La richiesta di uno sciopero generale che i movimenti sociali e quelli studenteschi «uniti contro la crisi» hanno rivolto alla Cgil domenica scorsa a conclusione di un'affollata assemblea alla Sapienza di Roma non è un ritorno all'antico. Nel documento finale (pubblicato sul sito del Manifesto) emerge la necessità di unificare le lotte sui beni comuni: dal lavoro alla conoscenza, dall'acqua ai diritti sociali. «È un elemento di novità - dice Maurizio Landini, segretario della Fiom, il giorno dopo un intervento applaudito - da un lato i movimenti riconoscono nella Cgil il soggetto che proclama lo sciopero, dall'altro lato c'è l'impegno di creare un'azione comune in difesa della scuola, dell'università pubblica e dell'occupazione».
La base dell'intesa tra il sindacato e i movimenti non è soltanto diplomatica. Deriva dalla necessità di cambiare la matrice culturale neoliberista alla quale la sinistra politica ha aderito acriticamente negli ultimi vent'anni. Alla separazione esistenziale, prima ancora che politica, tra questa sinistra e il lavoro operaio, si è aggiunta quella, ancora più tragica, con il mondo del lavoro parasubordinato e quello autonomo. Dopo avere riaffermato la centralità del reddito e della condizione operaia, insieme alla necessità di un'«auto-rappresentazione» dei movimenti sociali, l'assemblea ha ribadito la distanza con quella sinistra che ha introdotto nel mercato del lavoro italiano possenti dosi di lavoro flessibile senza prevedere garanzie sociali. «Sono misure che hanno condannato alla disperazione le nuovi generazioni che oggi chiedono una riforma radicale del Welfare» ricorda Domenico Pantaleo, segretario Flc-Cgil.
Per affrontare una simile richiesta sarà necessario un drastico cambiamento di mentalità, oltre che di paradigmi culturali. «Devo riconoscere che la domanda di un reddito di cittadinanza da parte dei movimenti pone ad un metalmeccanico un problema culturale - ammette Landini - ho sempre pensato che se uno non lavora e viene pagato è un problema. Oggi però mi rendo conto che la richiesta del reddito denuncia la mancanza di un diritto fondamentale e parla agli operai e a chi operaio non è».
La strada da fare è ancora lunga, ma in attesa di iniziare il viaggio c'è chi riscopre un linguaggio che solo l'altro ieri sembrava essere prerogativa esclusiva dei movimenti. Si torna così a denunciare la «società classista» in cui l'81,4 per cento dei laureati proviene dalle famiglie del ceto medio e il 10 per cento della popolazione possiede il 45 per cento delle risorse. Nessuno può ormai ignorare che il 30 per cento dei giovani fino a 24 anni vive con lo spettro della disoccupazione di lungo periodo, intervallata con brevi periodi di lavoro nero o intermittente. Senza considerare le prospettive di chi è vent'anni più anziano e già vive la crisi delle società dell'economia del terziario avanzato in cui l'occupazione tornerà a livelli accettabili solo nel 2015, lasciandosi alle spalle una moltitudine di inoccupati e di lavoratori autonomi sotto-pagati. «In questa prospettiva - ribadisce Francesco Raparelli, uno degli estensori dell'appello «Uniti contro la crisi» - il reddito di cittadinanza non è una forma assistenziale, ma è una garanzia fondamentale che operai, studenti e ricercatori possono usare per rifiutare il ricatto della precarietà». Un lungo calendario di date è stato preparato per tenere alto il «conflitto sociale» al quale tutti, sindacati compresi, aspirano in questo inizio di autunno. Il 30 ottobre gli studenti medi e universitari aderiranno alla manifestazione promossa dai precari della scuola a Napoli, il 17 novembre ci sarà la giornata mondiale dedicata agli studenti e infine l'11 dicembre quando «uniti contro la crisi» tornerà a chiedere alla Cgil di proclamare lo «sciopero generale e generalizzato».