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Francesco Antonelli
Pierre Bourdieu mette a nudo il corpo sociale
16 Aprile 2015
Sinistra
«Pierre Bourdieu. Tradotta "La miseria del mondo", l’opera del sociologo francese sugli smottamenti che hanno investito la società negli ultimi decenni. E che vede nella precarietà il principio regolatore del dominio esercitato dal capitalismo».
«Pierre Bourdieu. Tradotta "La miseria del mondo", l’opera del sociologo francese sugli smottamenti che hanno investito la società negli ultimi decenni. E che vede nella precarietà il principio regolatore del dominio esercitato dal capitalismo».

Il manifesto, 16 aprile 2015

«Dove hanno fatto il deserto, quello chia­mano pace». Con que­ste parole si con­clu­deva il discorso di Cal­gaco, re dei Cale­doni, nel De Agri­cola di Tacito, dove il grande sto­rico romano, rac­con­tando la vita del suo­cero Giu­lio Agri­cola gover­na­tore della Bri­tan­nia, espri­meva una delle più feroci cri­ti­che di sem­pre a quell’imperialismo e quella cor­ru­zione dei romani che li aveva con­dotti ad assog­get­tare il mondo, chia­mando ordine e civiltà ciò che era domi­nio e sot­to­mis­sione. Nel mondo moderno e con­tem­po­ra­neo qual è il nostro «deserto chia­mato pace»? Attra­verso un’inchiesta corale (sia per la plu­ra­lità dei sog­getti presi in con­si­de­ra­zione che per il grande numero di stu­diosi coin­volti) sulla scia ma anche al di là dei grandi roman­zieri e intel­let­tuali impe­gnati del XIX secolo, una rispo­sta pos­si­bile l’ha offerta Pierre Bour­dieu con il suo ormai clas­sico La mise­ria del mondo; frutto di tre anni di lavoro, pub­bli­cato per la prima volta in Fran­cia nel 1993 e da allora al cen­tro di vivaci discus­sioni e per­sino ispi­ra­zione per innu­me­re­voli spet­ta­coli tea­trali, esce oggi in Ita­lia per i tipi di Mime­sis, in una bella edi­zione tra­dotta e curata da Anto­nello Petrillo e Ciro Tarantino.

La mise­ria al cen­tro del libro di Pierre Bour­dieu non è la povertà asso­luta (una con­di­zione mate­riale docu­men­ta­bile e cer­ti­fi­ca­bile), bensì la «mise­ria di posi­zione», cioè la mise­ria che nasce e si ripro­duce in uno spa­zio fisico e sociale degra­dato, pre­ca­rio, insta­bile, cui si appar­tiene e in cui si è coin­volti senza pos­si­bi­lità reale di uscirne: insomma, la mise­ria con­tem­po­ra­nea è innan­zi­tutto un sistema di rela­zioni sociali che influenza nega­ti­va­mente il modo in cui le per­sone pen­sano se stesse e gli altri, e le chance di vita che hanno a dispo­si­zione. In que­sto senso, l’apparentemente impro­ba­bile paral­le­li­smo tra Tacito e il socio­logo fran­cese va al di là della sug­ge­stione reto­rica: la mise­ria che emerge dalle ana­lisi di Bour­dieu e col­la­bo­ra­tori è frutto di una deser­ti­fi­ca­zione sociale, vale a dire dell’impoverimento mate­riale e della con­tem­po­ra­nea pau­pe­riz­za­zione sociale.

Un uni­verso fantasmatico

Il declino di un vec­chio mondo (quello della società del benes­sere) e il sor­gere di un nuovo uni­verso, più spie­tato, meno civico e soli­dale. All’interno di que­sto ordine che pos­siamo chia­mare neo-liberista lo Stato si è riti­rato e ha perso (per scelta poli­tica) auto­re­vo­lezza e capa­cità d’intervento così come sono entrati in crisi e si sono fran­tu­mate le isti­tu­zioni sociali inter­me­die che assi­cu­ra­vano soste­gno agli indi­vi­dui (la fami­glia) ma anche media­zione dei con­flitti (le asso­cia­zioni), sin­tesi e orga­niz­za­zione delle diver­sità cul­tu­rali e delle aspi­ra­zioni indi­vi­duali (i par­titi, i sin­da­cati). Bour­dieu e la sua equipe ana­liz­zano le mani­fe­sta­zioni di que­sta mise­ria con­tem­po­ra­nea (che è anche dif­fu­sione della vio­lenza e dell’intolleranza) met­ten­dola in col­le­ga­mento con le sue radici sociali e poli­ti­che occulte (per­ché rimosse dal dibat­tito pub­blico e poli­tico) inter­vi­stando una vasta e varie­gata pla­tea di sog­getti: dall’anziano che vive nella ban­lieue al lavo­ra­tore immi­grato; dalla gio­vane disoc­cu­pata all’assistente sociale e al pic­colo com­mer­ciante. Tutte que­ste figure, i cui vis­suti e per­corsi sono rico­struiti attra­verso un approc­cio che uni­sce sem­pre all’avvincente nar­ra­zione d’inchiesta una ser­rata rifles­sione teo­rica in grado di resti­tuire i col­le­ga­menti tra le bio­gra­fie indi­vi­duali e le più vaste dina­mi­che sociali e eco­no­mi­che, sono acco­mu­nate dalla con­di­vi­sione di un comune oriz­zonte e spa­zio sociale: quello dei ceti popo­lari, depo­ten­ziati nella pro­pria dignità, nel pro­prio rispetto di sé e nella pro­pria auto­no­mia. Que­sto immi­se­ri­mento nasce dalla pre­ca­riz­za­zione del mer­cato del lavoro, dalla con­tra­zione del wel­fare state, dall’esclusione sociale, dai mec­ca­ni­smi clas­si­sti della scuola e dall’abbandono delle peri­fe­rie da parte delle isti­tu­zioni pubbliche.

In que­sto calei­do­sco­pio sociale «dal basso», nel quale bio­gra­fia indi­vi­duale e tra­sfor­ma­zioni col­let­tive si intrec­ciano costan­te­mente, ritro­viamo da una parte i «vinti» e dall’altra quelle figure pro­fes­sio­nali che rap­pre­sen­tano ciò che resta della rete di pro­te­zione sociale sta­tuale, che vanno a fondo assieme ai primi. Vi è il pic­colo com­mer­ciante che non ce la fa più a reg­gere la con­cor­renza della grande distri­bu­zione e che vive, ormai anziano, le sue dif­fi­coltà rea­gendo in modo rab­bioso, facendo appello ad un nuovo nazio­na­li­smo che lo possa pro­teg­gere dalle con­se­guenze della glo­ba­liz­za­zione. Un’ampia gal­le­ria di gio­vani, dall’operaio pre­ca­rio che guarda come inu­tile resi­duo del pas­sato il sin­da­cato pur vivendo una situa­zione di forte pre­ca­rietà lavo­ra­tiva, al gio­vane stu­dente mar­gi­na­liz­zato e taci­turno che poi decide di lasciare tutto per andare ad arruo­larsi come volon­ta­rio nelle mili­zie croate. E i con­ti­nui con­flitti, ormai dif­fusi ovun­que nel tes­suto della vita quo­ti­diana delle ban­lieue, tra fran­cesi di nascita e fran­cesi natu­ra­liz­zati (cioè migranti), pra­ti­ca­mente per ogni cosa: dagli odori pro­ve­nienti dalle cucine, ai rumori legati alle visite di amici, sino ai gio­chi nei cor­tili. Indi­ca­tore di una lotta per il con­trollo del ter­ri­to­rio (ormai in fasce di declas­sa­mento) tra gruppi che con­di­vi­dono poco, ma anche risul­tato del deciso inde­bo­li­mento dell’autorità nelle fami­glie natu­ra­liz­zate, che con­duce i gio­vani ad assu­mere com­por­ta­menti sem­pre più fuori controllo.

La pra­te­ria della politica

Su que­sto varie­gato fronte di guerra – nel quale sin­da­cati e par­titi di sini­stra sono oramai assenti anche come ter­reno di incon­tro e di media­zione tra vari tipi di ceti popo­lari – ritro­viamo anche gli assi­stenti sociali e i giu­dici mino­rili, che non vivono sem­pli­ce­mente le pur tante dif­fi­coltà con­na­tu­rate al loro lavoro ma la sem­pre più ampia sen­sa­zione di essere sva­lu­tati social­mente e pro­fes­sio­nal­mente, pro­prio da quello Stato per cui lavo­rano ma che non vede più di buon occhio la spesa sociale. La mise­ria del mondo di Bour­dieu fa emer­gere così tre aspetti molto inte­res­santi: la dif­fe­ren­zia­zione e fram­men­ta­zione soprat­tutto per linee etni­che e gene­ra­zio­nali dei ceti popo­lari con­tem­po­ra­nei; l’abbandono siste­ma­tico dei più deboli da parte della poli­tica e delle classi diri­genti, che apre la strada ad una visione sem­pre più dar­wi­niana della vita sociale; l’apertura di una pra­te­ria poli­tica (che all’inizio degli anni Novanta era ancora ampia­mente sot­to­va­lu­tata) sia per il nazio­na­li­smo popu­li­sta che per la radi­ca­liz­za­zione isla­mi­sta, in con­se­guenza del dis­sol­vi­mento della sini­stra e del suo radi­ca­mento popolare.

La mise­ria è stato uno dei temi domi­nanti nella vita delle masse popo­lari nel corso della sto­ria fino ad emer­gere come un attri­buto fon­da­men­tale di quella que­stione sociale (e non più sem­pli­ce­mente reli­giosa) che, a par­tire dall’ascesa della società indu­striale, ha domi­nato la scena poli­tica e il dibat­tito pub­blico della moder­nità. La mise­ria è una cate­go­ria e uno stato diverso dalla «sem­plice» povertà: la mise­ria è penu­ria di risorse ma anche meschi­nità morale, con­di­zione mate­riale depri­vata ma anche sof­fe­renza e bas­sezza spi­ri­tuale, in ter­mini socio­lo­gici quella fine della coe­sione sociale retta da valori non solo con­di­visi ma anche capaci di dare una meta e un oriz­zonte di miglio­ra­mento alla vita indi­vi­duale e col­let­tiva. Così, la mise­ria non è mai il con­tra­rio dell’opulenza ma della «vita buona» e della pos­si­bi­lità di rea­liz­zarla in qual­che luogo. Come tale la pos­siamo ritro­vare tanto nei ghetti e nelle fave­las quanto nei grat­ta­celi scin­til­lanti di Man­hat­tan, ogni­qual­volta la depri­va­zione mate­riale si accom­pa­gna ad un eterno pre­sente senza spe­ranze di riscatto morale, civile e materiale.

L’utopia del socia­li­smo – e poi la stessa ideo­lo­gia dello Stato sociale, com­preso quello di marca libe­ral­de­mo­cra­tica – è con­si­stita nel rite­nere che la società indu­striale fosse la dimen­sione all’interno della quale offrire una solu­zione a que­sto pro­blema, una volta eli­mi­nato o messo sotto con­trollo il capi­ta­li­smo; e, per que­sta via, in que­sto mondo, riscat­tare dalla mise­ria l’umanità intera, tanto il pro­le­ta­riato quanto gli stessi bor­ghesi. La mise­ria con­tem­po­ra­nea è nega­zione di que­sta uto­pia ed estra­nea­zione della sini­stra dai ceti popo­lari; ed è stata occul­tata, anche durante e nono­stante la grande crisi del 2007. Rileg­gere l’attualissima ricerca di Pierre Bour­dieu ce ne fa capire il per­ché: non si tratta solo di mera con­ve­nienza politica.

Eclisse della sinistra

Ci tro­viamo di fronte alla scom­parsa dal dibat­tito pub­blico della società stessa e dei ceti popo­lari ora che, dopo la fine del for­di­smo e della società del benes­sere, si fanno più dif­fe­ren­ziati, estesi e pre­cari: fine della società per­ché la mise­ria quando è rac­con­tata e messa a tema lo è sem­pre come que­stione indi­vi­duale, disturbo psi­co­so­ma­tico, male esi­sten­ziale senza radici sociali, che invece per­si­stono e sono resi­sten­tis­sime, radi­cate nei mec­ca­ni­smi di fun­zio­na­mento eco­no­mico e nei poteri sociali. Abban­dono dei ceti popo­lari per­ché que­sti non sono più coin­volti in un pro­getto di riscatto e pro­gresso sociale ma lasciati in balia dei mec­ca­ni­smi più sel­vaggi del mer­cato e di una nar­ra­zione media­tica e poli­tica che ne esalta le rea­zioni di pan­cia, fun­zio­nali al man­te­ni­mento di quell’ordine sociale che li priva, con­tem­po­ra­nea­mente, della pro­spet­tiva della «vita buona» (popu­li­smo e radi­ca­li­smo a sfondo reli­gioso). Si pensi a que­sto pro­po­sito al rac­conto pie­ti­stico che in Ita­lia si fa a volte dei disoc­cu­pati o dei pen­sio­nati rovi­nati da video­po­ker o video­lot­tery: in tutti que­sti casi si cede alla com­mi­se­ra­zione, si parla di psi­co­pa­to­lo­gia ma si occulta il fatto che quelle mise­rie sono fun­zio­nali a pre­cisi inte­ressi eco­no­mici (anche di stampo mafioso), pos­si­bili e pro­mossi dalle leggi dello Stato. La mise­ria del mondo di Bour­dieu mostra la pos­si­bi­lità di ren­dere rever­si­bile (per­ché pro­dotto degli uomini) ciò che troppo spesso è scam­biato per un destino senza scampo: la mise­ria dei tempi pre­senti in tutte le sue com­plesse ed arti­co­late forme.

Riferimenti
Vedi anche, sul medesimo argomento, l'articolo di Benedetto Vecchi.
Nell'icona, e qui sotto, un murale di Ernest Pignon dipinto in una prigione di Lione

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