integrato nel Sistema Informativo regionale in corso di realizzazione, e poi arricchito e migliorato con continuità affinché esso dia efficace supporto sia alla definizione delle linee di assetto del territorio regionale, sia all’elaborazione dei nuovi PUG comunali sia, infine, alle decisioni da assumersi nelle varie sedi della co-pianificazione e/o concertazione interistituzionale.

I vantaggi per l’intero sistema regionale derivanti dal decentramento alle Province di funzioni di governo del territorio consisterebbero anche nella possibilità di sollevare progressivamente la Regione da compiti gestionali che essa svolge con difficoltà, e consentirle di dedicarsi con maggiore intensità ed efficacia ai compiti che le sono propri, ossia all’esercizio della funzione legislativa e di raccordo fra potere centrale e locale.

Condizione essenziale affinché il livello provinciale non riproduca vizi e distorsioni di quello regionale, proprio come è accaduto per la Regione rispetto allo Stato, è la capacità di costruire visioni condivise intorno alla strategia complessiva, basata su un'attività di intenso ascolto della domanda sociale e sistematico coinvolgimento delle amministrazioni locali. Si tratta di impostare a tal fine una rete fitta e continua d’interazioni, perché quadri di conoscenze e opzioni pianificatorie da un lato traggano origine da saperi e istanze locali, e dall’altro si diffondano e radichino nei contesti locali, presso i comuni e la loro base sociale.

Il buon risultato dell’azione provinciale rispetto a quello regionale non può derivare soltanto da fattori di scala, magari appellandosi al principio di sussidiarietà, che presuppone che l’autonomia più grande si astenga dal trattare ogni problema che può essere affrontato da un’autonomia più piccola. Qualsiasi ordine stabilito una volta per tutte e privo della rete d’interazioni sopra accennata, tenderebbe a burocratizzarsi, come è accaduto per lo Stato prima e poi per la Regione. Solo un ordine flessibile e aperto alle sollecitazioni esterne può, con il suo continuo rinnovarsi, contrastare, con speranze di successo, la tendenza alla burocratizzazione e rispondere alle domande della società civile.

La realizzazione degli obiettivi programmatici: decentramento e semplificazione nelle procedure urbanistico/territoriali



Per le ragioni sopra accennate, obiettivo centrale della nuova Amministrazione regionale in materia urbanistico/territoriale consiste nella “rottura del modello gerarchico e centralistico che ha dominato, sin dall’inizio, il governo regionale del territorio in Puglia”.

Ci si propone dunque di “operare in discontinuità con questa tendenza all’accentramento delle competenze e delle decisioni”. Il ruolo che le Province potranno svolgere nell’ambito di questa politica è fondamentale.

L’idea è di assumere, con un orientamento di Giunta un corpo di indirizzi politico/amministrativi che guidino, nella prima parte del mandato, verso obiettivi di decentramento e semplificazione nelle procedure urbanistico/territoriali. Qualcosa di più, dunque, di quanto contenuto nel programma di mandato relativo alla materia: una vera e propria Dichiarazione di intenti, da strutturare e rendere operativa attraverso una serie di Accordi (ex art.30 del T.U. 267/2000), di cui di seguito si propone una bozza introdotta da una serie di osservazioni di merito (v. all. 1).

1. Perché è necessaria questa “discontinuità”?

Non si tratta di semplice galateo istituzionale.

La percezione dominante dell’urbanistica nella società pugliese, associata non certo alla prospettiva di nuovi futuri desiderabili ma a un coacervo spesso contraddittorio di procedure ed atti amministrativi di esasperante lentezza, è sostanzialmente da imputare proprio a questa persistente posizione tecnico-politica centralistica ed alla visione tutta procedurale e burocratica del governo del territorio che la caratterizza.

All’origine di questa visione risiede la mancanza di qualsiasi efficace quadro di assetto generale ad ampia scala, espressione evidente della difficoltà di costruire scenari coerenti e condivisi di tutela e sviluppo del territorio regionale che consentano di delineare strategie di qualificazione delle risorse sociali ed ambientali. L’assenza di una visione generale, coerente e condivisa, impedisce a sua volta, in un circolo vizioso, di superare la dominante interpretazione regolativi e vincolistica delle funzioni di governo del territorio.

Così, in assenza di efficaci indirizzi di assetto territoriale a scala regionale e provinciale, tutto il sistema di governo del territorio permane incentrato su una scala comunale di pianificazione fatta di piani sovradimensionati e sempre più spesso snaturati da centinaia di accordi in variante, i quali assecondano le iniziative imprenditoriali ritenendo valida ogni sorta di contropartita, in assenza di quadri di riferimento ambientali, economici e sociali, rispetto ai quali valutarne vantaggi e svantaggi collettivi e in assenza di regole di equità e di trasparenza sulle quali basare le negoziazioni pubblico-privato.

Analogamente, le Province che hanno avviato esperienze di pianificazione territoriale non hanno avuto alcun sostegno dalla Regione che, anzi, anche nei più recenti provvedimenti legislativi, ha confermato il proprio accentuato centralismo. Mancano poi esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette e dei bacini idrografici, mentre i piani nel campo dell’assetto idrogeologico, dello smaltimento dei rifiuti o delle attività estrattive, sono stati costruiti senza disporre di quadri conoscitivi robusti e di riferimenti ad opzioni complessive di sviluppo del territorio.

Il risultato consiste nella frammentarietà e nella incoerenza dell’azione regionale, in un esercizio del potere che, per i caratteri di marcata discrezionalità e dipendenza da contingenze specifiche, non offre sufficienti certezze agli attori istituzionali ed agli operatori sociali ed economici.

Dunque il centralismo, al di là della scarsa correttezza istituzionale, comporta:

Ø l’assenza di una visione generale condivisa, e dunque la presenza di una certa competitività “interna”, che può generare conflitti (tra territori e tra competenze settoriali);

Ø il ritardo nella costituzione dei necessari apparati conoscitivi e di indirizzo, che non possono essere costruiti “al centro”, ma che richiedono uno stretto legame con la realtà e con il quotidiano (in una parola, richiedono una costante presenza “in periferia”);

Ø la tendenza della disciplina tecnica, in assenza di questi apparati di conoscenza e di indirizzo, a rifugiarsi in una visione burocratica e vincolistica, priva della necessaria serenità che esclusivamente deriva dalla conoscenza diretta e documentata della realtà;

Ø la progressiva opacità e confusione dell’azione amministrativa, sempre più costretta alla deroga e al rifiuto delle responsabilità, con i conosciuti effetti: tempi esasperanti, ambiguità procedurali, discrezionalità e mancanza di limpidità nelle decisioni.

Nella situazione descritta, l’obiettivo della discontinuità sembra fondato su due prospettive: il decentramento e la semplificazione, la seconda come effetto positivo del primo.

2. Quali ostacoli si interpongono al raggiungimento dell’obiettivo del decentramento?

Sull’argomento va innanzitutto rimossa ogni ambiguità normativa e legislativa. Sarà dunque necessario:

  1. contrastare la concezione “gerarchica” nella pianificazione per livelli: vale a dire la concezione per cui il Piano regionale decide tutto, definendo le scelte territoriali in modo puntuale, mentre al Piano provinciale è affidato esclusivamente il compito di articolare le scelte regionali, potendole tutt’al più specificare, e contemporaneamente al Piano comunale è affidato solo il compito di tradurle in destinazione d’uso delle aree e in specifiche funzioni di dettaglio.

E’ questa una concezione che evidentemente tende a negare agli Enti locali ogni autonomia e responsabilità: in fondo si sostiene che l’interesse generale é sempre meglio rappresentato nella misura in cui si sale nella scala gerarchica delle istituzioni di governo.

Nulla di più lontano dal principio della sussidiarietà e dal metodo della co-pianificazione, che ne è in fondo la traduzione operativa (art. 2 della L.R.20/2001).

Questa concezione è peraltro ancora presente nello stesso quadro legislativo regionale: ad esempio, nel 2° comma dell’art.1 della L.R.24/2004, che stabilisce che il DRAG sia “riferimento vincolante per la pianificazione provinciale e comunale”, o nell’art. 2, che definisce i contenuti del DRAG, attribuendogli la facoltà di decisione su ogni aspetto della pianificazione. Questi dispositivi sono entrambi tipicamente connotati da una concezione “gerarchica”, da cui discende, implicitamente, che non si tratta di stabilire “controlli di compatibilità” tra i Piani, come sarebbe corretto e come prevede il successivo art. 5 della medesima L.R.24/04, bensì di operare tradizionali verifiche di conformità al Piano di ordine superiore.

Ma, come è naturale, la co-pianificazione è impossibile se non si dialoga tra uguali.

b. contrastare la concezione “piramidale” nella pianificazione per livelli, che è conseguenza della visione precedente: vale a dire la concezione per cui, al vertice della piramide, le scelte del Piano regionale sono decise da pochi, con procedure rapide e semplificate e, man mano che le scelte sono compiute ai livelli inferiori, si allargano le basi della consultazione e si complicano le procedure, fino a giungere, dal Piano provinciale a quello comunale, all’estrema complicazione nelle decisioni, ai tempi interminabili e alla paralisi.

Le procedure di adozione e di approvazione dei diversi Piani, stabilite dal III°, dal IV° e dal V° Titolo della L.R.24/01 sono un esempio evidente di questa concezione: il Piano regionale è approvato solo dalla Giunta, sentita la Commissione consiliare (art. 9 della L.R.24/04), mentre il Piano provinciale è adottato ed approvato in Consiglio, dopo la verifica di compatibilità regionale (tempi complessivi probabili della procedura di formazione del Piano: dai 12 ai 24 mesi), e quello comunale, anch’esso adottato ed approvato in Consiglio, richiede addirittura una doppia verifica, quella regionale e quella provinciale (tempi complessivi probabili della procedura di formazione del Piano: dai 24 ai 36 mesi).

c. Contrastare la concezione “a cascata” nella pianificazione per livelli, che è conseguenza delle prime due: vale a dire la concezione per cui prima deve essere approvato il Piano regionale, poi quelli provinciali e infine quelli comunali. Questa concezione, sebbene non esplicita nel quadro normativo, ha comunque costituito sino ad ora la prassi dell’azione regionale ed ha inevitabilmente determinato una forte inerzia nell’azione provinciale e comunale (va peraltro detto che, per quanto riguarda la pianificazione comunale, il 7° comma dell’art.11 della L.R. 20/01 stabilisce che, qualora DRAG e PTCP non siano ancora stati approvati, il controllo di compatibilità può venire effettuato “rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente”).

E’ in conclusione evidente che una prima manifestazione concreta di “discontinuità” dovrà consistere nella rimozione degli elementi di ambiguità e di contrasto con una corretta politica di semplificazione e di decentramento delle competenze che ancora sono contenuti nel corpo legislativo e normativo. Una rimozione che dovrà avvenire con circolari interpretative, quando possibile; con parziali ma significative correzioni, quando indispensabile.

I tempi e i modi del decentramento sono dettati dalla stessa capacità/volontà degli Enti destinatari delle funzioni, dalla loro convinzione a procedere, dalla disponibilità di uomini e di risorse, dalla comune capacità di definire Accordi interistituzionali che moltiplichino queste disponibilità, amplino le opportunità di sinergia, allarghino il fronte del consenso alla prospettiva del decentramento.

Questo è il senso della proposta di Accordo per il Decentramento e la Semplificazione che viene succintamente descritto al seguente punto 6 e proposto, in bozza, in allegato.

3. Come procedere? Tre grandi obiettivi

Non è facile in tempi brevi indirizzare il sistema di pianificazione regionale verso nuovi obiettivi e principi: occorre rimuovere routine burocratiche radicate e costruire una nuova cultura del governo del territorio.

Innanzi tutto, occorre sostituire alla logica del controllo quella della pianificazione, alla prassi degli accordi “caso per caso” quella della concertazione istituzionale per il perseguimento di obiettivi strategici, alla cultura dell’espansione e del consumo del suolo quella della salvaguardia e della riqualificazione del territorio.

In questa direzione sembrano centrali tre grandi obiettivi programmatici:

a. al documento regionale di assetto generale (DRAG) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. Ma l’attuale versione del DRAG, costruita senza la necessaria partecipazione e condivisione pubblica, ripropone un modello consolidato di governo del territorio la cui inefficacia è ben chiara ai più. Occorre quindi reimpostareil DRAG, perché questo diventi quadro condiviso delle grandi opzioni strategiche regionali, e quindi riferimento innanzitutto per l’azione della Regione nei diversi settori, perché valorizzi l’esperienza delle Province nel campo della pianificazione di area vasta, e perché sia in grado di fornire risposte alle difficoltà comunali di governo del territorio a scala locale;

  1. conseguentemente, così come da tempo è accaduto in pressoché tutte le regioni italiane, bisogna rafforzare il ruolo delle Province nella pianificazione territoriale, consentendo ad esse di svolgere efficacemente i compiti assegnati dalla legislazione nazionale e regionale, e valorizzando il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) anche attraverso l'assimilazione e lo sviluppo dei contenuti della pianificazione paesaggistica;
  1. occorre infine sostenere i Comuni nella faticosa attività di rinnovamento della pianificazione comunale, interpretando il principio della co-pianificazione come rapporto collaborativi che dovrebbe legare Regione ed Enti Locali durante l’intero percorso di costruzione/approvazione del Piano, e non solo, come sancito dalla L.R.20/2001,la fase terminale del processo in caso di deliberazione dell’incompatibilità del PUG con il DRAG o il PTCP.

Collocato in questo quadro programmatico, il compito di definizione dei possibili campi e modi di collaborazione tra la Regione e le Province impone di trascendere l’interpretazione ristretta e limitativa delle specifiche competenze istituzionali degli Enti, e di declinare le disposizioni dell’art. 2 della L.R.20/2001 nel modo più ampio possibile, moltiplicando ed articolando i processi partecipativi e di concertazione interistituzionale pur previsti dalla stessa L.R.20/2001 per il DRAG, per i PTCP e per i PUG.

Questa prospettiva va naturalmente strumentata ed organizzata, perché non si risolva in confusione e in demagogico richiamo formale alla partecipazione ed alla co-pianificazione. La proposta di Accordo che segue, è dunque una prima proposta di strumentazione, che andrà perfezionata ed articolata attraverso specifiche Convenzioni, da formulare assieme alle singole amministrazioni provinciali, al fine di tener conto delle diverse condizioni di operatività e di avanzamento dei lavori di redazione dei PTCP.

4. Problemi e opportunità del quadro normativo

Il quadro normativo pugliese presenta molteplici lacune e taluni orientamenti non condivisibili; in particolare con la Legge Regionale 13 dicembre 2004, n. 24, si è riproposto un modello gerarchico tra DRAG e PTCP e nei rapporti tra Regione e Province che va superato in favore della distinzione delle rispettive funzioni e dell’autonomia dell’esercizio delle potestà amministrative attribuite a ciascun Ente, pur nel coordinamento tra i diversi livelli istituzionali e nel perseguimento condiviso dei principi di tutela e di sviluppo sostenibile.

È pertanto intenzione di questo Assessorato presentare un’apposita proposta di legge per la modifica della Legge Regionale 13 dicembre 2004, n. 24 e della Legge Regionale 27 luglio 2001, n. 20, orientata a superare una concezione non più condivisibile e per liberare ed incentivare tutte le potenzialità insite nella pianificazione provinciale.

Nelle more della modifica legislativa alla normativa regionale, è tuttavia opportuno chiarire con adeguata nettezza che la mancata approvazione del DRAG non impedisce in alcun modo alle Province di avviare e portare avanti il processo di pianificazione, mediante adozione del PTCP (e successiva approvazione dello stesso dopo il controllo di compatibilità previsto dall’art. 7 della L.R.20/2001).

Difatti, per quanto l’art. 1 della L.R.24/2004 preveda che il DRAG costituisca “riferimento vincolante” per la pianificazione provinciale, e per quanto l’art. 6 della L.R.20/2001 preveda che il PTCP sia adottato dalla Provincia in “conformità ed attuazione del DRAG”, non può in alcun modo ritenersi che, in assenza del DRAG, le Province non possano esercitare la propria potestà pianificatoria e non possano pertanto adottare il PTCP.

Occorre difatti rammentare (ma ciò dovrebbe essere del tutto superfluo) che la competenza alla redazione del PTCP viene attribuita alla Provincia da norma statale (da ultimo art. 20 D.Lgs. n.267/2000) e che tale assetto di competenze trova oggi preciso ed univoco sostegno costituzionale (essendo stati recepiti nell’art. 118 della Carta i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, che impongono l’attribuzione di specifiche funzioni amministrative alle Province allorché sia necessario per assicurarne l’esercizio in forma unitaria).

Una norma di Legge Regionale che consentisse alla Regione di inibire attraverso un proprio atto amministrativo (la mancata adozione del DRAG) l’esercizio dei poteri di pianificazione della Provincia, precludendo sine die l’adozione del PTCP, risulterebbe dunque manifestamente incostituzionale, sia per contrasto con la norma statale (art. 20 del D.Lgs. n. 267/2000), sia per contrasto con l’art. 118 della Costituzione.

Ebbene, poiché nel nostro ordinamento vige il principio che impone di interpretare le leggi in modo conforme alla Costituzione, i citati articoli della normativa regionale (l’art. 1 della L.R.24/2004, l’art. 6 della L.R.20/2001) vanno interpretati nel senso che il DRAG acquisterà efficacia “vincolante” per la pianificazione provinciale solo allorquando verrà ad esistenza, ma che prima della sua approvazione le Province possono comunque procedere alla adozione del PTCP, conformandosi ai generali precetti normativi della legge statale e regionale, oltre che al PUTT.

Tale interpretazione, compatibile peraltro con il dato letterale delle norme che non escludono espressamente l’esercizio della potestà pianificatoria provinciale prima dell’approvazione del DRAG, consente di non far ricadere sulle Province i ritardi della Regione, e consente altresì di ricostruire i rapporti tra Regione e Province in conformità ai dettati costituzionali.

In mancanza della esplicitazione dei criteri e dei principi da parte del DRAG, la Regione si rende peraltro pienamente disponibile ad attivare immediatamente le opportune sedi istituzionali per la condivisione delle conoscenze e dei principi che dovranno informare le rispettive attività; ciò potrà avvenire sia mediante apposite conferenze di co-pianificazione preordinate alla adozione dei PTCP (conferenze che, sebbene non espressamente previste nella L.R.20/2001, non sono certamente precluse essendo anzi conformi ai generali principi statuiti dalla L.241/1990 sul procedimento amministrativo), sia mediante costituzione di un tavolo interistituzionale di regia del processo, proprio quale quello proposto dalla bozza di Accordo che segue.

5. Quale, in questo disegno, il ruolo della pianificazione provinciale? Di quale strumentazione operativa è necessario dotarsi?

Dei tre obiettivi precedentemente descritti, se il primo costituisce il generale quadro di riferimento per la nuova politica urbanistica regionale e l’ultimo costituisce il più impegnativo e complesso, per il numero dei soggetti coinvolti, per le azioni da promuovere e monitorare, per la significatività che la disciplina locale dell’uso del suolo rappresenta nell’opera di governo del territorio, il secondo, vale a dire il rafforzamento e lo sviluppo della pianificazione provinciale, è senza dubbio quello centrale, il naturale presupposto degli altri due, quello che li rende credibili e concretamente perseguibili.

Sarebbe del tutto improponibile, infatti, un’approfondita rivisitazione del DRAG senza un robusto contributo delle Province, così come risulterebbe al di sopra delle forze della sola Regione l’azione di servizio ai Comuni, impegnati nell’elaborazione dei loro PUG, azione che è invece indispensabile per il contributo innovativo che anche in campo urbanistico questa amministrazione vuole fornire alla politica regionale pugliese.

E’ dunque necessario fornire una prima valutazione comune del cammino che le Province devono compiere, per definire possibili strumenti di collaborazione, reciproci stimoli all’azione, sinergie finanziarie ed operative.

Allo scopo si allega una serie di riflessioni sulle esigenze organizzative e di strumentazione che l’esperienza consiglia sulla costruzione del processo di piano (v. all. 2).

6. Per un Accordo per il Decentramento e la SemplificazioneSembrano a questo punto chiarele finalità di un Accordo tra Regione e Province sul tema del decentramento delle funzioni urbanistiche e sulla conseguente semplificazione delle procedure.

Le finalità dell’Accordo possono così essere sintetizzate:

a. costituire un organismo interistituzionale di coordinamento delle politiche territoriali ed ambientali degli Enti sottoscrittori, con lo specifico obiettivo di accompagnare l’azione regionale di decentramento delle competenze e di semplificazione delle procedure, nell’ambito di una più generale volontà di coordinare le politiche territoriali ed ambientali degli Enti di governo di area vasta

b. dotare detto organismo di adeguate strutture tecniche interistituzionali di istruttoria e proposta

c. predisporre adeguati programmi di collaborazione tra gli Enti sottoscrittori nonché i criteri di individuazione e di attribuzione delle risorse necessarie

Gli impegni dell’Accordo, da sviluppare in un vero e proprio articolato convenzionale da adattare alle esigenze e alle condizioni operative e finanziarie di ciascun Ente sottoscrittore, ai sensi dell’art.30 del T.U. 267/2000, strumenteranno quanto previsto nella Dichiarazione di Intenti, vale a dire:

1. l’impegno delle Province a predisporre, entro un ragionevole periodo di tempo (e comunque entro il presente mandato), il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, costituendo anche le indispensabili strutture operative dedicate alla funzione della pianificazione territoriale: Ufficio di Piano, Comitato di Coordinamento, Ufficio Cartografico e SIT;

2. l’impegno della Regione a contribuire, in termini organizzativi all’opera di redazione del Piano e, nel caso di Province già sostanzialmente dotate dello strumento, al consolidamento degli apparati, allo sviluppo degli archivi di documentazione e di approntamento dei modelli di valutazione;

3. l’impegno delle Province a contribuire alla rielaborazione del DRAG, per quanto riguarda la parte relativa alla pianificazione provinciale e comunale, fornendo la disponibilità di propri tecnici alla composizione di un quadro di analisi e di indirizzo il più possibile documentato;

4. l’impegno della Regione a trasferire i poteri in materia urbanistica alle Province una volta approvato il PTCP e, in attesa dell’approvazione, a coinvolgere gli Uffici di Piano provinciali nelle istruttorie di approvazione degli strumenti urbanistici locali

5. l’impegno della Regione e delle Province a costituire appositi organismi interistituzionali di carattere tecnico ed organizzativo ai quali affidare l’istruttoria tecnica dei temi specifici progetti di approfondimento delle tematiche connesse alla semplificazione in materia urbanistica e al decentramento amministrativo, nonché dei temi connessi alle principali trasformazioni infrastrutturali e insediative regionali.

I descritti impegni verranno discussi e meglio puntualizzati nelle riunioni con le singole Province che l’Assessorato regionale si impegna ad organizzare nel periodo settembre/dicembre, con l’obiettivo di rendere l’intera proposta operativa all’avvio del 2006.

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