loader
menu
© 2024 Eddyburg
Italo Insolera
Nel quadro del PRG di Roma. Vicende del Parco Appio
19 Novembre 2009
Pagine di storia
Siamo alla vigilia della creazione del Parco dell’Appia: nell’analisi che evidenzia e anticipa i problemi dell’area, è evidenziata la sua importanza all’interno del PRG. Da Casabella – Continuità, 286, aprile 1964 (m.p.g.)

Il piano regolatore di Roma sta attraversando ancora una volta, nella sua lunga e tormentosa storia, una fase difficile?

Si direbbe di sì, se si considerano nel loro schematico susseguirsi una serie di date, passate e future:

1. ‑ Il 18 giugno 1962 il nuovo piano redatto dagli uffici comunali, dai comitati di consulenza tecnico e ministeriale, viene adottato in forza del noto decreto Sullo;

2. ‑ Il 18 dicembre 1962 il Consiglio Comunale adotta il piano, nel frattempo rifatto dagli uffici comunali;

3. ‑ Il 12 aprile 1963 scade il termine per la presentazione delle osservazioni;

4. ‑ Il 18 dicembre 1965 scadranno le misure di salvaguardia sul piano.

Quest'ultima data non è tanto lontana, se si pensa al lungo iter che il piano deve ancora percorrere; attualmente (febbraio 1964) è sempre fermo al Comune per l'esame delle osservazioni.

Si rischia ancora una volta che la data di scadenza della salvaguardia si trasformi in una spada di Damocle, in un ricatto?

Sarebbe l'ennesimo ricatto e l'ennesima spada di Damocle nella storia dei P.R.G. di Roma.

Non è solo la lentezza con cui il piano procede che ci autorizza ad allarmarci: ma è tutto un insieme di fatti che presi forse uno per uno non sarebbero molto importanti, ma nel loro insieme lasciano supporre una chiara volontà politica, sostenuta da alcuni ambienti romani purtroppo ancora troppo influenti.

Definiremo l'insieme di questi fatti « operazione riassorbimento » in quanto lo scopo sembra essere appunto di riassorbire tutti quei provvedimenti che la precedente «operazione Sullo» aveva promosso ed avviate, sia nella redazione del piano vero e proprio, sia nell'impostazione di nuovi strumenti di pianificazione.

L'OPERAZIONE RIASSORBIMENTO

L'«operazione riassorbimento» prende le mosse dalla mancanza di garanzie sufficienti dell'«operazione Sullo», dall'essere stata cioè essa caratterizzata essenzialmente da provvedimenti a termine, scaduti i quali una struttura sostanzialmente immutata e profondamente conservatrice e reazionaria è rimasta, di nuovo, padrona del vapore. L'«operazione riassorbimento» comprende varie fasi.

Una prima fase si è già conclusa. Era quella che aveva come obiettivo la presentazione in Consiglio Comunale per l'adozione di un P.R.G. che non fosse quello pubblicato con il decreto Sullo nel giugno 1962, ma fosse un piano un po' diverso. Evidentemente non si poteva accantonare l’elaborato predisposto dalle commissioni di consulenza tecnica e ministeriale e tornare sic et simpliciter al piano Cioccetti o addirittura al piano del '31, con le sue infinite varianti. Ma si potevano aggiungere alle indicazioni dell'elaborato del giugno tante altre decisioni, una per una magari piccole e quasi insignificanti, ma nel loro insieme capaci, soprattutto se realizzate prima delle altre, di alterare decisamente il quadro generale del piano. Questa fase dell'«operazione riassorbimento» si è conclusa vittoriosamente il 18 dicembre del '62 con l'adozione, appunto da parte del Consiglio Comunale, di questo elaborato riveduto e corretto.

La seconda fase è quella in atto ed ha come sua scadenza il 18 dicembre 1965, quando scadranno le misure di salvaguardia: suo obiettivo è precisamente l'attuazione di quei provvedimenti inseriti nell'edizione dicembre 1962 del P.R.G. e che non erano contenuti nel precedente piano di giugno, in maniera da compromettere attraverso la loro attuazione la situazione di fatto nella direzione contraria alle principali decisioni innovatrici inserite, anche se spesso troppo timidamente, nel piano di giugno.

Per svolgersi tranquillamente in questa seconda fase l’“operazione riassorbimento” ha bisogno che non siano operanti ed efficienti gli strumenti proposti invece per far avanzare l'urbanistica romana nella direzione che fu dell'«operazione Sullo».

Quali sono questi strumenti?

Essi sono indicati dagli ordini del giorno votati dal Consiglio Comunale nella seduta in cui il nuovo PRG fu adottato.

Molti di essi erano stati ispirati di­rettamente dai socialisti che rappresen­tano evidentemente il nuovo corso nel­la politica di centro sinistra al Comune di Roma: a più di un anno di distanza rimangono come un documen­to di buone intenzioni inattuate.

Possiamo elencarle telegraficamente:

1) attuazione del piano attraverso suc­cessivi programmi biennali; 2) il primo programma biennale (1963‑1964, cioè ormai quasi completamente superato) era definito giustamente come « la fase più impegnativa e delicata per l'avvenire del piano stesso »; 3) applicazione delle misure di salvaguardia sulle licenze rilasciate nei tre anni precedenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona; 4) riorganizzazione dell'Ufficio Nuovo Piano Regolatore e della Ripartizione Urbanistica (entro il 18 aprile 1963); 5) costituzione di un Ente permanente per la pianificazione territoriale (entro il 18 aprile 1963); 6) abolizione dell'amministrazione autonoma dell'EUR. Solo gli ordini del giorno riguardanti la legge 167 e l'utilizzazione dell'esproprio nelle aree ancora libere del piano regolatore del 1931 hanno trovato seguito.

Oggi, che il primo biennio di attuazione del Piano Regolatore è già quasi interamente scontato, riconosciamo più che mai giusto l'ordine del giorno che definiva il primo programma biennale di attuazione come la fase più impegnativa e delicata per l'avvenire del Piano stesso. In realtà nella voluta mancanza di questo primo programma biennale, nella mancanza di una programmazione per i vari successivi tempi di attuazione, stiamo vivendo una lunga introduzione al nuovo P.R. in cui si cerca proprio di attuare tutto ciò che vi era rimasto dal vecchio.

Il primo tempo di attuazione, la premessa anzi del primo tempo di attuazione, potrebbe avere come titolo «esaurimento delle precedenti decisioni del piano Cioccetti, del piano del '31», e quando queste previsioni saranno esaurite, probabilmente il nuovo piano bisognerà rivederlo da capo, in quanto partirà da premesse ben più negative di quelle da cui era potuta partire l'operazione Sullo.

Rimandiamo, per una conoscenza particolareggiata delle principali osservazioni, al n. 279 di Casabella, dove sono state pubblicate le osservazioni della Sezione laziale dell'INU, e al n. 40 della rivista Urbanistica, in cui sono riportate, oltre alle osservazioni dell'INU, e di « Italia Nostra », anche osservazioni di altre Associazioni ed Enti.

E’ significativo che proprio in corrispondenza di questa gravissima assurdità della legge urbanistica fascista del 1942 si stia tentando a Roma di aprire quel dialogo continuo e costruttivo tra la cittadinanza e l'amministrazione che solo può portare ad una effettiva pubblicizzazione dei problemi cittadini, la cui mancanza è stata giustamente deplorata nel n. 279 di Casabella.

Così «Italia Nostra» ha trasformato le proprie osservazioni in un documento base, in una ipotesi di programmazione attiva e sui principali punti (centro storico, minimi standard del verde, inedificabilità delle aree rimaste libere nelle zone urbanizzate, villa Doria Pamphilj, Gianicolo, Villa Borghese, Villa Ada, Parco delle Marine, Zona archeologica di Porto, Parco dell'Acqua Vergine e dell'Aniene, ecc.) ha continuato a produrre studi e documenti.

IL PARCO DELL'APPIA ANTICA

Il problema indubbiamente più importante dei grandi parchi pubblici della zona romana è il Parco dell'Appia Antica che è stato quindi oggetto, da parte di «Italia Nostra», di un più approfondito e dettagliato studio, che illustriamo in questo articolo, e che è stato redatto con la particolare collaborazione dell'ing. Toscano.

Il Parco Appio è veramente, a nostro avviso, il banco di prova dell'urbanistica romana, è la conferma che la politica urbanistica attuata per il passato dai vari amministratori è stata negativa.

La storia moderna dell'Appia Antica ha inizio ai primi dell'800, quando il Canina ed il Canova vi effettuarono lavori di scavo e di riordino, liberando dagli interramenti le crepidini, rialzando statue e frammenti, E’ da notare, come immediatamente, questi due primi cultori contemporanei dell'Appia, ne intuirono il carattere eccezionale‑ Altrove, essi furono archeologhi, nel senso stretto della parola, interessati al valore scientifico degli scavi, alla catalogazione e ricostruzione, del tutto indifferenti alle situazioni ambientali sovrappostesi nei secoli.

Viceversa già nel 1808 il Canova affermava che sull'Appia Antica tutto andava lasciato in loco, e che l'archeologia di essa doveva diventare qui da scienza arte. Sono gli anni in cui il Canina pianta i famosi cipressi dal Belvedere a Tor Carbone, ed in cui il Prefetto napoleonico di Roma, Conte Camillo De Tournon decreta che tutta la zona dal Campidoglio, attraverso i Fori romani, il Circo Massimo, le Terme di Caracalla, fino all'Appia Antica deve diventare un grande Parco archeologico. Da allora, questa impostazione del problema dell'Appia Antica è stata costantemente ripresa e ribadita, ma ha incontrato anche grosse difficoltà.

Con il crescere della città due pericoli vengono sempre di più a minacciare il parco dell'Appia Antica: il traffico e l'espansione edilizia.

Il primo investe pesantemente la zona dopo il 1932, quando fu aperta la via dei Fori Imperiali.

Ad essa succede la via di S. Gregorio, poi il viale delle Terme di Caracalla fino alle Mura Ardeatine, dove comincia la via Cristoforo Colombo. La unità e la continuità della zona archeologica, dal Foro romano alle Frattocchie, era irrimediabilmente spezzata e l'opera del Baccelli annullata. Da allora la zona archeologica dell'Appia comincia oltre le Terme di Caracalla, all'inizio della via di Porta S. Sebastiano.

L'espansione edilizia investe la zona dell'Appia, invece, intorno agli anni '50.

Sono dapprima lussuose ville, che sorgono tra il km. 3 e il km. 6. Poi sono più massicci gruppi di palazzine, che si affacciano all'orizzonte dell'Appia, sia da nord‑est, lungo la zona della via Latina, sia da sud‑ovest dalla zona di Piazza dei Navigatori e della Cristoforo Colombo. E' chiaro, a questo punto, che l'Appia Antica stessa è in gioco, ed il problema dell'Appia diventa, la battaglia per l'Appia.

Lentamente matura, dapprima in alcuni ambienti, e poi sempre di più nell'opinione generale, il concetto che l'Appia Antica va vista ed affrontata proprio come avevano fatto Canina e Canova, nelle dimensioni e nei rapporti naturalmente della grande metropoli attuale e del suo territorio. La conservazione cioè, non è qui solo un problema archeologico e culturale, ma è un problema di paesaggio e di ambiente.

Oggi, quindi, per Parco Appio intendiamo 2.500 ettari compresi tra le Mura Aureliane in corrispondenza di Porta S. Sebastiano ed il confine del Comune di Roma; al di là ci sono ancora, nel territorio del Comune di Albano, altri 300 ettari, corrispondenti agli ultimi tre km. dell'Appia Antica, prima del suo raccordo con l'Appia Nuova alle Frattocchie. Se aggiungiamo a questi gli ettari corrispondenti alla zona archeologica del Foro romano, del Palatino, del Circo Massimo, del Celio, delle Terme di Caracalla, della via di Porta S. Sebastiano e di Porta Latina, abbiamo un enorme cuneo verde di oltre tremila ettari, che parte da piazza Venezia ed arriva ai piedi dei Castelli romani snodandosi per oltre 18 km.

Accenniamo brevemente ai problemi relativi alla zona tra Piazza Venezia e Porta S. Sebastiano, dove occorrerebbe attuare una maggiore apertura ed accessibilità delle varie zone cintate, creare dei percorsi pedonali, collegare il parco di villa Celimontana con la via delle Terme di Caracalla, collegare il parco di Montedoro con la via di Porta S. Sebastiano, ecc. Ma soprattutto occorrerebbe conservare questa zona, ed anche questo è diventato un problema, ed un problema, a quanto pare, che ammette solo la soluzione negativa.

L'APPIA ANTICA E IL TRAFFICO

Al di fuori delle Mura, il problema del traffico è oggi costituito dalla necessità di creare dei collegamenti trasversali rispetto al Parco Appio, ossia sostanzialmente perpendicolari alla via Appia Antica. I problemi, invece, dello scorrimento nella stessa direzione dell'Appia antica, sono sostanzialmente risolvibili all'esterno del Parco Appio. Gli attraversamenti hanno, come loro scopo principale, quello di collegare le enormi espansioni subite dalla città a nord e a sud del Parco Appio; cioè di creare dei collegamenti diretti tra zone residenziali e direzionali situate a nord dell'Appia Nuova e nella zona Cristoforo Colombo‑EUR. Oggi l'ultimo collegamento, più o meno diretto, tra la parte est della periferia romana e l'EUR è rappresentato dalla via di Porta Ardeatina, che scorre lungo le Mura Aureliane, all'esterno di Porta San Sebastiano. Dopo questo non c'è più alcun collegamento fino al grande raccordo anulare dell'ANAS, situato 9 km. all'esterno delle Mura Aureliane e con funzioni assolutamente extra urbane.

Il PR del 1962, prevede in questo spazio di 9 km., quattro grandi attraversamenti:

1. ‑ A 200 metri da Porta S. Sebastiano, adiacente al sovrappasso ferroviario della Roma‑Pisa in prosecuzione della via Cilicia e come congiungente del viale Marco Polo. L'opera era stata iniziata alcuni anni fa, ed è stata sospesa perché avrebbe comportato la demolizione dei ruderi dell'Arco di Vero e del Tempio di Marte. Non si capisce, perciò, come essa sia stata mantenuta nel Piano, dato che tale ostacolo è evidentemente inamovibile, e dato oltre tutto che questo primo attraversamento è funzionalmente superato dall'attraversamento illustrato al successivo n. 2.

2. ‑ A 400 metri da Porta S. Sebastiano, è previsto un altro attraversamenio in corrispondenza del Fosso Almone o Marrana della Caffarella. A diffeferenza del precedente, non sembra che questo attraversamento sia ostacolato da monumenti o da ruderi.

Il PR lo indica con un sovrappasso che ostacolerebbe l'ultima veduta ancora libera della Porta S. Sebastiano e delle mura Aureliane. Sembra però che l'indicazione di sovrapassaggio nel PR sia un errore,e che gli Uffici competenti intendano realizzare questo attraversamento con un sottopassaggio.

3. ‑ Attraversamento dell'Asse attrezzato e della Metropolitana che dovrebbe correre parallela all'Asse attrezzato al km. 3 dell'Appia Antica in corrispondenza del piazzale del Belvedere, subito dopo la Tomba di Cecilia Metella. Questo attraversamento è previsto in galleria, ma occorre che questa sia molto lunga, in modo da conservare a tutte le adiacenze del Belvedere e al Pagus Triopius l'attuale carattere.

4. ‑ Attraversamento dello scorrimento esterno al km. 8 circa, poco dopo la ferrovia Roma‑Napoli e a un chilometro e 200 metri dal grande raccordo anulare ANAS, in località Torre Selce. Anche questo attraversamento avviene in galleria, che è possibile attuare utilizzando le cave di selce delle FF.SS. a nord, mentre a sud il terreno scende rapidamente, dato, che l'Appia Antica è qui in quota.

Perciò, riassumendo, sarebbe necessario abolire il primo attraversamento e realizzare il secondo ed il terzo mediante sottopassaggi con lunghissimi tratti di galleria. In tale modo il panorama dell'Appia Antica potrebbe essere sufficientemente salvaguardato e la situazione del traffico resterebbe identica a quanto previsto nel PRG.

L'ESPANSIONE EDILIZIA SULL'APPIA

L'altro grave problema è quello dell'investimento dell'Appia da parte dell’espansione edilizia. Si presenta sotto due aspetti:

1. ‑ Presenza all'interno del comprensorio del Parco Appio di nuclei residenziali, lottizzazioni ecc.

2. ‑ Pressione dei quartieri limitrofi sui confini del Parco.

Esaminiamo anzitutto il primo punto. Fino a 20 anni fa, circa, le uniche case che fiancheggiavano l'Appia Antica e le immediate adiacenze, erano pochi isolati casolari rurali risalenti per lo più agli ultimi tre secoli. Subito dopo l'ultima guerra cominciarono le costruzioni di lussuose ville, soprattutto nella zona del Belvedere a Tor Carbone. I vincoli imposti erano insufficienti ad una reale difesa del panorama l'Appia, consistendo essenzialmente nell’obbligo di usare tegole antiche e nel distacco di 100 metri dal filo stradale dell'Appia. L'obbligo di non innalzarsi per più di un piano fuori terra era facilmente violato.

Il primo scandalo sull'Appia Antica fu appunto la Pia Casa S. Rosa che fuoriesce dal terreno di ben quattro piani.

Tutte le zone interessate da queste costruzioni sono indicate nell'attuale Piano regolatore come parco privato, vincolato con l'obbligo di conservare l’attuale consistenza edilizia con le relative sistemazioni a verde con esclusione di nuove costruzioni. A questo vincolo si sovrappone quello archeologico e paesaggistico, ossia le disposizioni leggi 1 giugno 1939 n. 1809 e 29 giugno 1939 n. 1497 ed il regolamento 3 giugno 1940 n. 1357. Il pericolo quindi di ulteriori costruzioni a ridosso dell'Appia dovrebbe essere evitato. Resta il fatto che in alcuni dei tratti più belli e facilmente raggiungibili la godibilità pubblica è limitata alla Appia Antica, chiusa dalle recinzioni di private proprietà. Il problema di un riacquisto di quanto costruito negli ultimi 20 anni, deve sere oggi necessariamente rinviato, sebbene la legge La Malfa per la via Appia, presentata durante la seconda legislatura ma non perfezionata, prevedesse una forma di ricessione allo Stato. Per consentirne però in futuro la realizzabilità è necessario che il PR indichi come parco pubblico tutte le zone classificate invece come parco privato vincolato.

Un successivo più massiccio tentativo di intrusione edilizia nella zona dell'Appia Antica si profilò nel 1959, quando il Comune compilò un piano particolareggiato per la valle della Caffarella, situata immediatamente a nord‑est del tratto della via Appia Antica tra la ferrovia Roma‑Pisa e la via Almone. Tale piano lasciava in realtà a parco solo le zone di fondo valle occupate in parte strade di scorrimento e da nodi stradali, consentendo in tutta la zona migliore una fortissima edificabilità. Rimasto sino ad oggi ineseguito. Sia per le more del nuovo Piano che per l’opposizione della pubblica opinione, il piano particolareggiato della Caffarella è però inserito nel piano regolatore. Per queste aree è istituita una apposita sottozona edilizia denominata E 3. Ad essa si applicano quelle disposizioni del decreto ministeriale 11 febbraio 1960 e 22 febbraio 1960 del Ministero della Pubblica Istruzione che approvano il piano paesaggistico dell'Appia Antica e della Caffarella laddove non contrastino con le previsioni delle destinazioni del PRG. Inoltre anche queste zone sono sottoposte a vincoli archeologici e paesistici come sopra indicato.

Le zone edilizie E 3 nella valle della Caffarella permangono come grave intrusione non solo dal punto di vista paesistico ma anche dal punto di vista sociale. Esse ostacolano infatti l'accessibilità diretta al Parco dell'Appia Antica da tutto il popolarissimo quartiere sorto intorno alla via Latina subito dopo piazza Zama.

L'intera edificabilità prevista nella valle della Caffarella e più ad est nella zona di Lucrezia Romana andrebbe abolita. Esaminando gli elaborati del nuovo piano regolatore non si può non constatare con rammarico che alcune altre minacce all'integrità del Parco Appio hanno purtroppo resistito. Si tratta di altre due zone ugualmente E 3 con caratteristiche e vincoli di cui sopra, situate, una immediatamente dietro a Cecilia Metella, l'altra immediatamente dietro la chiesa di San Sebastiano. Queste vanno completamente abolite e sostituite da zone a parco pubblico.

L'ESPANSIONE EDILIZIA INTORNO ALL'APPIA

Passiamo ora ad esaminare la pressione dei quartieri limitrofi sui confini del Parco, pressione che va esaminata sotto un duplice aspetto: paesaggistico e sociale. E’ chiaro che il grande Parco Appio svolgerà, nei confronti dei quartieri confinanti, tutte le funzioni delle zone verdi e degli spazi verdi. Questi quartieri sono popolatissimi, ma completamente privi di altre aree verdi. I bordi del grande Parco Appio dovranno svolgere perciò la funzione di parchi di quartiere, inquadrati naturalmente nelle particolari esigenze paesistiche e nelle caratteristiche del Parco.

Per rendersi conto della povertà di verde dei quartieri confinanti con il Parco Appio e della sua assoluta urgenza ed importanza, si tenga presente che in base ai raggi di azione ed ai minimi standard urbanistici l'area del Parco Appio richiesta per le esigenze di verde di quartiere dalle aree edificate a nordest e a sud‑ovest impegnerebbe ben 980 ettari, ossia un terzo di tutto il verde da piazza Venezia alle Frattocchie, e ciò senza tener conto dei nuovi insediamenti che potrebbero richiedere un aumento del 20% circa. Applicando i criteri dei raggi di azione e ricostruendo, sia pure approssimativamente, la quantità di popolazione delle varie zone, in base alle zone statistiche censite, sono circa 22 i parchi di quartiere inesistenti che verranno surrogati dal Parco Appio e si può valutare, ottimisticamente, a mezzo milione di abitanti quelli che trarranno immediato giovamento dall'esistenza del Parco.

Globalmente possiamo dire che nel nuovo PR a nord‑est dell'Appia Antica, ossia lungo la via Latina, Appia Nuova, Tuscolana, dalle Mura Aureliane fino a Cinecittà, viene mantenuta la situazione attuale con i completamenti e le urbanizzazioni già in corso. L'unica eccezione è rappresentata da alcune zone di espansione, previste dinanzi al Centro sperimentale di cinematografia ed a Cinecittà. Si tratta di due zone E 3, cioè con quei particolari vincoli sopra descritti e con il solito vincolo archeologico e paesistico, e di una più consistente zona E 1 da realizzarsi con comprensorio unitario, anch'essa vincolata archeologicamente e paesisticamente.

I primi due nuclei che insistono nella zona archeologica di Lucrezia Romana antistante a Cinecittà andrebbero aboliti, mentre il terzo andrebbe forse solo ridotto di area.

Il problema principale per questi quartieri di nord‑est è soprattutto quello di creare degli opportuni cunei verdi di penetrazione in maniera da facilitare nel modo migliore l'accessibilità al Parco.

Per quanto riguarda la pressione dei quartieri confinanti dalla parte opposta, e cioè a sud‑ovest, la situazione è nettamente diversa nel primo tratto lungo la via Ardeatina dal Quo Vadis all'allineamento di San Sebastiano e nel tratto successivo.

Nel primo ci troviamo di fronte ad una urbanizzazione già completa in molte zone, e che il Piano prevede di completare. Si tratta di palazzine di cooperative più che di grosse iniziative, e la densità complessiva è inferiore che nei quartieri edificati a nord‑est, ma i risultati paesistici raggiunti sono ugualmente negativi. Nel secondo tratto, invece, l'attuale espansione edilizia della città è ancora molto lontana dall'Appia Antica: 4 km. in linea d'aria e anche più, fino alla Cristoforo Colombo, all'EUR, alla Cecchignola.

Il nuovo Piano prevede una grossa serie di comprensori E 1 fino alla via Ardeatina e lungo il lato nord‑ovest di questa, 8 comprensori di zone E 3, cioè con i particolari vincoli già visti per la Caffarella e per Lucrezia Romana, e con il vincolo archeologico e paesistico.

C'è da chiedersi se questa espansione era assolutamente necessaria, o se non era invece possibile in questa zona, completamente verde, consentire che il Parco Appio confinasse liberamente con la campagna. L'abolizione degli 8 coniprensori E 3 oltre l'Ardeatina e il comprensorio E 1 a ridosso delle cave Ardeatine e delle Catacombe di San Callisto sarebbe comunque auspicabile.

L'urgenza e l'importanza del Parco Appio sono state del resto confermate in Consiglio Comunale il 18 dicembre 1962, quando è stato approvato tra gli altri ordini del giorno contemporanei all'adozione del nuovo PR il seguente: «Il Consiglio Comunale, udita la relazione dell'assessore Petrucci sul progetto di PR, ritenuto che il parco dell'Appia Antica è uno degli elementi di essenziale fondamentale importanza nell'assetto urbanistico della città, considerato inoltre l'incommensurabile valore storico, religioso, artistico e turistico della zona da salvaguardare da qualsiasi deturpazione, considerato peraltro che la spesa relativa può essere senz'altro affrontata, delibera di autorizzare la Giunta ad operare con tutti i mezzi opportuni e con ogni sollecitudine per l'acquisizione e la sistemazione del predetto parco Pubblico».

Il parco dell'Appia Antica sarebbe stato quindi incluso necessariamente nel primo programma biennale di attuazione del PRG se questo primo programma biennale fosse stato redatto.

LA BATTAGLIA PER L'APPIA CONTINUA

Intanto, in sua assenza, il problema dell'Appia è diventato ancora più drammatico e urgente. E’ un susseguirsi continuo di manomissioni.

Improvvisamente, poi, nello scorso autunno, nuovi lavori di sterro venivano iniziati nella zona tra l'Appia Antica e l'Ardeatina, in un'area di ben 720.960 mq., interessata da un progetto di lottizzazione, presentato in data 17 ottobre 1962 (e cioè quando il piano regolatore del giugno era già diventato operante) dalle Società Acacia Farnesiana, Acacia Rustica e Pinus Excelsa. Si direbbe, dagli strani nomi botanici di queste società, che esse intendessero realizzare dei vivai arborei. Viceversa la loro intenzione era quella di costruire 59 villette a schiera e 108 ville, oltre i servizi. Ciò che appare inaudito, è che un simile progetto abbia avuto il benestare della Sovraintendenza ai Monumenti, e che sia stato fermato dall'Amministrazione Comunale solo dopo essere stato segnalato in Consiglio Comunale dall'opposizione, ed essere diventato il centro di una campagna giornalistica ad opera di Paese‑Sera.

L'attuazione dell'ordine del giorno sopra riportato è quindi sempre più urgente e indifferibile. Essa è veramente tanto difficile o addirittura impossibile come sembrerebbe?

Effettivamente, in tutta la zona del Parco Appio, le proprietà comunali e demaniali sono purtroppo minime. Perfino la maggior parte dei monumenti che non rientrano nella stretta fettuccia costituita dall'Appla Antica e dalle sue crepidini ricadono in proprietà private.

Tipico il caso di Casal Rotondo che, pur essendo uno dei più caratteristici monumenti dell'Appia, è un'abitazione privata, nel cui interno i proprietari hanno potuto addirittura costruire, pochi anni fa, una piscina.

Il Comune possiede una particella di poche migliaia di metri quadrati a circa 200 metri dall'Appia Antica, ad est della via di Cecilia Metella. Lo Stato possiede il Forte Appio poco oltre il IV chilometro, ed un'area dinanzi all'aeroporto di Ciampino, poco prima di via Floriana, in cui sono installate attrezzature radio connesse con il funzionamento dell'aeroporto. Per il resto tutte le aree rientranti nel Parco Appio sono private.

Si era parlato al tempo del piano paesistico e del piano archeologico nel 1959 di una donazione da parte dei maggiori proprietari a nord‑ovest dell'Appia Antica di una notevole quantità di terreno, ma tale donazione, avendo come tacito ma palese controaltare l'autorizzazione ad edificare nelle restanti aree secondo il piano particolareggiato della Caffarella, non ha avuto alcun seguito. Le proprietà private possono essere distinte, per il loro carattere, in tre tipi:

1. ‑ Aree già urbanizzate ed edificate e la cui privata attuale utilizzazione è sancita dal piano: zone destinate a parco privato, a completamento, a ristrutturazione. Per esse non vi è altro da fare che prendere atto di quanto è purtroppo avvenuto nei decenni passati, e constatare che il Piano attuale vincola in modo da evitare peggioramenti, rifacimenti o cambiamenti qualsiasi.

2. ‑ Aree non urbanizzate, ma già interessate direttamente dall'espansione della città e per le quali progetti edilizi di lottizzazioni sono stati già ventilati o progettati. Si tratta sia delle zone in cui il PR ammette edificabilità all'interno dei confini del Parco Appio, sia di quelle in cui l'edificabilità non è ammessa dal Piano, ma si può prevedere che sarà richiesta in sede di osservazioni al piano dai proprietari che faranno poi sempre di tutto per ottenere facilitazioni anche in sede di piani particolareggiati o di lottizzazione.

3. ‑ Aree allo stato agricolo e non interessate finora dalle espansioni della città.

Evidentemente i proprietari delle aree del primo tipo sono attualmente fuori causa. Viceversa il discorso è estremamente complicato per quanto riguarda i proprietari del secondo tipo. A questo secondo tipo appartengono due gruppi di aree: a nord la zona compresa tra le Mura Aureliane e le ultime case costruite lungo la via Latina fino alla Tomba Latina, le ultime case verso sud dei quartieri Quadraro e Tuscolano, il Centro sperimentale di cinematografia, la via Tuscolana. le aree della Società Generale Immobiliare al Curato, lo scorrimento esterno di PR, la via Appia Nuova, la via Appia Pignatelli, le zone destinate a parco privato a nord‑ovest dell'Appia Antica di fronte alle Catacombe di San Callisto, l'Appia Antica dal Quo Vadis alle Mura. A sud, appartengono allo stesso secondo gruppo le aree situate tra le vie delle 7 Chiese. via Ardeatina. confini dei comprensori a nord‑ovest dell'Ardeatina, confini delle zone destinate a parco privato tra il Forte Appio e l'Asse attrezzato, Asse attrezzato, via Appia Antica.

Il gruppo nord di queste aree interessa circa 800 ettari che sono, nella quasi totalità, proprietà di Alessandro Gerini ed Isabella Gerini, separatamente, insieme o associati ad altri minori proprietari, tra cui l'Istituto Salesiano per le Missioni, ente morale di culto con sede in Torino, e la Società terreni e trasformazioni agricole TETA, società per azioni con sede in Roma. Tra questi due enti e Alessandro Gerini risultano a catasto rapporti di comproprietà, usufrutto, livellarietà, ecc. Queste aree hanno sempre avuto ed hanno tuttora un reddito agricolo mediamente buono e ottimo in certe zone, per cui non hanno mai rappresentato per i proprietari un passivo o anche solo un immobilizzo di capitali improduttivi. Inoltre, quasi tutte le aree di proprietà Cerini erano già sottoposte a vincoli archeologici e di PR quando i Gerini le ereditarono, e i vincoli attuali non possono costituire perciò un cambiamento di destinazione e creare dei diritti ai proprietari.

Tanto è vero che voci, naturalmente non confermate, e non contrattabili hanno insistentemente accennato al fatto che i Gerini fossero disposti a cedere la maggior parte delle loro aree in cambio della destinazione a edilizia intensiva della parte più settentrionale delle loro proprietà; all'incirca 60 ettari in zona urbanisticamente già compromessa tra la via Tuscolana e il Centro sperimentale di cinematografia. Purtroppo si deve constatare dagli elaborati del PRG che questa destinazione a quest'area è stata concessa senza che fosse perfezionata alcuna controdonazione da parte dei proprietari. Un'occasione perduta, ma se ne possono ricreare subito delle altre.

Infatti, nei circa 600 ettari dei Gerini, oltre ai 60 ettari di cui sopra, ve ne sono altri 120 di zona edíficabile con particolare vincolo: le zone E 3. Abbiamo detto sopra come l'edificabilità di queste zone deve essere abolita, ed esse devono essere trasformate a parco pubblico. Se in sede di controdeduzioni al PRG si accetterà questa necessaria trasformazione, tutte le aree di questa zona nord del Parco Appio saranno acquisibili partendo dal valore che può competere a delle zone agricole vincolate archeologicamente da sempre e vincolate dal PR. Anche in mancanza di strumenti legislativi, come quelli che si spera possano essere tra poco in atto anche in Italia, la cosa non dovrebbe atterrire neppure le deficitarie finanze del Comune di Roma.

Prima di esaminare le aree del secondo gruppo, sit ate cioè tra l'Appia e l'Ardeatina, ci conviene esaminare le aree del terzo gruppo, ossia quelle allo stato agricolo e non interessate finora dall'espansione della città.

In questo terzo gruppo rientra la metà del Parco Appio compreso nel Comune di Roma e tutti i 300 ettari circa del Comune di Albano, cioè un totale intorno ai 1.500 ettari. Si tratta di tutte le zone oltre la villa dei Quintili sul lato sinistro dell'Appia ed oltre il Forte Appio sul lato est. Queste aree possono essere acquistate a prezzo agricolo, valutato tenuta per tenuta. Salvo casi sporadici esse non hanno mai subito una differente contrattazione di mercato. Occorre considerare anche che questa parte del Parco Appio ha oggi un valore di riserva per gli anni futuri; se ne può perciò dilazionare l'acquisto in un piano progressivo, a lunga scadenza garantito dai vincoli precisi contenuti nel PR. Inoltre, l'utilizzazione agricola rimarrà possibile in un primo tempo per tutte queste aree, ed anche quando progressivamente sarà il caso di farle cessare altre fonti di utilizzazione saranno sempre possibili: da fattorie modello comunali aperte al pubblico a un campo di golf dato in gestione ad apposita società. I numerosi casali della zona potrebbero inoltre essere affittati dal Comune, diventatone proprietario, sia a privati che ad associazioni. Con un buon piano, cioè insieme di gradualità dell'acquisto e di redditività dei beni acquistati, potrebbe essere possibile ridurre annualmente l'aggravio derivante dall'acquisto o dall'attrezzatura a verde pubblico di questi 1.500 ettari più esterni del Parco Appio.

Abbiamo lasciato per ultime le zone del secondo gruppo a sud‑ovest tra il Parco Appio e l'Ardeatina, perché si tratta di zone oggi agricole, ma destinate dal PR a varie edificabilità come sopra accennato.

Si danno tre possibilità:

1 ‑ In sede di osservazione e perfezionamento legale del piano viene cambiata la destinazione di queste aree che passano da zone edificabili a parco pubblico. Allora esse rientrerebbero nel terzo gruppo: aree agricole.

2. ‑ In PR viene lasciata l'attuale destinazione, ma il Comune decide di attuare lo stesso anche in questa zona parco con la conseguenza che si dovranno acquistare le aree a prezzo a‑ aree edificabili, anche se con bassa cubatura e numerosi vincoli.

3. ‑ In PR viene lasciata l'attuale destinazione e la conseguente urbanizzazione viene realizzata. Il valore delle aree rese così edificabili è evidentemente incrementato dall'immediatamente retrostante Parco Appio. Precisamente in base ai raggi di azione si può presumere una influenza diretta di una striscia di circa 200 ettari appartenente al terzo gruppo: cioè agricolo. L'acquisto di questi 200 ettarì di parco pubblico dovrebbe rientrare, in questo caso nell'urbanizzazione di queste aree adiacenti: equivarrebbe cioè ad una specie di tassa di maggior onere di urbanizzazione.

IL FUTURO DEL VERDE A ROMA

Ormai, come risulta chiaramente sfogliando le pagine di questo numero di « Casabella », il problema del verde a Roma non è più allo stato iniziale. Associazioni e professionisti hanno studiato ed elaborato un notavole materiale che può costituire complessivamente un primo schema di quella che potremmo chiamare la dottrina del verde a Roma. Per passare da questa fase ad una fase successiva non bastano più però associazioni e individui; occorre l'intervento diretto, continuo, preciso degli uffici comunali, di quei tali organismi che sarebbero dovuti nascere cioè con il PRG come strumenti del PRG, impostati secondo principi e criteri adatti a quel nuovo corso ci cui il PRG doveva essere l'atto iniziale.

Oggi è proprio questo che vogliamo: si chiuda definitivamente l'«operazione riassorbimento», subito ed immediata mente, e si riprenda il discorso avviato l’“operazione Sullo” e proseguirà con gli ordini del giorno approvati dal Consiglio Comunale il 18 dicembre 1962; perché ci dispiacerebbe troppo dover constatare ancora che l'amministrazione di centro‑sinistra subisce passivamente certi atti che potevano essere approvati dalla politica della precedente amministrazione, ma non lo possono essere certamente da questa.

Vorremmo tra poco poter raccontare anche per Roma qualche cosa di analogo a ciò che si dice è successo a Parigi. All'inizio del '60 fu costruito un grandioso passaggio sotterraneo a più vie sovrapposte tra l'avenue de la Porte d'Asnières e il boulevard Berthier nella periferia nord della città. Richiesto a un addetto a questi lavori quanti alberi erano stati abbattuti o comunque sarebbero stati abbattuti per questi grandiosi lavori, egli rispose sdegnato ed in maniera perentoria: «Pas un arbre, messieurs!».

ARTICOLI CORRELATI
20 Novembre 2009
19 Novembre 2009

© 2024 Eddyburg