PROGETTI E PROSPETTIVE PER IL PARCO DELL'APPIA ANTICA
di Vittoria Calzolari
(in: La via Appia, a cura di Stefania Quilici Gigli, Roma 1990)
I primi trent’anni della storia moderna dell’Appia Antica ripercorsi da una protagonista. Dal volume La via Appia (a cura di Stefania Quilici Gigli), Roma, 1990 (m.p.g.).
1. 1946‑1976: trent'anni di alterne vicende
All'inizio del 1976 in una mostra e convegno a Palazzo Braschi, fu presentato lo studio «Piano per il Parco dell'Appia Antica» preparato dalla Sezione di Roma di Italia Nostra. Sembrava che si stesse felicemente concludendo una travagliata vicenda trentennale che aveva visto la «questione Appia Antica» ora totalmente perduta, ora riemergente e quasi al sicuro da quella che Goethe ‑ parlando di luoghi come l'Appia Antica ‑ definiva «la follia devastatrice alla quale tutto deve cedere» [1].
Trent'anni prima del 1976, nell'immediato dopoguerra, era ripresa l'attuazione dei piani particolareggiati previsti dal Piano Regolatore del 1931, dando il via a una nuova ondata di edifici intensivi, palazzine, ville intorno alla Valle della Caffarella, al Quarto Miglio, sull'Appia Antica: queste costruzioni e quelle abusive che ad esse si sono aggiunte hanno sostanzialmente trasformato gli accessi alla via Appia Antica, il carattere delle strade interne, i profili della campagna circostante.
Vent'anni prima il drammatico appello di un gruppo di uomini di cultura (primo firmatario Corrado Alvaro ultimo Umberto Zanotti Bianco) [2] contro la devastazione del territorio dell'Appia, sembrava avere toccato amministratori e politici, fino allora silenziosamente o attivamente acquiescenti. Nell'appello del febbraio 1954, si denunciava lo scempio, si chiedeva il rispetto assoluto delle parti ancora libere, la demolizione degli edifici abusivi, la preparazione di un piano unitario da inserire nel Piano Regolatore.
Come risultato il Consiglio Comunale di Roma approvava un ordine del giorno per la sospensione delle licenze edilizie, il Ministero della Pubblica Istruzione avviava lo studio del Piano Paesistico dell'Appia Antica attraverso una commissione presieduta da Zanotti Bianco. Il Piano paesistico pubblicato nel 1955 prevedeva alcune macchie di edilizia estensiva, ma era sufficientemente tutelante. Ma, sotto la pressione dei proprietari di aree, veniva rielaborato e sostanzialmente peggiorato nella riedizione del 1960. Di fatto il piano di tutela diventava un piano di edificazione con quasi cinque milioni di metri cubi costruibili entro il perimetro del parco; un trattamento speciale veniva riservato alla valle della Caffarella ‑ prevalentemente proprietà di Torlonia e Gerini ‑ nella quale alla promessa di cessione al Comune delle aree di fondovalle corrispondeva una accresciuta edificabilità dei terreni elevati.
Dieci anni prima del 1976 il Decreto Ministeriale di approvazione del Piano Regolatore Generale di Roma aveva dato la risposta più insperatamente positiva alle sollecitazioni espresse, durante il convegno del 10 novembre 1965 presso il ridotto del Teatro Eliseo, da uno schieramento di forze culturali e di alcune forze politiche estremamente deciso e unitario nelle sue richieste: si chiedeva che venisse garantita la tutela completa del territorio dell'Appia Antica modificando, in fase di approvazione ministeriale, il Piano Regolatore adottato dal Comune di Roma nel 1962: questo, pur avendo sensibilmente migliorato il Piano Paesistico, manteneva molte macchie edificabili nelle parti più vicine alle Mura Aureliane.
Il decreto firmato da Giacomo Mancini, allora Ministro dei Lavori Pubblici, destinava a parco pubblico ‑ Zona N del Piano Regolatore l'intera area di 2517 ettari compresa in un perimetro sensibilmente ampliato rispetto a quello del Piano Paesistico.
All'entusiasmo del momento seguivano però alcuni anni di totale assenza di iniziative pubbliche e di ripresa di più o meno palesi iniziative private ‑ frazionamento di terreni, ristrutturazioni di casali, cambi di destinazioni d'uso, oltre alle costruzioni abusive concentrate soprattutto nella zona di Cava Pace. E tuttavia con la forte ripresa dell'iniziativa di base e delle associazioni culturali della fine anni sessanta ‑ inizio anni settanta sui temi della vivibilità urbana, del verde, della tutela delle memorie storiche, anche il tema dell'Appia Antica viene riportato all'attenzione dei cittadini e degli amministratori.
In questo clima viene presentata nel 1969 la proposta di legge Giolitti‑La Malfa, che per la prima volta impegna in modo concreto il Governo a concedere al Comune di Roma un contributo di 30 miliardi per l'esproprio e la sistemazione dell'intero comprensorio.
In questo clima nel 1972 l'Amministrazione Comunale di Roma predispone l'esproprio di 80 ettari della Valle della Caffarella (da fuori Porta S. Sebastiano fino al Casale della Vaccareccia) utilizzando la possibilità data dalla recente legge n. 865 del 1971 di acquistare i terreni a prezzo agricolo.
In questo clima viene sviluppato il Piano per il Parco dell'Appia Antica promosso da Italia Nostra.
Quasi in contemporanea ‑ e forse in qualche modo sollecitati dalla risonanza che ebbe allora il Piano ‑ si verificarono altri due fatti positivi per l'Appia Antica: l'approvazione da parte della Regione Lazio dell'esproprio degli 80 ettari deciso dal Comune quattro anni prima (D.R.L. n. 220 del 9/2/1976) e la decisione da parte del Comune di avviare la seconda fase di esproprio ‑ 110 ettari ‑ che avrebbe completato il parco della Caffarella. Senonché nell'ultima seduta del Consiglio Comunale prima delle elezioni del giugno 1976 ‑ alla delibera venne a mancare l'appoggio della maggioranza.
E tuttavia sui prati della valle della Caffarella nelle settimane prima delle elezioni si svolsero raduni, feste e «corse per il verde» nella speranza che l'attesa trentennale fosse ormai arrivata alla soluzione.
2. Il Piano per il Parco dell'Appia Antica ‑ 1976
Lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica è stato elaborato tra il 1973 e il 1976 su iniziativa della Sezione Romana di Italia Nostra da un gruppo di lavoro interdisciplinare di cui facevano parte esperti in archeologia, storia territoriale, geologia, botanica, forestazione, urbanistica, paesistica, legislazione [3]; è stato presentato nel febbraio 1976 in una mostra a Palazzo Braschi, accompagnata da una serie di incontri e visite guidate; è stato ripresentato nel 1984 ‑ aggiomato e integrato con il quadro della situazione del verde del settore est e con le proposte per l'Appia nel frattempo intervenute ‑ in una pubblicazione alla quale si rimanda per una documentazione più approfondita [4].
Il carattere, l'interesse e anche l'attualità di questo studio credo siano fortemente legati a quanto si è saputo cogliere, allora, del particolare momento culturale e sociale di cui ho detto e di conseguenza all'avere assunto come ipotesi, nelle indagini e nelle proposte, la reale fattibilità di quell'opera. Lo studio è stato sviluppato ‑ come detto ‑ da esperti di diverse discipline, ciascuno dei quali ha condotto una ricerca specifica sul suo campo, ma anche con la costante, attiva collaborazione di chi conosceva i luoghi perché ci viveva, con la collaborazione dei gruppi culturali locali e delle circoscrizioni, assai più vitali allora di oggi. Obiettivo comune era trovare un filo conduttore tra le diverse categorie di valori, intorno al quale costruire l'unità formale e organizzativa del parco: e ciò non solo per motivi estetici, o storici, o urbanistici, ma anche perché alla nascita di un'immagine unitaria nella mente e nell'opinione pubblica era legata la possibilità di fare davvero il parco e tutelarne l'integrità, continuamente minacciata dalle iniziative tendenti a sottrarre delle parli a un complesso «così vasto e così eterogeneo».
Come elemento‑base di struttura sono stati assunti nel progetto del Parco i grandi lineamenti geomorfologici (colata lavica di Capodibove, canaloni, dossi, cave, ecc.) ai quali si legano i lineamenti e le potenzialità vegetazionali e colturali (vegetazione delle zone umide di fondovalle, dei pendii e dossi, delle cave, dei ruderi, boschi, prati‑pascolo, ecc.).
Alla morfologia, alle acque, ai paesaggi vegetali si legano anche le scelte insediative e le strutture archeologiche e storiche, viste come sistema unitario da ricomporre, dai Fori fino alle Frattocchie e poi, attraverso il Parco dei Castelli, al Tuscolo. Coerentemente con questa linea progettuale lo studio ha compreso i seguenti argomenti:
‑ lettura contestuale del territorio sotto il profilo fisico, storico, della proprietà, del suo uso attuale e rapporto con la città attraverso rilevamento diretto sul posto e documentazione catastale, d'archivio, presso uffici, ecc.;
‑ proposta di sistemazione complessiva del parco dal Campidoglio fino ai confini comunali, fondata sulla restituzione dell'unítà geomorfologica, storica, paesistica, ma anche sul soddisfacimento della domanda di verde, di cultura e svago di chi abita ai margini del parco e dell'intera cìttà (sì veda l'allegato schema di assetto del parco);
‑ studio della reale fattibilità della proposta, sotto il profilo giuridico, finanziario e attuativo.
Un intento del Piano è stato infatti quello di offrire un metodo per programmare e attuare il parco che coordinasse i problemi tecnici con quelli istituzionali e legislativi. Lo schema di legge per il finanziamento e la costituzione del parco e l'organo di gestione ipotizzati (un'azienda consortile con la partecipazione della Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, associazioni culturali e scientifiche) erano evidentemente abbastanza idonei, tanto che sono stati assunti quasi per intero nella Proposta di legge regionale recentemente approvata. Si prevedeva allora che il parco venisse attuato in dieci anni con un investimento statale di 45 miliardi (15 per espropri, 30 per sistemazioni), utilizzando la possibilità data dalla legge n. 865 /71 che consentiva di espropriare aree non urbanizzate al prezzo del terreno agricolo [5].
Altro tema dello studio era la gestione: si prefigurava come la gente avrebbe utilizzato il parco concentrandosi nelle parti attrezzate e diradandosi in quelle più «naturali»; si individuavano le essenze e le formazioni vegetali più adatte a svilupparsi spontaneamente, in quanto autoctone, e insieme adatte a creare un paesaggio coerente con la natura e la storia dei luoghi; si studiava in particolare il problema della fruibilità e insieme tutela dei monumenti, dei percorsi storici, delle cavità di interesse storico e scientifico. Il tutto nell'intento di ridurre al minimo, attraverso la progettazione, gli enormi problemi di manutenzione e gestione che rendono la conduzione di un parco (e in particolare di un parco archeologico) ancor più difficile della sua creazione.
3. Dal 1978 ad oggi
Una delle prime iniziative della nuova amministrazione comunale di Roma ‑ giunta di sinistra con sindaco G.C. Argan ‑ fu l'approvazione della delibera per l'acquisizione della Caffarella restata sospesa. Ma, a partire dal 1977, il vento di restaurazione che cominciava a scalzare le fondamenta della disciplina e della prassi urbanistica investì anche la questione Appia Antica; a ciò si aggiunse, da parte delle amministrazioni locali, una non sufficiente prontezza ed energia di iniziativa.
Nel 1978 ‑ mentre il Comune prendeva in consegna la parte della Caffarella già espropriata ‑ il Consiglio di Stato accoglieva i ricorsi dei proprietari contro l'esproprio, per il mancato stanziamento di fondi adeguati. Di conseguenza nel 1980 il Comune doveva restituire gli atti di proprietà e i terreni; contemporaneamente una sentenza della Corte Costituzionale invalidava i criteri di esproprio basati sul valore agricolo dei suoli contenuti nella legge n. 865/71 e nella successiva «legge sui suoli» n. 10/77, senza peraltro dare nuovi criteri: si determinava così la situazione ‑ che tutt'oggi perdura ‑ di impossibilità per le pubbliche amministrazioni di acquistare a costi ragionevoli e prevedere l'entità degli impegni finanziari da assumere.
Nel 1981 il Comune tentava di rientrare in possesso dei terreni perduti utilizzando la facoltà di occupazione per «opera necessaria e urgente» data dalla legge n. 1/78; ma si trattava, per i motivi detti prima, di un'operazione al buio sotto il profilo dell'impegno finanziario; i 5,5 miliardi inclusi nel bilancio comunale 1982 per finanziare l'opera ‑ come richiesto dalla legge ‑ erano ormai certo insufficienti, per l'enorme lievitazione dei prezzi dei terreni causata dalla sentenza di cui si è detto. Il progetto di sistemazione della Valle della Caffarella preparato dall'Ufficio Giardini del Comune ebbe tutte le approvazioni prescritte ma restò sulla carta.
Nel 1984 decadono i vincoli ‑ più volte prorogati ‑ della destinazione a parco pubblico prevista dal Piano Regolatore: si è in prossimità delle nuove elezioni del 1985, si parla di un nuovo Piano Regolatore Generale per Roma, non si riesce ‑ come tentato ‑ a rinnovare in tempi utili almeno i vincoli, con un piano‑stralcio. Così il Piano Paesistico del 1960 torna ad essere il solo strumento di tutela; ma di quale tutela!
A partire dal 1985 nella vicenda dell'Appia Antica, insieme ad alcuni spiragli di speranza, vi sono nuovi pesanti motivi di preoccupazione. Tra questi: il moltiplicarsi delle operazioni di frazionamento dei suoli e di liquidazione delle aziende agricole ancora efficienti, il moltiplicarsi di piccoli manufatti abusivi e discariche, la richiesta da parte dei proprietari di realizzare nella Valle della Caffarella un campo di golf su 110 ettari e, da parte dello stesso Comune, la riproposizione di una strada di collegamento tra via Cilicia e via Latina che taglierebbe l'imbocco della Caffarella e che era stata eliminata dalle previsioni perché fortemente incompatibile con l'ambiente del parco.
Tra i fatti virtualmente positivi rientra l'obbligo per la Regione Lazio, a seguito della legge n. 431/85, di predisporre un nuovo Piano Paesistico per l'Appia Antica. Tale piano, redatto con due anni di ritardo rispetto al termine del 31 dicembre '86 posto dalla legge, non è mai stato discusso in Consiglio regionale né presentato al pubblico: è un oggetto misterioso, il che naturalmente non rassicura.
Tra i fatti positivi è l'approvazione da parte del Consiglio regionale del Lazio della legge per l'istituzione del «Parco regionale suburbano dell'Appia Antica» del 21 Settembre 1988. La legge istitutiva riprende per molti aspetti come già detto ‑ lo schema di legge allegato al Piano del 1976. Sono finalità del parco:
‑ tutelare monumenti e complessi archeologici e diffondere la conoscenza;
‑ preservare e ricostituire l'ambiente naturale,
‑ creare e gestire attrezzature sociali, culturali e ricreative, compatibili con il carattere del parco.
Entro un anno dall'approvazione della Legge si sarebbe dovuto costituire l'organo di gestione ‑ un'Azienda consorziale formata da Regione, Provincia, Comuni di Roma, Marino, Ciampino, Circoscrizioni e il Comitato Tecnico-scientifico; entro altri 12 mesi questi avrebbero dovuto predisporre un piano di assetto del parco. Senonché, dopo un anno e mezzo, nulla di questo è accaduto. Resta di positivo il fatto che con l'approvazione della Legge sono entrati in vigore vincoli di salvaguardia che impediscono edificazioni e trasformazioni e si sono per lo meno esplicitate le finalità e la struttura di gestione. Emergono ‑ e andrebbero al più presto corretti ‑ alcuni limiti, non si sa quanto dovuti a dimenticanza o a vincoli di tipo politico: come lo scarso rilievo dato all'aspetto archeologico (non è previsto un archeologo nel comitato tecnico‑scientifico), come una pericolosa sovrapposizione tra piano di assetto del parco e programma di sviluppo dell'Azienda ed una non chiara identificazione di cosa va acquisito al patrimonio pubblico, in che tempi e con quali finanziamenti.
Del Parco dell'Appia Antica si è occupato anche il Decreto per Roma Capitale, quattro volte reiterato e non approvato, poi decaduto e non più ripresentato dopo essere stato discusso per un anno nella Commissione parlamentare territorio: prevedeva un finanziamento di 140 miliardi per espropri di terreni dell'Appia e del Sistema direzionale orientale, senza specificare quanto andasse all'una o all'altro.
Più specifica, più completa la Proposta di legge n. 3858 del 26/4/89 «Interventi per la riqualificazione di Roma capitale della Repubblica» (a firma di Cederna, Bassanini, ecc.), riguardante la realizzazione del Sistema direzionale orientale, la realizzazione del Parco archeologico dell'area centrale dei Fori e dell'Appia Antica, il potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico su ferro.
La questione dell'Appia Antica viene dichiarata «di preminente interesse nazionale» e interamente affidata alla responsabilità dello Stato: per il finanziamento (2 1.000 miliardi nel periodo 1989‑2000) e per l'attuazione (espropri, coordinamento organizzativo, prima fase progettuale affidata ad un comitato presso la Presidenza del Consiglio e al Dipartimento per Roma Capitale). 1 compensi per gli espropri sono basati sulla legge n. 865/71, ma graduati in base al valore d'uso; i finanziamenti derivano da speciali imposte aggiuntive su tabacchi e olii combustibili per autotrazione. 1 vantaggi di questa legge stanno nello snellimento delle procedure, nella chiarezza delle indicazioni sulle acquisizioni e nello sforzo di proporre soluzioni innovative; i pericoli nell'eccesso di centralizzazione. La Proposta di legge all'inizio del 1990 non ha avuto ancora alcun esito.
4. Prospettive
Giunti al 1990 la situazione dell'Appia Antica è di gravità estrema: basti ricordare che non un solo metro quadro è davvero passato alla proprietà pubblica né è stato sistemato, oltre le aree archeologiche e il Parco Ardeatino, già posseduti; l'unica legge ‑ approvata ma non attuata ‑ che dia qualche tutela e prospettiva di assetto del parco è la legge regionale del 1988.
In questa situazione, come nei momenti più difficili della vicenda Appia Antica, è indispensabile ‑ credo ‑ un'azione rinnovata, concorde, decisa e propositiva delle forze culturali e in primo luogo del settore disciplinare più coinvolto nei destini dell'Appia Antica, quello dell'archeologia.
Tale iniziativa è d'altra parte già in corso e si sta consolidando ‑ attraverso un movimento costituito dal Comitato per il Parco della Caffarella e dal Comitato parchi dell'area metropolitana di Roma (cui aderiscono Italia Nostra, INU, Lega ambiente, WWF, e altre associazioni ambientaliste).
Questo incontro di studio, che ha portato nuovi contributi alla conoscenza del significato storico e culturale dell'Appia Antica, è l'occasione per un ulteriore contributo attraverso un documento che affermi l'urgenza di realizzare finalmente il Parco dell'Appia Antica e solleciti le istituzioni a farlo.
Il documento ‑ di cui possono essere qui posti i termini fondamentali e che potrà poi essere approfondito con la collaborazione di altri organismi culturali ‑ dovrebbe chiedere garanzie e fare proposte per la predisposizione di un progetto unitario fondato su di una chiara idea‑guida (la ricostituzione del sistema storico‑ambientale); per i criteri di tutela ‑ anche immediata ‑ di fruibilità, di acquisizione all'uso pubblico; per i modi di finanziamento e gestione; per i tempi entro i quali il comprensorio dell'Appia Antica potrà davvero e definitivamente divenire parte del patrimonio culturale di Roma.
Il documento si deve rivolgere:
‑ al Parlamento, affinché assuma la questione dell'Appia Antica come di preminente interesse nazionale ed emani una legge di finanziamento e modi di acquisizione per l'intero comprensorio;
‑ alla Regione Lazio, affinché presenti alla pubblica discussione il Piano Paesistico dell'Appia Antica e proceda nell'attuazione della Legge Regionale;
‑ al Comune di Roma, affinché attraverso un provvedimento‑stralcio rinnovi il vincolo del Piano Regolatore sul territorio dell'Appia, formalizzi l'efficacia della Carta storico‑archeologica dell'Agro Romano e prenda tutti i provvedimenti immediati per tutelare e migliorare l'integrità dei terreni dell'Appia.
Credo che questa iniziativa, a conclusione dell'incontro in onore di Massimo Pallottino, possa avere anche il significato di omaggio a uno studioso che in tutta la sua attività ha considerato l'archeologia come parte vitale della cultura della città e di un suo ulteriore contributo a questa idea.
[1]W. Goethe, Viaggio in Italia, Firenze 1980.
[2]L'appello pubblicato nel febbraio 1954 era firmato da C. Alvaro, G. Bacchelli, V. Brancati, A. Cecchi, E. Craveri Croce, G. de Sanctis, U. La Malfa, C. Levi, A. Moravia, M. Pannunzio, N. Ruffini, G. Salvemini, I. Silone, M. Valgimigli, U. Zanotti Bianco.
[3]Il gruppo di lavoro che ha svolto lo studio del Piano per il Parco dell'Appia Antica era costituito da: V. Calzolari, S. Carata, M. Olivieri per lo studio urbanistico‑paesistico; L. Benevolo e G. Ferraro per lo studio dell'area interna alle mura; A. Battista, V. Gìacomini per lo studio botanico e vegetazionale; V. Caselli per lo studio idrogeologico; F. Drago per le colture e uso del suolo; G. Gisotti per la geopedologia; L. Quilici per lo studio storico‑archeologico; L. Cassanelli per la storia territoriale; G. Cervati, L. Cervati e P.M. Piacentini per gli aspetti giuridico‑amministrativi. V. Calzolari ha coordinato lo studio. Il gruppo operativo è stato affiancato da un gruppo di rappresentanti dell'Associazione Italia Nostra con M. Antonelli, I. Belli Barsali, A. Cederna, F. Giovenale, G. Luciani, A. Quarra, A. Thierry, A. Toscano.
[4]ITALIA NOSTRA ‑ SEZIONE DI ROMA, Piano per il Parco dell'Appia Antica, Roma 1984.
[5]Alla stessa legge n. 865/71 si erano rifatte nel 1974 la proposta di legge del gruppo parlamentare P.C.I. (Ciai, Giannantoni, Trombadori, Vetere, ecc.) che prevedeva un finanziamento statale di 8 miliardi in 12 anni per l'esproprio dei terreni e quella delgruppo D.C. (Jozzelli e altri)che prevedeva un esproprio limitato alle sole aree non occupate con un finanziamento di 4 miliardi (vedi Piano per il Parco dell'Appia Antica, sopra cit., pp. 193‑195).