CAGLIARI. Zack. Il referendum per dire no al Ppr non si farà. Richesta bocciata per la seconda volta. Piange, la Cdl, furiosa contro i vincoli del piano urbanistico. «E’ inammissibile», decreta l’Ufficio regionale che deve valutare se è il caso di ricorrere alla consultazione popolare per cancellare una legge. Vanno in fumo 24.139 firme: tante ne aveva raccolte in un paio di settimane il centrodestra capitanato da Mauro Pili che proprio ieri sera - sentendo odore di bruciato - si è autoconsegnato al direttore del carcere di Buoncammino per protestare contro quello che lo stesso deputato definisce «il bavaglio dei sardi». Renato Soru non commenta, neanche sotto tortura, ma non è peregrino ipotizzare che ieri sera il governatore abbia brindato.
La ghigliottina sulla seconda richiesta di referendum sul Piano paesaggistico è stata azionata ieri pomeriggio, poco prima delle cinque.
Sotto la presidenza di Gian Luigi Ferrero, i componenti Vincenzo Amato, Silvio Ignazio Silvestri, Enrico Passeroni e Fulvio Dettori, con l’assistenza del segretario Carlo Sanna, l’Ufficio regionale ha ritenuto di non dover ammettere la richiesta di referendum abrogativo della delibera varata dalla giunta regionale il 5 settembre dell’anno passato, quella con cui è diventato operativo il Piano paesaggistico regionale.
Da che cosa è originata l’inammissibilità? La spiegazione è contenuta in una decina di pagine in cui si fa un diretto riferimento a un orientamento della giurisprudenza in materia di referendum. Senza usare termini giuridici, la sostanza del rifiuto è abbastanza semplice. Si parte dall’assunto che il Piano paesaggistico «è un atto particolarmente articolato, che contiene disposizioni eterogenee e in gran parte differenziate, senz’altro non riconducibili a un unico principio ispiratore».
Ebbene, secondo le argomentazioni dell’Ufficio regionale, «la richiesta di referendum non può essere ammessa in quanto essa si ricollega alla delibera della giunta nella sua totalità, fatta attraverso un quesito unitario nonostante la pluralità e non omogeneità della materia in discussione». E ancora: «Il cittadino si troverebbe nell’impossibilità di esprimere liberamente il suo voto su argomenti e disposizioni del tutto diversi». Insomma, i componenti dell’Ufficio sono convinti che non si possa - con un «sì» o con un «no» (queste sono le uniche opzioni) - valutare nel suo complesso una normativa così complessa e articolata come il Piano paesaggistico.
«Il quesito - si argomenta ancora da parte dell’Ufficio del referendum - non consente di differenziare la valutazione sull’abrogazione o la conservazione della disciplina sulla fascia costiera, sulle aree naturali, sulle aree agro-forestali, sul sistema dei parchi» e via elencando.
A corredo del parere negativo, l’Ufficio presieduto da Gian Luigi Ferrato infine precisa che «l’accertata inammissibilità della richiesta referendaria comporta che non si deve provvedere agli ulteriori adempimenti imposti dalla legge regionale nuero 20».
Quest’ultima, ha tutta l’aria di un’ulteriore mazzata nei confronti del centrodestra che, all’inizio del 2007, per impulso di Mauro Pili ma anche dell’intero gotha della Cdl sarda, aveva deciso di riorganizzare una raccolta di firme per abolire la legge sul Ppr, definito a più riprese uno strumento che «blocca lo sviluppo della Sardegna, e favorisce importanti speculazioni immobiliari». Pili e soci avevano comunciato a girare la Sardegna e in un paio di settimane avevano raccolto oltre 24mila firme. Il numero minimo era di diecimila, ma, dopo la bocciatura di una prima richiesta di referendum, la Cdl aveva pensato bene di prendersi il sicuro, anche in previsione di quanto poi avrebbe previsto la Statutaria che ha innalzato il tetto a 15mila firme. Lo scorso 6 febbraio, poi, una folta delegazione dei partiti d’opposizione aveva depositato nella cancelleria della Corte d’Appello di Cagliari 24 faldoni azzurri contenenti ognuno mille firme. Subito dopo, in una conferenza stampa, gli esponenti dell’opposizione non si erano risparmiati nel contestare in maniera ancora più feroce la politica urbanistica, caratterizzata da vincoli bloccasviluppo, della giunta.
Non è azzardato, dopo quest’altra bocciatura, prevedere che da oggi, convinta che il referendum avrebbe cassato il Ppr, si mobiliti un’altra volta. E magari segua l’esempio di Mauro Pili, autorinchiusosi a Buoncammino.