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Rita Paris
Per la rinascita dell'Appia
29 Marzo 2014
Pagine di storia
L'appello sulla regina viarum di chi prosegue l'opera di Cederna a tutela di un'area culturale fra le più importanti, preda di abusi e mire speculative. Nel sostanziale silenzio dell'Ente Parco e dell'alta dirigenza Mibact. (m.p.g.)

I provvedimenti della fine dell’800 per costituire una zona monumentale (1887), dal Campidoglio all’Appia, erano finalizzati all’avvio su larga scala di interventi di conoscenza e valorizzazione di una parte importante della città che si sarebbe aperta così al grande ambito dell’AA, fino ed oltre i confini del Comune di Roma.
L’abbandono di questo percorso ha lasciato il posto alla trasformazione di quella zona, intesa unitariamente per i complessi monumentali, con strade di grande scorrimento che si riversano da un lato verso il centro della città dall’altro sull’AA. Si sono comunque potuti realizzare interventi per le singole realtà monumentali che sono però rimaste disgregate, in un contesto inadeguato, mentre la zona mantiene ancora un elevato potenziale per l’uso e l’accessibilità al patrimonio archeologico e per un recupero urbanistico.

L’interesse eccezione che la cultura moderna ha rivolto all’Appia ha fatto si che se ne sancisse la salvaguardia integrale nel PRG del 1965, collegata direttamente alla zona monumentale. Questo atto, arrivato insperatamente dopo anni di denunce, appelli, proposte, in particolare di Antonio Cederna ma anche di altri illustri personaggi, con l’impegno forte dello Stato di porre fine alle gravi ferite procurate all’Appia, con costruzioni di edifici, ville e strade, destinava l’intero territorio (allora 2500 ettari) a Parco Pubblico, per il godimento della collettività. Successivamente vi è stato lo Studio di Italia Nostra pubblicato nel 1984 al quale di fatto non ha seguito alcun altro studio adeguato per l’assetto di questo ambito fino al PTP 15/12 del 2010.

Al posto di un Parco Archeologico, in continuità con l’area archeologica centrale, nel 1988, è stato istituito un Parco Regionale (che sottolinea ancora di più questa divisione iniziando da fuori le mura aureliane), definito e gestito con impostazione naturalistica, secondo la legge regionale 29/97 (derivata dalla legge quadro 394/1991), che include la zona nelle aree naturali protette, nella cui amministrazione non vi è alcuna rappresentanza delle Soprintendenze e del Ministero, inadeguato alla difesa, alla valorizzazione e all’accrescimento di un patrimonio archeologico e monumentale di eccezionale rilevanza (che genera confusione e conflitti di competenze). Tale compito è rimasto affidato alla Soprintendenza Archeologica di Stato che, con strumenti ordinari, ha portato avanti un programma per la cura della tutela e per la valorizzazione del patrimonio (circa 1850 ettari con vincoli archeologici specifici e circa 3980 con vincolo archeologico paesaggistico, art. 1, lettera m).

Un primo problema per l’Appia dunque è quello della definizione, nell’equivoco che si tratti di un Parco Archeologico.

Un secondo problema è quello normativo: il PTP 15/12 del 2010 Appia, Caffarella Acquedotti, redatto in forma partecipata e condivisa tra tutte le istituzioni è strumento prevalente dall’entrata in vigore del Codice, il Piano del Parco, ai sensi della legge 29/97, non ancora approvato, redatto dall’Ente in autonomia, con la finalità principale di proteggere gli habitat naturali (non diversamente da come è per i Monti Simbruini), dovrebbe oggi essere adeguato al PTP e in tale procedimento dovrebbe essere assicurata dalla Regione la partecipazione degli organi del Ministero (comma 5 dell’art. 145). Per questo sarebbe necessaria una modifica della legge 29/97, diversamente a mio avviso si è nella piena irregolarità. Si può facilmente comprendere quanto grave sia la contraddizione normativa in seno alla Regione stessa che affida a due strumenti diversi la pianificazione e gestione del territorio, azioni che dovrebbero considerarsi complete con il PTP e con le procedure dell’autorizzazione paesaggistica.
Un terzo problema, di conseguenza, è nel governo di questo territorio, con l’esistenza di un Parco Regionale che non può occuparsi del patrimonio archeologico e paesaggistico (non ne ha titolo e competenza), Roma Capitale che mantiene le competenze sugli aspetti urbanistici e della mobilità/viabilità, e con un patrimonio culturale di competenza dello Stato e parte del Comune. Qui infatti convivono tutti i problemi della città pur con il continuo riferimento a un Parco.

La mancata attuazione delle previsioni del PRG, totalmente disattese ad eccezione di una parte della Caffarella, l’incapacità delle amministrazioni locali, Regione e Comune di far rispettare i vincoli urbanistici di inedificabilità, l’inerzia di parte degli organi del Ministero hanno portato alla seguente situazione:

Abusivismo. Nonostante i vincoli a tutela del patrimonio archeologico e paesaggistico che va considerato unitario, nonostante la legge regionale del Parco, l’abusivismo ha qui assunto dimensioni di cui tutti dovrebbero vergognarsi, privati che hanno commesso le violazioni, amministrazioni tutte che hanno lasciato che questo diventasse lo stato di fatto gravissimo con cui oggi doversi confrontare, motivo di infiniti contenziosi amministrativi derivati dalla necessità, almeno da parte della mia Soprintendenza, di applicare le regole. Un rapporto di questa realtà è stato redatto dallo studio di Vezio De Lucia.

Proprietà. Le aree di proprietà pubblica oggi sono una percentuale inconsistente in relazione alla quasi totalità di proprietà privata, (circa cinquanta ettari in consegna allo Stato con la strada, la Villa dei Quintili, la Villa di Sette Bassi e altri complessi più piccoli e 140 ettari circa del Comune di Roma tra Caffarella e complesso di Massenzio al III miglio…). Siamo molto lontani dalle previsione del PRG che con lungimiranza aveva previsto l’acquisizione pubblica di tutto l’ambito ritenendo che solo così sarebbe stato possibile salvaguardarlo.Traffico. Nessuna iniziativa è stata mai adottata per limitare il traffico veicolare, anche di mezzi pesanti, che affligge tutto il primo tratto della Via Appia, fino alla Basilica di S. Sebastiano e le vie limitrofe. Questo impedisce ogni possibile fruizione con difficoltà per l’accessibilità alla strada e ai monumenti con scarsi o inesistenti servizi pubblici.

Nell’assenza di un piano adeguato alla complessità dei suoi valori, l’Appia non prende forma nel modo giusto, destinata a subire l’assalto dell’interesse privato che rischia di essere l’unica opportunità alla quale vi è sempre più la tendenza a ricorrere.Nonostante la grande difficoltà di operare in una situazione critica come questa, in pochi anni, dove è stato possibile intervenire, con metodologie eccellenti, messe in campo nella ricerca, nel restauro e nella valorizzazione, si è dimostrato che è concreta e realizzabile la possibilità di recuperare e rendere disponibile questo patrimonio alla fruizione pubblica, attraverso i processi della conoscenza, proiettando il modello del risultato ottenuto su una scala più ampia. E’ il caso del Mausoleo di Cecilia Metella con il Castello Caetani e la chiesa di San Nicola, del sito di Capo di Bove, acquistato nel 2002, da villa privata trasformato in luogo per la fruizione e centro di ricerca e documentazione, della Villa dei Quintili che scavi, restauri e allestimenti hanno trasformato in una delle aree archeologiche più attraenti d’Italia, dei restauri e della cura continua della Via Appia, di cui si è ridefinita la proprietà con l’avvenuta consegna dal parte del Demanio alla Soprintendenza di tutto il tratto dal IV miglio in poi, che proviamo a trattare come un monumento, con un impegno straordinario al quale non vogliamo sottrarci perché lo consideriamo inevitabile. Tra gli interventi più importanti si devono ricordare anche l’interramento del GRA e la ricucitura della grave ferita per ripristinare la continuità della strada (realizzato a cura della SSBAR); l’acquisizione e il restauro ambientale e monumentale della Caffarella, a cura del Comune di Roma (da tempo però privo delle necessarie manutenzioni).

Da ultimo l’acquisto nel 2006 della tenuta di S. Maria Nova, dove si sta riscoprendo la storia attraverso i secoli, che permetterà a breve di aprire questo complesso con la Villa dei Quintili dall’AA.

In questi anni non ci si è limitati a scavare, restaurare, conoscere, abbiamo cercato di restituire al pubblico pezzi di patrimonio, nell’ottica di un sistema e di un “laboratorio di mondi possibili”, (non è uno slogan, è una realtà tangibile, se si pensa solo agli acquisti che hanno trasformato ville private in luoghi per la conoscenza e la fruizione pubblica), raccontando attraverso mostre fotografiche e filmati (che sono presentati a Capo di Bove) la storia infinita della tutela dell’Appia. Abbiamo ideato e organizzato per due anni il festival Dal Tramonto all’Appia, con aperture prolungate alla notte, eventi culturali di ogni genere per far godere una pezzetto di Appia in modo diverso, secondo lo spirito dell’originaria estate romana. La via Appia si presta a diventare un luogo in cui si sperimentano nuove forme di conservazione del patrimonio culturale e paesaggistico e si da vita a progetti legati al progresso civile della Città e alla qualità di vita dei cittadini. Un po’ come è accaduto presso il muro di Berlino dopo la sua caduta: al suo posto una ferita da curare attraverso impegno civile, creatività, partecipazione, sperimentazione di nuovi modelli sociali; così l’Appia, pur con le sue numerose ferite rappresenta, l’apertura a nuovi mondi possibili, come sito archeologico di primaria importanza, come paradigma dell’ambiente, della cultura, con la civiltà romana e cristiana, della persona come spazio per il diletto.

Rapporto pubblico privato. Eventuali privati che vogliano sostenere con contributi economici la via Appia possono collaborare a una graduale, importante rivoluzione culturale. Oltre a contribuire alla conservazione di un monumento fondamentale patrimonio dell’umanità possono partecipare ad innalzare il livello civile della città, a rendere Roma punto di riferimento mondiale per nuovi temi e innovazioni. Questo deve accadere non per la carenza di risorse dell’amministrazione pubblica ma per consentire anche a privati di partecipare a una grande impresa culturale, che s’intende sempre di esclusivo interesse pubblico e condotta con le modalità della gestione della cosa pubblica (come è avvenuto per la Piramide di Caio Cestio). Con l’assunto che dare visibilità all’Appia significa non portare il caos sull’Appia ma portare la tranquillità dell’Appia all’esterno, dando impulso al ruolo formativo ed educativo delle azioni.

Come dare vita al Progetto archeologico per Roma, a questa ininterrotta porzione di città adibita a complesso archeologico/naturalistico consegnato ai cittadini e alla città, dal Campidoglio ai piedi dei Colli Albani?

Si può parlare genericamente di “Parco Archeologico” per indicare un’area estesa con particolare concentrazione di antichità, ma il termine non ha ad oggi rilevanza giuridica. Numerose commissioni ministeriali hanno affrontato l’argomento senza giungere a conclusioni concrete. E’ a mio avviso opportuno riempire questo vuoto normativo per poter dare all’intero ambito la definizione giusta, anche al fine di attribuire agli interventi l’indirizzo adeguato ai reali valori di questo ambito e le competenze del suo governo. Tale criticità deve essere risolta con un atto di volontà da parte del Ministero, d’intesa con Regione e Roma Capitale, per la condivisione di un progetto che avrà ricaduta internazionale per lo sviluppo della città e del turismo.

Questo dovrà essere fatto anche con l’ascolto delle Associazioni più vicine a questi temi e dei cittadini che spesso hanno svolto un ruolo importante per l’attenzione agli aspetti della salvaguardia del patrimonio della città.

Vi è dunque un pacchetto di possibili azioni da compiere, un pacchetto di progetti, un pacchetto di aspirazioni, al fine dell’istituzione di un luogo organizzato con riguardo ai beni culturali presenti, nella loro complessità, e affinché questi siano messi a disposizione della collettività.

(Legge) Far correggere la legge regionale, istitutiva del Parco Regionale e promuovere con il Ministero e la Regione la definizione di un Parco Archeologico, secondo quanto previsto nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (art.101 e). Per questo è necessario partire dalle reali esigenze di questo territorio, nel riconoscimento dei valori preminenti, evitando sprechi di risorse economiche e umane, piuttosto definendo forme di coordinamento nel rispetto delle competenze istituzionali e nell’interesse della tutela e valorizzazione dell’Appia.

(Traffico e mobilità) Studiare un piano per la drastica riduzione del traffico veicolare improprio, in tutto il primo tratto della strada di competenza di Roma Capitale; la Soprintendenza Archeologica di Stato sta provvedendo ad attivare un controllo con telecamere per i tratto di propria competenza per salvaguardare ciò che resta del monumento Via Appia, con una cura anche nell’arredo e una sperimentazione per l’illuminazione notturna, affinché torni ad essere il museo all’aperto dell’800.Attivazione di un servizio pubblico di mobilità, oltre ai servizi con mezzi elettrici, creazione di “accessi” trasversali con mezzi pubblici, da punti strategici esterni per la riqualificazione anche delle aree di bordo dell’Appia (ad esempio dal parco delle Tombe Latine, dalla zona dello Statuario di fronte alla Villa dei Quintili; attrezzare l’uso del treno che dalla Stazione Termini porta alla Stazione di Torricola, presso l’Appia, in soli 10 minuti; dalla via Ardeatina). Dobbiamo pensare all’Appia non solo come una strada da percorrere dall’inizio e per chilometri ma anche a una vasta area come villa Borghese alla quale accede da punti diversi della città. Per questo occorre eliminare alcuni ostacoli e creare semplici collegamenti che permettano di raggiungere i diversi tratti da quartieri nei quali il cuneo del territorio dell’Appia si inserisce, anche ripristinando antichi tracciati.

(Abusi) Risolvere il problema dei numerosi condoni edilizi in piena collaborazione con le Soprintendenze responsabili per la tutela e ripristinare uno stato di legalità a fronte del fenomeno dell’abusivismo incontrollabile. Solo da poco più di un anno si è messa a punto una procedura condivisa e corretta tra UCE e Soprintendenze. Occorre correggere gli errori assumendo la consapevolezza dell’importanza della strada antica e del suo territorio, con i riconoscimenti che il PRG del 1965 aveva sancito e dare seguito a tutte le azioni che restituiscano all’Appia la dignità di monumento e favorendo lo sviluppo delle aziende agricole.

Creare le condizioni per una migliore fruizione di quanto già è stato recuperato e incrementare il patrimonio pubblico. Non si tratta di investimenti economici impossibili. In cifre:
restauro dell’ultimo tratto della Via Appia, dopo Via di Fioranello (circa 2 milioni e mezzo), recupero funzionale di un’area di 1 ettaro che la Soprintendenza ha ottenuto dal demanio militare, localizzata tra Via Appia e Via di Fioranello, dove regna ora il massimo degrado (qui si può creare un punto di sosta e di ristoro, con parcheggio di auto e scambio con bici e mezzi elettrici) e quest’area può costituire un importante accesso all’Appia all’altezza dell’aeroporto di Ciampino da cui dista pochi passi (circa 2 milioni).Restaurare e collegare la bellissima parte dell’Acquedotto dei Quintili sull’Appia Nuova, con l’Appia Antica (circa 2milioni e mezzo con le acquisizione delle aree private).

Troppi e troppo importanti sono i monumenti ancora in proprietà privata, senza alcuna destinazione particolare o adibiti ad usi impropri. Tra questi voglio ricordare:
I tre Colombari di Vigna Codini, di proprietà dello Stato ma inseriti in proprietà private, con enormi difficoltà di accesso, per i quali va creato un passaggio indipendente, con minime acquisizioni, anche per poter provvedere agli interventi conservativi.
Non derogabile è l’acquisizione pubblica dei mausolei c. d. dei Calventii e dei Cercenii all’angolo dell’Appia con l’Appia Pignatelli, pertinenti al complesso delle catacombe di Pretestato come mausolei sub divo. Da anni in stato di abbandono, intrappolati da tre villette abusive, senza uso. Qui si esercitavano artisti e studiosi fin dal Rinascimento per lo stato di conservazione fino alle volte, oggi a rischio di crolli e assolutamente inaccessibili;Esproprio delle aree del castrum Caetani, almeno di quelle interne per ricostituire l’unitarietà di questo importante complesso medievale a cavallo del III miglio della strada e per ricreare il collegamento con il Circo di Massenzio;acquisizione del sepolcro degli Equinozi…
Complesso di S. Urbano sull’Appia all’altezza di Via dei Lugari, attrezzato nella metà degli anni ottanta per un capriccio privato con tinello, cucina e barbecue, inaccessibile e abbandonato.
Casal Rotondo, il mausoleo privatizzato per la presenza di un edificio sulla sommità, anche questo usato solo per feste, inaccessibile. Si può ritenere che con una cifra di circa 30 milioni (tra acquisizioni e restauri) si possano eliminare le situazioni più scabrose dando un forte segnale di inversione di tendenza.
Mi domando come possiamo consegnare al futuro questa situazione; peraltro il valore di mercato di questi beni è quasi nullo considerato anche il decremento di valore per gli abusi commessi e la possibilità di acquisizione al demanio con la semplice applicazione della legge.

L’Appia si trova incastonata tra l’area archeologica centrale, con la quale non comunica, l’area dei Castelli con la quale si deve migliorare il rapporto di continuità e la città che attraversa, con la quale si devono creare i collegamenti. Per quanto riguarda l’argomento di oggi credo sia inderogabile l’acquisizione di alcune aree strategiche per ricostituire un percorso che non sia solo attraverso i tratti che hanno assunto una connotazione autostradale, come Via delle Terme di Caracalla. Questo non può non prevedere l’acquisizione di alcune aree di straordinario pregio la cui unica destinazione deve essere di contribuire a risanare le ferite prodotte, stroncando ogni possibile iniziativa di usi diversi rispetto a quello di contribuire alla ricucitura della continuità del tessuto storico, in senso moderno.

Dico questo pur nella consapevolezza che al momento vi sono altre visioni, altre tendenze. Negli ultimi quindici anni abbiamo provato a fare molto e anche abbiamo provato a far conoscere quale fosse lo stato delle cose; abbiamo ricevuto una buona attenzione da parte della comunità, scarsa attenzione da parte delle istituzioni, percependo a volte quasi un senso di fastidio o di noia nel sentire ripetere gli stessi argomenti. Per questo ringrazio l’ABB, il suo presidente e tutti gli intervenuti, per aver creato una occasione ancora, magari è quella buona.

L'articolo è la trascrizione dell'intervento tenuto al Convegno "Archeologia e città. Dal Progetto Fori all'Appia Antica", organizzato dall'Associazione Bianchi Bandinelli a Roma, il 21 marzo 2014.Nel sito dell'Associazione sono presenti i materiali iconografici a corredo.

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