L'estate che ormai è alle nostre spalle ci ha lasciato uno strascico mefitico di sospetti, congiure, complotti, conflitti e, quel che è peggio, intrecci d'interessi, e la sconfortante impressione dell'inadeguatezza al compito del nostro ceto politico, di quasi tutto il nostro ceto politico. S'è parlato molto di questione morale, come tutte le volte in cui l'immoralità dilaga. La mia persuasione è che per favorire una moralità appena decente, ci vorrebbe come sempre una buona politica: una politica assolutamente non autoreferenziale; una politica che «renda conto» invece di farsi gli «affari suoi»: insomma, una politica della partecipazione e non della degenerazione leaderistica. Di qui, - lo pensano ormai in molti, - bisognerebbe ripartire. Invece, - accanto ma anche dentro e anche attraverso il pattume della commistione affari-politica, - l'unica vera grande autentica manovra politica dell'estate è stata il rilancio massiccio dell'opzione neo-centrista, sia dall'interno del centro-destra sia dall'interno del centro-sinistra. Non tanto, io credo, per disarticolare ora ognuno dei due poli. Quanto per cominciare a preparare le future scelte politiche di governo (soprattutto se ci sarà un governo di centro-sinistra), in una prospettiva decisamente trans-bipolare, e su questioni assolutamente decisive (per es. la scuola, lo stato sociale, il lavoro).
A fare le spese di questa duplice stretta sembrerebbero per ora soprattutto i Ds, dilaniati fra la tentazione di stare anche loro per intero nella manovra neo-centrista e il residuo (duro a morire, ammettiamolo) richiamo di una tradizione riformista di sinistra, per quanto ormai moderata all'estremo. Potremmo commentare con la disincantata perfidia dei preveggenti: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso». Ma preferiamo guardare in avanti: il dispiegamento della manovra neo-centrista non potrà non riaprire in grande stile il problema dell'esistenza e dell'identità di una vasta sinistra italiana, anche nei Ds e anche per i Ds. E anche questo, nonostante le lontananze e i conflitti attuali, ci sembra affar nostro. Mai come oggi ci è apparsa fondata l'opportunità della previsione e della linea, sulle quali è nata nel gennaio scorso la Camera di consultazione della sinistra (della sinistra, appunto, non solo della sinistra radicale).
In sintesi: si sta, non v'è dubbio, nell'Unione; ma per costruirvi, dal punto di vista programmatico e organizzativo, il contrappeso più possente allo slittamento neo-centrista dell'Unione medesima. Al tempo stesso, si conferma sempre più valida l'esigenza che la tanto sbandierata osmosi tra forze politiche organizzate e forze di movimento si verifichi finalmente anche in questa delicata frase pre-elettorale.
Invece, io sono seriamente preoccupato (mentre Fausto Bertinotti sembra accantonare serenamente il peso di queste problematiche nell'intervista resa al il 27 u.s.). C'è il rischio che anche le primarie si trasformino in una tappa della generale avanzata moderata. Sono rimasto molto colpito da un'affermazione di Nando dalla Chiesa ( l'Unità, 23 agosto u.s.) in risposta all'istanza da «società civile» formulata da Flores d'Arcais. Scrive della Chiesa: che bisogno c'è di un candidato espresso dalla «società civile»? Infatti, «quel popolo dei movimenti che per decine di manifestazioni ci ha chiesto unità ha già deciso di votare Romano Prodi». Capito? Non c'è alcuna ragione di tormentarsi, la cosa è già tranquillamente sistemata: il movimento, travagliato e dialettico, ricco e composito degli ultimi quattro-cinque anni, sarebbe esistito semplicemente per incoronare Prodi vincitore. Ora, intendiamoci: Prodi va benissimo come premier di questo futuro governo di centro-sinistra. Ma se le primarie dovessero risolversi in un trionfo plebiscitario di Prodi, inevitabilmente anche questo sarebbe letto e usato come un trionfo in sono all'Unione delle forze e delle linee moderate, perché Prodi è un buon moderato, ma è un moderato. E questo rischio e, allo stato attuale delle cose, reale, anzi realissimo.
Per evitarlo ci vorrebbe a sinistra una concentrazione di forze, partitiche e di movimento, con una forte connotazione di genere, e un candidato in grado di rappresentarla. Ci sono? Non ci sono. Il problema dunque per me è, moto concretamente, come (se) si possa ancora ottenere che il candidato della sinistra sia in grado di fronteggiare il risultato prodiano, dando al tempo stesso risalto politico al fatto che nella realtà italiana esiste (come la lezione tedesca con la sua incredibile semplicità c'insegna) una vera sinistra, capace di dialogare da pari a pari con il centro del centro-sinistra e di riallacciare da sinistra rapporti seri, dialettici e condizionanti, con quei sinistri moderati che sono i Ds (invece di lasciarli semplicemente andare alla deriva, prigionieri del neo-centrismo).
Ora i candidati di sinistra alle primarie sono più di uno, difficoltà non piccola per qualsiasi elettore, me compreso. Ma semplifichiamo, sia pure a malincuore, il quadro fermando l'attenzione sul candidato Bertinotti, il quale, nel campo della sinistra, appare avere le maggiori chances di partenza. Bertinotti è senza ombra di dubbio un candidato di sinistra. Anzi, vorrei specificare che tutto il ragionamento che si può fare oggi sulla sinistra italiana, e la stessa Camera di consultazione della sinistra, non sarebbero stati possibili senza il processo di rinnovamento ideale e d'iniziativa politica, che hanno caratterizzato Rifondazione comunista nel corso degli ultimi anni.
Tuttavia: Bertinotti è un candidato di sinistra ma, allo stato attuale delle cose, non è candidato della sinistra. Per il bene della sinistra e, se intendessi usare parole forti, del paese, sarebbe opportuno che lo diventi e io penso che occorrerebbe lavorare coscienziosamente perché questo accada.
Nei giorni scorsi, dall'interno stesso, di Rifondazione, s'è parlato della necessità di praticare un «percorso», che andrebbe da qui alle prossime elezioni politiche, e oltre, in zona governo. Benissimo: «percorso» è anche una parola nostra. Ma un «percorso», come qualunque buon centometrista sa, comincia dalla sistemazione dei blocchi di partenza. Inoltre, si corre bene se si sa (almeno grosso modo) dove si vuole arrivare. Infine, se si condividono gli enunciati etico-politici, da cui ha preso le mosse il mio ragionamento, sarebbe opportuno che la corsa si svolgesse dall'inizio alla fine alla luce del sole.
Con queste premesse, mi permetto di tentare di «visualizzare» il famoso «percorso», evocato ma lasciato poi nella più totale indeterminatezza, pronto naturalmente a discuterlo e correggerlo, se mi saranno opposti buoni argomenti.
Innanzi tutto: non c'è bisogno di scomodare Lapalisse per affermare che la candidatura della sinistra, se vuole avere buone possibilità di successo, dovrebbe essere una candidatura ampiamente condivisa. Perché sia ampiamente condivisa, bisogna che sia collettivamente discussa, registrata e monitorata. Niente che intacchi la dignità e l'autonomia del candidato, ma al contrario l'inizio di un processo (di partito e di movimento, torno a ripetere) che ne garantisca un'affermazione non chiusa nel ristretto ambito di un singolo partito, situazione che ormai tende a suscitare sempre più diffidenza e distacco (e qui ci si potrebbe limitare ad osservare che si è partiti col piede sbagliato).
In secondo luogo (ma in una sequenza logico-politica normale dovrebbe essere il primo): un serio chiarimento di programma, altrettanto incerto a sinistra oggi quanto nel centro o nella destra. L'appuntamento che, all'unanimità , ci tengo a precisarlo, la Camera di consultazione si è dato per un'Assemblea nazionale di programma il prossimo 12 novembre, potrebbe essere utilizzato per svolgere questa funzione.
In terzo luogo: discutere collegialmente (partiti e movimenti) modalità e criteri d'indicazione delle candidature nei collegi uninominali e di formazione delle liste nel proporzionale per le elezioni politiche generali del 2006. Questa richiesta (esattamente al contrario di accuse rivolteci) nasce dal basso e accomuna movimenti di natura assai diversa, dai «disobbedienti» romani al Laboratorio per la democrazia di Firenze a un folto gruppo di sindacalisti Cgil autori in questo senso di un vero e proprio appello. Questa sì che può essere una grande esperienza di democrazia partecipata: la prima, forse, che la sinistra possa esibire nel nostro paese.
Se tale percorso fosse subito iniziato, e ci fosse l'impegno a percorrerlo poi per intero, anche le primarie, che ora non ne hanno alcuna, potrebbero ritrovare un minimo di logica. E la proiezione del percorso sul futuro governo di centro-sinistra contribuirebbe a rendere la competizione elettorale più facile e feconda e a determinare al tempo stesso un diverso rapporto di forze all'interno dell'Unione, attenuando l'ossessiva componente leaderistica del confronto, opra predominante. Mi rendo conto che in questo modo si mette in discussione con qualche semplice passaggio (una semplicità tedesca) l'attuale sistema politico e i suoi nodi decisionali e di potere, anche all'interno dell'attuale sinistra, e anche dell'attuale estrema sinistra. Ma non avevamo detto tutti fin dall'inizio (15 gennaio) che era questo che volevamo fare?