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Jolanda Bufalini
«Privatizzando lo Stato si devasta la democrazia e la cultura pubblica»
12 Luglio 2010
I tempi del cavalier B.
Nella conversazione con Vezio De Lucia, l’analisi, urbanistica e politica, del devastante art. 49 della manovra finanziaria. Su l’Unità, 12 luglio 2010 (m.p.g.)

Uno scioglilingua: non ci sarà più la “Dia” ma la “Scia”. Non la “dichiarazione di inizio attività” ma la “segnalazione certificata di inizio attività”. Ma dietro quella parolina: segnalazione al posto di dichiarazione si nasconde «il condono preventivo», l’atto finale di un «progressivo azzeramento del controllo del territorio». Se passerà l’emendamento del senatore Antonio Azzollini, relatore di maggioranza per la manovra finanziaria, per impiantare un’impresa, un centro commerciale,un laboratorio artigianale, non ci sarà bisogno di autorizzazioni, basterà l’autocertificazione e, in materia ambientale, sarà sufficiente la certificazione fornita da istituti universitari o altri organi con “capacità tecnica equipollente”.

«Con il pretesto di lottare contro una burocrazia soffocante – sostiene Vezio De Lucia, che è uno degli urbanisti più prestigiosi in Italia - in effetti si distrugge la Pubblica amministrazione in modo così radicale da intaccare la stessa democrazia. Pezzo a pezzo si annullano le regole dello stato moderno». Si potrebbe obiettare che lo spirito della legge sia rafforzare la responsabilità individuale, chi autocertifica il falso risponderà ex post. Non è così, secondo De Lucia: «Il controllo a posteriori non esiste e la prova regina è che ancora oggi si stanno smaltendo le pratiche del primo condono, quello fatto da Craxi nel 1985». E il paradosso è che ormai siamo al condono preventivo, «che non porta nemmeno soldi nelle casse dello Stato». «Penso - dice l’urbanista - che il condono in materia edilizia sia persino peggiore di quello tributario che produce un danno etico ma, dopo 20 anni, nessuno se lo ricorda, invece il condono edilizio produce una ferita che resta in eterno».

Quello di cui si discute in Senato è un capovolgimento di valori, un «colpo micidiale» al nostro ordinamento: «Siamo stati il primo stato moderno a mettere la tutela del paesaggio nei principi costituzionali» ora, invece, c’è «l’annichilimento del parere delle soprintendenze, l’edilizia comanda sull’urbanistica e il principio del silenzio-assenso pone la questione della tutela sullo stesso piano di ogni altra espressione della Pubblica amministrazione, facendo perdere ogni gerarchia di valori».

Pretesti

L’oppressione burocratica è un pretesto, «Nelle regioni più attente, in Toscana, per esempio, non ci sono lamentele degli imprenditori, le cose vanno male in quelle realtà del sud dove prevale la peggiore sub-cultura familistica che non accetta le regole». D’altra parte «è questa la mentalità del premier Berlusconi», la sua storia di imprenditore che scardina le regole e per la quale oggi ci troviamo il frutto avvelenato «di una informazione Tv che ha ucciso lo spirito critico e propagato un modo di pensare tutto privatistico». È questa mentalità che porta ad accettare «la devastazione della cultura pubblica». C’è una responsabilità «grave» del ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, la cui politica contrasta «il codice Urbani che è strumento valido e al quale, non per caso, ha lavorato, come presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, Salvatore Settis che si sta battendo con coraggio e lucidità». Ma quello che sta accadendo in Senato segue «una sfilza di provvedimenti precedenti» come l’approvazione del federalismo demaniale: «C’è qualcosa di simbolico nel fatto che subito dopo l’unità d’Italia, con l’esproprio dei beni ecclesiastici, lo Stato unitario demanializzava, creava beni pubblici. Oggi, a 150 anni, si privatizza».

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