Faccetta nera, bell’abissina
Aspetta e spera che già l’ora s’avvicina.
Quando saremo vicino a te
Ti porteremo il nostro duce e il nostro re!
Comincio così, e non sembri che il tono sia leggero. Provo a utilizzare pezzi da letture e riflessioni che non sono quelle che di solito richiamiamo su questi temi. Possono forse servire. In questo scritto voglio che le vicende italiane ci siano ben presenti perché, allargando lo sguardo a quel che avviene su queste questioni a livello europeo e internazionale, finisce che di noi non ci occupiamo abbastanza. Pensiamoci per un momento a quello che si voleva affermare con questo ritornello patetico: la superiorità, e anche la bonomia, di noi italiani (fascisti) nell’impresa coloniale; e che avessero pazienza, avremmo portato loro questi straordinari regali, il nostro duce e il nostro re.
Nel luglio 1938 - dunque, settant’anni fa- esce il “Manifesto della razza” stilato da intellettuali e studiosi di varia appartenenza. Dieci punti, ma mi fermo ai primi tre.
1. Le razze umane esistono.
La esistenza delle razze umane non è già un’astrazione del nostro spirito ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti di milioni di uomini simili per i caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano a ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuol dire a priori che che esistono razze superiori o inferiori ma che esistono razze umane differenti.
2. Esiste ormai una pura “razza italiana”
Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico-linguistico di popolo e di nazione ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli Italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione italiana.
3. E’ tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti.
Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti d razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo ariano-nordico. Questo (…) vuole soltanto additare agli Italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extra-europee, questo vuol dire elevare l’italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.
Qualche altro dato, perché queste informazioni mancano a quasi tutti noi.
Nei mesi successivi alla pubblicazione del “Manifesto” si hanno prese di posizione di intellettuali vari e di docenti universitari: limitati i dissensi.
Tra l’estate e l’autunno il governo Mussolini vara le “leggi razziali”, cominciando con i “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista” firmati dal re Vittorio Emanuele III il 5 settembre 1938. Nei mesi successivi vengono promulgate norme che escludono i bambini ebrei dalle scuole, impediscono agli ebrei l’esercizio di qualsiasi professione e di possedere beni.
Si entra in una fase in cui molti (di noi, italiani), sono stati coinvolti: racconti e documenti ci confermano insulti e pratiche discriminatorie contro gli ebrei, e le denunce, e tanti che assistono alle retate e alle deportazioni o hanno un ruolo attivo nell’organizzarle. Poi quelli che si impossessano dei beni lasciati incustoditi. E peggio, per anni e anni.
Dalla scelta di parole (e allusioni, metafore, stereotipi) all’elaborare e comunicare ideologie, a legiferare; e dalle ideologie e le politiche, alle pratiche: diffuse, considerate ovvie, comunque tollerate. Le persecuzioni, le violenze, lo sterminio.
Così procede il razzismo. In molti casi segue il silenzio; o la negazione. O la ricostruzione di una memoria selettiva e distorta. Dimenticare, minimizzare.
Un documento dell’Unione Europea pubblicato nel 2007 (Report of Racism and Xenophobia in the Member Countries), fa il punto sulla disponibilità di dati, sulle iniziative nei diversi contesti nazionali, su “buone pratiche”in questo ambito. L’Italia risulta assente per quasi tutte le voci rilevate a livello europeo. Ma la questione ovviamente non riguarda noi soltanto.
Torna la parola razzismo
A me va bene che questa parola ritorni.
Diventata negli ultimi anni desueta, quasi impropria, ritorna, in scritti e convegni, sui giornali e in televisione, e anche nel nostro linguaggio quotidiano. Era stata, come dire, messa da parte, semmai sostituita da altre: paura, insicurezza. Certo molti (osservatori del mondo in cui viviamo, studiosi, e soprattutto quelli che continuano ad avere esperienza diretta di ciò che questa espressione significa) erano pienamente consapevoli di ciò che il termine evoca (tragedie della storia passata e condizioni e processi del presente). Ma parlarne sembrava una cosa ripetitiva, fuori del tempo. E’ stato comunque inutile anche provarci.
Oggi siamo sollecitati a interrogarci di nuovo sul razzismo (e su perché il razzismo, i razzismi, permangono nel tempo, ci siano fasi come di “latenza”, e poi riemergono). E che cosa questo possa significare - la latenza, il permanere sotterraneo, il riemergere in determinati momenti - chiediamocelo in modo non banale, senza frettolose semplificazioni.
Innanzitutto, dicendo razzismo è di noi che si tratta: di ciascuno di noi di fronte alle responsabilità del vivere, alla consapevolezza, e al coraggio. Ricordiamola questa frase di Bertold Brecht:
Prima di tutti vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendermi e non c’era rimasto nessuno per protestare…
L’attenzione va rivolta a noi, noi italiani, europei (non soltanto, naturalmente). Da diversi anni al centro delle analisi e del dibattito sono loro, gli immigrati, gli stranieri, gli altri. Come se non si trattasse di guardare allo scenario complessivo, e a noi come i soggetti principali dei processi che riguardano, è ovvio, sia noi che loro.
Riprenderla, questa parola, è - più che utile - necessario. Noi, appunto. Oggi. Si era creduto, nei decenni scorsi, che le esperienze terribili del razzismo che ha segnato l’Europa ci avessero insegnato, impegnato anzi, a non riviverle.
MAI PIU’, si era detto.
Che la parola razzismo ritorni oggi ci costringe a soffermarci sulle circostanze del sotterraneo perdurare di questa componente della società e sul fatto che, nel riemergere a cui stiamo assistendo, ne è venuta alla luce una diffusa accettazione e condivisione. Ritorna, permane, è condiviso: dunque chiediamoci se il mai più sia possibile dirlo.
Recurring racisms è una formulazione che ho incontrato di recente.
Forse dovremmo affrontarlo, questo tema, con la stessa impietosa lucidità con cui James Hillman ha analizzato il permanere, nella storia dell’umanità, del “terribile amore per la guerra”.