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Eugenio Scalfari
Perché Ruini non diventa senatore
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Riflessioni sui recenti rigurgiti di clericalismo. Da la Repubblica del 29 settembre 2005

Tra i tanti problemi che affollano il nostro presente nel mondo e nel paese in cui viviamo, ce n’è uno che in Italia è particolarmente avvertito, anzi che è esclusivamente nostro: la questione cattolica.

Dominò la società italiana per quarant’anni, dal 1870 fino alla fine del "non expedit". Sembrò del tutto risolta, ma nei modi imperativi propri d’un regime dittatoriale, con il Concordato del 1929. Fu nuovamente assopita con l’inserimento dei patti concordatari nella Costituzione repubblicana, auspici Dossetti, De Gasperi e Togliatti, nel 1947 e ancor più con la parziale revisione del Concordato dell’85. Si andò ancor più avanti (o almeno così era parso) con il dissolvimento della Democrazia cristiana nel ‘93 e la fine dell’unità politica dei cattolici.

Invece proprio dalle ceneri di quell’unità, che aveva affidato alla Dc il difficile ma non impossibile compito di mediare gli interessi della Chiesa con quelli dello Stato, la questione cattolica è uscita da una lunga latenza e si è riproposta con un’intensità nuova e ancor più pervasiva per il semplice fatto che non riguarda soltanto gli interessi della Santa Sede e del Vaticano ma anche i valori dei quali la religione è portatrice, l’etica che ne deriva e i suoi campi d’applicazione in materie prima trascurate o addirittura inesistenti, prima tra tutte la bioetica che i progressi della tecnologia hanno portato alla ribalta e che hanno fatto sorgere nuovi bisogni, nuovi desideri e nuovi diritti chiamando in causa la legislazione e quindi la politica e, insieme, la religione, la società civile, lo Stato.

Si fa un gran discutere in questa fase di laicità, di laici e di laicisti aggiungendo una manciata di biasimo a quest’ultima parola. Se ne discute facendo anche molta confusione tra credenti e non credenti e – tra i credenti – quelli che aderiscono alla pratica della liturgia e del catechismo e quelli che, pur avendo fede in un Dio trascendente e cristiano, non passano necessariamente attraverso il filtro sacramentale del magistero ecclesiastico ma cercano di raggiungerlo direttamente e plasmano il proprio sentimento religioso con l’autonomia d’una propria morale. Questa discussione, confusa ma fervida, si svolge al di fuori della politica. Prescinde dalla politica. Riguarda diverse visioni della vita e del senso che essa ha per ciascuno di noi. Dunque riguarda il nostro privato. Il modo con cui preghiamo o non preghiamo, crediamo o non crediamo, pecchiamo o non pecchiamo, ci sentiamo colpevoli o ci assolviamo.

Tutti questi sentimenti, emozioni, credenze e l’antropologia che ne deriva, non hanno alcuna attinenza con la politica, con le leggi, con le istituzioni. Le quali invece entrano in gioco solo nel momento in cui la Chiesa, o per esser più precisi la gerarchia ecclesiastica, usa lo spazio pubblico per introdurre i suoi orientamenti nelle istituzioni, per conformarle il più possibile alle sue prescrizioni, per ottenere diritti adeguati allasua visione del mondo e dei rapporti interpersonali e negare altri diritti che si distacchino da quella visione.

Qui nasce il conflitto e nel momento in cui esso diventa intenso e permanente qui nasce la questione cattolica e la sua compatibilità con la democrazia.

* * *

Esistono ancora dei laici fedeli all’ideale cavouriano di "libera Chiesa in libero Stato" che preferirebbero un regime di netta separazione tra l’istituzione religiosa e quella civile.

Personalmente mi iscrivo tra questi. Ma debbo chiarire che il regime separatista (del resto vigente in molti paesi dell’Occidente a cominciare dagli Stati Uniti) non significa affatto impedire alla Chiesa di utilizzare lo spazio pubblico per confrontare le proprie visioni e dottrine con altre comunque diverse. Al contrario: eventuali limiti posti all’uso dello spazio pubblico possono venire da pattuizioni concordatarie che prevedono sempre uno scambio tra le parti contraenti.

In un regime di separatismo la Chiesa non ha né privilegi né limitazioni, salvo quelle previste dai codici e dalle leggi. Si mantiene economicamente con le risorse ottenute dai suoi fedeli, apre e gestisce le sue scuole private senza alcun contributo dello Stato e di enti pubblici locali; in compenso è pienamente libera di predicare e prescrivere ciò che vuole e nessuno può impedirglielo.

In un siffatto regime i sacerdoti e i vescovi sono cittadini a tutti gli effetti, nei diritti e nei doveri.

Possono promuovere partiti politici o aderirvi, possono diventare membri del Parlamento e membri del governo. Chi potrebbe impedirlo per proprie e non sindacabili ragioni sarebbe tutt’al più la stessa Chiesa ma non certo uno Stato democratico che per definizione non può negare ad un cittadino diritti universalmente riconosciuti.

Ricordo che don Luigi Sturzo fondò e diresse il Partito popolare che ebbe molti seggi in Parlamento e importanti presenze nei governi, a finire con il primo governo Mussolini. Tutto ciò avvenne tra il 1919 e il 1925, cioè in un regime di assoluto separatismo tra lo Stato e la Chiesa.

Pongo ora una domanda a chi sostiene che i vescovi sono cittadini come tutti gli altri e votano infatti alle elezioni: il vescovo Ruini, il vescovo Fisichella e tanti altri come loro possono partecipare alle elezioni politiche e andare in Parlamento? Possono entrare a far parte del governo e reggere un dicastero?

Ho consultato la vigente legge sull’incompatibilità ma non c’è una sola parola che riguardi questo problema.

Dunque la riposta, in puro punto di diritto, è sì, Ruini e ciascuno dei suoi colleghi, se volessero, potrebbero concorrere alle elezioni, essere eletti, partecipare al governo.

Ma tutti sappiamo, a cominciare da loro stessi, che un fatto del genere ripugnerebbe alla coscienza nazionale e quindi non lo fanno. Non lo fanno ma potrebbero. C’è dunque un impedimento morale più forte del diritto di cittadinanza. Qual è questo impedimento?

* * *

La Chiesa è portatrice di valori assoluti e di assolute verità che le vengono dal suo corpo dottrinale dalla sua tradizione, dal suo pensiero teologico. La sua struttura è gerarchica e culmina in un vertice che ha poteri assoluti ancorati addirittura al dogma dell’infallibilità.

Ne segue che esiste una lampante incompatibilità sistemica tra un regime democratico e una religione ancorata a valori assoluti e dogmaticamente istituzionalizzati.

I vescovi, ancorché cittadini italiani, sono vincolati all’obbedienza alla loro gerarchia, nominati da un’apposita congregazione col beneplacito del papa, vincolati a dogmi emanati dalle encicliche e dai Sinodi. Perciò sono eterodiretti rispetto alle istituzioni italiane.

In più, operando in regime concordatario, fruiscono di benefici tutt’altro che marginali. In queste condizioni affermare che i vescovi e il clero in generale siano cittadini a pieno titolo è falso. Non lo sono. Possono votare ma non possono farsi eleggere e partecipare a governi se non riducendosi allo stato laicale. E tuttavia questa norma di tutta evidenza non figura nella vigente legge sulle incompatibilità.

Questo ragionamento tende a dimostrare non solo che l’esercizio passivo del diritto elettorale è precluso ai titolari delle diocesi ma, soprattutto, a chiarire che esiste altresì un limite alle loro esternazioni.

Un vescovo concordatario non può esternare come un qualsiasi altro cittadino poiché nel Concordato l’articolo 1 dichiara che lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani nelle rispettive competenze civili e religiose. C’è anche una casistica di queste competenze per quanto riguarda la Chiesa: dottrina della fede, etica, catechesi, carità, solidarismo. Non figura la parola politica. E quindi la politica non rientra nelle competenze della Chiesa.

Ma si dice ed è vero, l’etica ha a che fare con la politica. La bioetica anche. Perciò la Chiesa può dire che il divorzio è un male, che la fecondazione assistita è un male, che l’aborto è un assassinio di massa, che i Pacs sono un male e spiegarne il perché dal proprio punto di vista. Altri, di diverso avviso, forniranno ragioni contrapposte. Questa è la democrazia. Ma qui si ferma il diritto della Chiesa ad esternare.

Se i suoi vescovi entrano nel cuore della politica (il che gli è precluso) prescrivendo l’astensione dal voto in un referendum, indicando i modi dell’articolato delle leggi, dichiarando l’incostituzionalità di altre, censurando atti di giurisdizione come le intercettazioni telefoniche disposte dalle Procure della Repubblica, facendo affiggere nelle chiese cartelloni e spot per quanto riguarda la partecipazione o l’astensione dai referendum e lasciandoli affissi anche nel giorno delle votazioni; in questi casi i titolari delle diocesi si mettono fuori dal Concordato. Tanto varrebbe allora vederli seduti sui banchi della Camera e del Senato a discutere direttamente e a votare con i loro colleghi della politica.

Dov’è in tutto questo la religione? Dov’è la carità?

Dov’è la pietà. Chi decide se un bisogno ampiamente avvertito sia soltanto un desiderio o abbia creato un diritto? Lo decide monsignor Fisichella?

* * *

Purtroppo sì, lo decide anche monsignor Fisichella poiché molti politici ritengono, a torto o a ragione, che monsignor Fisichella orienti e controlli una notevole quantità di elettori e quindi lo corteggiano a gara, da destra e da sinistra. E monsignor Fisichella detta le sue condizioni che spesso ottiene.

Monsignor Fisichella non fa nulla di illecito (salvo violare i principi del Concordato) ma si comporta come un lobbista. Si comporta come Billè che cerca di far pesare i voti dei commercianti sulle decisioni del governo; o come Montezemolo, o come Pezzotta ed Epifani. Si comporta come il capo di un forte gruppo di pressione, con la differenza che la Chiesa è cento volte più forte di Billè, di Montezemolo e di Epifani perché svolge il suo lavoro di lobby in nome del sentimento religioso invadendo a briglie sciolte la sfera politica e arruolando in questa galoppata anche le truppe cammellate degli "atei devoti" che usano la religione per rafforzare una loro visione dello Stato forte, decisionista, autoritario. "Dio è con noi" è la tentazione moderna del totalitarismo e al tempo stesso della teocrazia.

Chi dovrebbe reagire in primissima linea a questa sciagurata tentazione dovrebbe essere il laicato cattolico che invece è incomprensibilmente silente. Per questa ragione sostengo che siamo in presenza di una questione cattolica: salvo rare e oscillanti eccezioni il laicato cattolico sta assistendo alla sistematica distruzione delle sue autonomie dentro e fuori dal perimetro religioso. Le Comunità cattoliche, l’Azione cattolica, le Acli, le associazioni universitarie e studentesche sembrano colpite da un sonno ipnotico. I grandi ordini religiosi regolari tacciono, eppure avrebbero di che discutere e obiettare.

Abbiamo purtroppo realizzato parecchi primati negativi nel mondo in questi ultimi anni. Aggiungeteci anche questo: siamo il solo paese dell’Occidente cristiano nel quale è nata e cresce di giorno in giorno la questione cattolica.

Francamente non c’è da esserne orgogliosi per il paese dove nacque cinque secoli fa la libera scienza e l’autonomia della coscienza individuale. "De servo arbitrio" fu il motto di Lutero, ma ha passato le Alpi.

Oggi ha dimora Oltretevere, manipolato dai porporati della Cei. Sua Santità è d’accordo con il suo Vicario?

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