Sindaci, prefetti, vescovi, parroci. Qualcuno ricorda: «Fuggono dalle guerre, ma chi le ha scatenate? Spesso l’Occidente e l’Europa», e qualcun altro: «I sindaci non sono razzisti, non temono gli stranieri, ma i poveri, la miseria. Solo che rifiutare chi non ha nulla è da infami».
Corriere del Veneto, 2 novembre 2016
Ha voglia Papa Francesco, l’ultima volta ieri, a ribadire: «Non si può chiudere il cuore ai rifugiati». Il fatto è che ormai sono così tanti, e sempre concentrati negli stessi Comuni (in Veneto 246 su 576 per 14.639 richiedenti asilo), da indurre anche molti parroci, oltre alla maggioranza dei sindaci, a dire: «No». Da qui lo sfogo del prefetto di Vicenza, Eugenio Soldà, che dovendo trovare posto a 2700 disperati, è sbottato: «Sono da solo, mi hanno abbandonato tutti, mi hanno sbattuto la porta in faccia pure i parroci. Mi hanno voltato le spalle». Non è una novità, purtroppo. A ottobre il prefetto di Padova, Patrizia Impresa, aveva ammesso: «La Chiesa ci ha sostenuti, ma quando si è trattato di trovare dei posti...».
E prima il collega di Venezia, Domenico Cuttaia, aveva lanciato un appello proprio alle parrocchie, non tutte propense a seguire l’esortazione del pontefice ad aprire le porte ai migranti. «Mi rivolgo alle parrocchie, per un’accoglienza minima di tre o quattro profughi ciascuna — aveva esortato Cuttaia — stanno arrivando anche molti minori e donne. Non possiamo lasciarli per strada». «Forse i curati non hanno tutti questi spazi a disposizione — nota Enrico Caterino, prefetto di Rovigo costretto a requisire un hotel a Ficarolo per gestire i continui arrivi — ma a me la Curia una mano l’ha data. Ha alloggiato per un mese 26 migranti in un suo edificio in pieno centro, dove tiene i corsi per i seminaristi. Non sono in grado di dire se la Chiesa possa fare di più, ma spetterebbe in prima battuta ai sindaci sostenerci nella gestione dell’emergenza. Il loro esempio potrebbe persuadere i parroci, invece in Polesine solo 9 Comuni su 41 collaborano».
Ma come risponde la Chiesa al j’accuse? Il vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, vuole «parlare direttamente con il prefetto Soldà», però poi in una nota ufficiale la Curia «non può nascondere che tali dichiarazioni abbiano creato stupore e rammarico, soprattutto perché giungono inaspettate. Possiamo comprendere la delicata situazione che il prefetto deve gestire e vogliamo imputare a uno stato di emergenza continua le accuse rivolte ai parroci della Diocesi. I quali però non possono agire senza o contro le proprie comunità». Ieri, nell’omelia, monsignor Pizziol ha ricordato «i migranti costretti a lasciare le loro terre a causa delle guerre». «Chiediamoci — ha esortato — chi ha scatenato quelle guerre? Spesso l’Occidente e l’Europa». Più volte il presule ha chiesto ai sacerdoti di accogliere i rifugiati: «Dobbiamo lavorare di più». L’ultimo invito è di giovedì.
Di diverso tenore la riflessione del patriarca Francesco Moraglia: «A Venezia c’è disponibilità da parte dei sacerdoti, cerchiamo di ottemperare alle regole imposte dal ministero dell’Interno ma non è semplice, soprattutto vista la crescita esponenziale degli arrivi. Il territorio a un certo punto non riesce più ad accogliere, non credo che non voglia più accogliere. C’è anche chi non vuole, ma questo prescinde dal numero di profughi. Chi si impegna in tal senso deve fare i conti con risorse e forze limitate».
«Da noi l’accoglienza funziona — assicura monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona — si è dimostrato vincente puntare su piccoli nuclei e farli gestire dalla Caritas». Ma se i parroci dicono di no è anche per motivi «tecnici». «Non abbiamo molti spazi e le canoniche inutilizzate non sono a norma come abitazioni — spiega monsignor Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia — se succede qualcosa si va incontro a problemi penali. Mettere a posto una canonica costa 100mila euro: chi ce li ha? E spesso siamo visti male dai sindaci. Più di qualcuno ci ha detto: se ospiti profughi mando i vigili a controllare che tutto sia in regola. Mica pensano che se li sistemano da noi è perché loro non li vogliono. Dobbiamo infine mettere in conto eventuali accuse di volere i migranti per fare cassa». «Secondo il diritto canonico le case del clero non possono avere un diverso utilizzo e il cambio di destinazione d’uso non s’inventa in pochi giorni — concorda don Marino Callegari, delegato Caritas del Triveneto —. Ma spesso le parrocchie non hanno altri locali.
Nonostante ciò la Chiesa ha aperto le porte a migliaia di rifugiati». «Bisogna rimuovere le cause della paura — dice don Luca Favarin, che con l’associazione «Percorso vita» a Padova ha dato un tetto a 140 persone in undici strutture — è vero, i sindaci non sono razzisti, non temono gli stranieri, ma i poveri, la miseria. Solo che rifiutare chi non ha nulla è da infami».
L'immagine che abbiamo scelto come icona è tratta dal sito valigia blu, a cui raccomandiamo di fare una visita