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Francesco Erbani
Più servizi e spazi pubblici o non saranno veri quartieri
17 Ottobre 2009
Terremoto all'Aquila
Nell’intervista a Pier Luigi Cervellati, perchè le nuove C.A.S.E. dell’Aquila non saranno mai una città. Da la Repubblica, 17 ottobre 2009 (m.p.g.)

«Alle new town aquilane, per come stanno sorgendo, manca soprattutto una cosa: l´essere città o parti di città». Per l´architetto Pier Luigi Cervellati, che insegna all´Iuav di Venezia, «sono agglomerati di case che non hanno minimamente l´aspetto di una città».

Cosa manca a quegli insediamenti per essere città, o parti d´essa?

«Ho visto le new town realizzate dalla Provincia di Trento: appartamenti con tutti i requisiti, sia di sicurezza sia di comfort. Ma perché un gruppo di case diventi un quartiere occorre un tessuto di servizi, occorrono trasporti pubblici, spazi pubblici, tutti quegli elementi che agevolano il formarsi di relazioni sociali e che tengono insieme una comunità».

Qualche settimana fa è stato pubblicato uno studio di Vezio De Lucia e Georg Frisch che segnalava proprio questi problemi.

«Condivido quelle preoccupazioni. Intanto non chiamerei new town quegli insediamenti. Le new town inglesi vengono realizzate dopo la guerra. Sono città che hanno una popolazione complessiva fra i 50 e i 100 mila abitanti mentre quelle più recenti ne contano da 250 a 430 mila. In Inghilterra hanno insediato cinque milioni di persone in questo modo. Ma villes nouvelles le troviamo anche in Francia. Si può discutere se siano un esperimento riuscito o meno: sono comunque città, custodiscono la complessità, persino il conflitto tipico di una città».

Perché in Italia non si è fatto nulla di simile?

«Perché da noi la crescita delle città dal dopoguerra è stata in gran parte diretta da una matrice privata e speculativa. Le new town sono il frutto di un grande intervento pubblico. In Italia si sono tentati i cosiddetti quartieri-satellite, ma sono un´altra cosa. Secondo qualcuno, comunque, dietro le new town c´è anche la suggestione delle città di fondazione realizzate in Italia negli anni Trenta».

Quindi che giudizio dà della ricostruzione in Abruzzo?

«Si è scelta una strada sbagliata. Questi insediamenti mi paiono nuclei periferici che servono solo per dormire, senza collegamenti fra loro e con quel che resta del centro storico dell´Aquila. Il cui abbandono è l´altro disastro di questa operazione».

Perché?

«Se riprendiamo l´esempio londinese vediamo che, mentre si progettavano le new town, intanto si interveniva sulla città bombardata. A volte si diradava l´edilizia, a volte si ricostruiva. Ma tutto rispondeva a un progetto. A L´Aquila non c´è un piano che immagini come sarà la città del futuro. Nel centro storico non si restaura nulla, e si va verso il suo spopolamento, che temo preluda a colossali operazioni speculative. Si dissemina invece il territorio di piccoli insediamenti che consumano suolo e la cui somma non farà mai una città».

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