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Sergio Brenna
Perché non va bene il progetto per l’area Fiera di Milano
24 Marzo 2004
Milano
Sergio Brenna, del Politecnico di Milano, è l’animatore di una giusta iniziativa contro un progetto di valorizzazione immobiliare che, oltre a essere sostanzialmente illegittimo, peggiorerebbe ulteriormente la vivibilità dell’area milanese. Il testo che segue è stato predisposto per un appello al TAR contro la contro la Variante al PRG (definitivamente approvata il 19 febbraio 2004) che consentirebbe l’attuazione del progetto.

Nonostante l’Accordo di programma approvato con DPGR 8 aprile 1994 n. 58521 fosse prioritariamente indirizzato alla definizione di un nuovo insediamento fieristico nei comuni di Rho e Pero, esso stabilì anche la dismissione dagli usi fieristici una superficie di 314.000 mq nel territorio del comune di Milano, già indicata dal PRG come area S.S. b 12/2 con destinazione funzionale a “servizi speciali: fiera” e corrispondente al recinto fieristico storico.

Ciò avrebbe consentito di risolvere uno storico problema di decongestionamento urbano lungo la direttrice nord-ovest della città, limitando la destinazione funzionale fieristica solo alle aree del nuovo edificio realizzato lungo viale Scarampo, denominato polo interno.

Infatti, la Fiera di Milano, insediandosi nel 1922 sull’area dell’ex Piazza d’Armi, la cui giacitura aveva un orientamento difforme dai tessuti edilizi circostanti perché il Piano Beruto nel 1899 la disegnò secondo un’astratta simmetria con la giacitura del Cimitero Monumentale rispetto all’asse di corso Sempione, determinò un disassamento del recinto fieristico rispetto alla trama viaria e ai tessuti edilizi della direttrice nord-ovest della città, che nel tempo ha provocato inconvenienti via via più gravi sia dal punto di vista viabilistico che di un corretto assetto insediativo urbano.

Da anni, quindi, numerosi studi e progetti hanno cercato di ovviare a tali inconvenienti proponendo riassetti urbanistici che ricomponessero l’andamento di quel brano di città rispetto al tessuto edilizio circostante: così nel 1937-38 il Progetto di Concorso per la Nuova Fiera al Lampugnano di Bottoni, Lingeri, Mucchi, Terragni, nel 1938 il Progetto Milano Verde degli architetti Albini, Belgiojoso, Bottoni, Gardella, Mucchi, Peressutti, Putelli e Rogers, nel 1945 il Piano AR, tra il 1946 e il 1951 i progetti di de Finetti su incarico del Consiglio di amministrazione della Fiera. Una traccia di continuità con tale atteggiamento è reperibile anche nello schema della cosiddetta T rovesciata proposta dal Documento di Inquadramento urbanistico approvato dal Comune di Milano nel giugno 2000.

Nel 1994, tuttavia, l’AdP si limitò ad indicare la superficie da dismettere dagli usi fieristici, lasciando indeterminate molte questioni relative alle aree previste in dismissione, tra cui in particolare la loro nuova destinazione funzionale, lo strumento procedurale di questa modifica, gli indici di densità edificatoria, di altezza e distanza degli edifici da applicarsi nel riutilizzo delle aree, la quantità di aree pubbliche necessarie alla città in occasione del nuovo utilizzo.

Tutti questi aspetti, anziché essere indirizzati dal Comune di Milano alla risoluzione dei problemi di decongestionamento della città sono stati in realtà stabiliti autonomamente da Fondazione Fiera Milano (ora ente di diritto privato), con finalità di esclusiva valorizzazione economica del proprio patrimonio immobiliare.

Infatti, in un suo documento definito “Procedura negoziata privata per la cessione di parte dell’area del quartiere fieristico storico”, pubblicato con un’inserzione su organi di stampa specializzati in campo finanziario (Sole 24 ore, Financial Time, Handelsblatt) già in data 4 aprile 2003 si indicavano agli aspiranti acquirenti dell’area gli strumenti procedurali (Programma Integrato di Intervento), le destinazioni funzionali (residenziali, terziarie, commerciali, produttive in percentuali libere), gli indici edificatori (Ut =1,15 mq/mq), le quantità di aree pubbliche da cedere (50% della superficie in dismissione), e l’assenza di limiti di altezza e distanza degli edifici.

Infine, in contrasto con il contenuto dell’Accordo di Programma del 1994, in tale documento si indica in 255.000 mq. anziché in 314.000 mq la superficie da dismettere dagli usi fieristici, mantenendo a destinazione fieristica anche un’area e gli edifici esistenti all’angolo tra viale Scarampo e viale Berengario.

Mentre le dismissioni indicate dall’Accordo di Programma del 1994 avrebbero consentito di tener fermo l’obiettivo di una trasformazione urbanistica coerente coi tessuti insediativi circostanti, le nuove previsioni contenute nella procedura negoziale privata promossa dagli organismi della Fiera, discostandosene per interessi aziendali interni, lo compromettono definitivamente, impedendo la possibilità di rettificare il tracciato di viale Scarampo all’interno dell’attuale recinto fieristico.

D’altra parte, che l’obiettivo di quei contenuti siano gli interessi aziendali della Fiera e non quelli di igienicità e decongestionamento urbano dell’area è dimostrato anche dalle modalità di svolgimento della procedura di negoziazione privata attivata da Fondazione Fiera Milano, che non solo affida la valutazione dei progetti proposti dagli aspiranti acquirenti ai membri del proprio Consiglio di amministrazione e non ad una Commissione indipendente e tecnicamente qualificata, ma effettua la valutazione delle offerte per l’acquisto dell’area di Trasformazione e il relativo Progetto di Riqualificazione in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per la proprietà (artt. 8 e 15 della “Procedura negoziata privata”), anziché con quello del maggiore utilità complessiva in termini di somma tra remunerazione alla proprietà e valore delle quantità di aree ed attrezzature pubbliche proposte.

Ciò nonostante i contenuti planimetrici e normativi di quella procedura negoziata privata sono stati pedissequamente assunti nella delibera GC n. 884/2003 del 15 aprile 2003, sulla cui base il Sindaco di Milano in pari data ha chiesto al Collegio di Vigilanza sull’Accordo di Programma di convalidarli ai fini di un’integrazione all’AdP del 1994, sottoscritta poi il 14 novembre 2004 e ratificata dal Consiglio comunale in data 9.12.2003, senza tener conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi pubblici prescritte in sede di formazione degli strumenti urbanistici dall’art. 7, punto 2 del D.I. n. 1444/68.

A tale proposito occorre far rilevare:

- che il ricorso all’Accordo di programma approvato con decreto del presidente della regione per determinare i contenuti della Variante al PRG non è motivato da alcuna destinazione di interesse pubblico di competenza regionale, essendo le nuove funzioni previste unicamente quelle residenziali, terziarie e produttive con i relativi spazi di servizi pubblici;

- che l’indice di edificabilità territoriale attribuito dalle NTA della Variante all’area oggetto di trasformazione funzionale, pari a 1,15 mq/mq, è molto superiore a quello attribuito a tutti gli altri PII già approvati dal Comune di Milano (0,65 mq/mq);

- che l’indice di edificabilità fondiaria che ne deriva è almeno pari a 2,3 mq/mq (suscettibile di ulteriori aumenti se l’area pubblica ceduta fosse oltre il 50% della St), cioè molto superiore all’indice fondiario massimo di 1,5 mq/mq prescritto dalle NTA della Variante per l’attigua area mantenuta a destinazione fieristica;

- che ciò è in contrasto con l’art. 7, punto 2 del D.I. n. 1444/68 il quale prescrive che in sede di formazione degli strumenti urbanistici le densità sono stabilite tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime di spazi previste dagli artt. 3, 4, e 5 del medesimo decreto;

- che la cessione minima ad uso pubblico del 50% dell’area (127.500 mq) non è motivata da valutazioni di corretto dimensionamento derivanti dall’edificabilità prevista; infatti a 5.865 abitanti teorici (desunti dalla quantità edificabile di 293.250 mq di s.l.p. consentita dall’indice di densità territoriale Ut = 1,15 mq/mq, sulla base del parametro di 50 mq/ab stabilito dall’art. 19 della L.R. 51/75, come modificato dall’art. 6 della L.R. 1/2000), corrisponde la destinazione ad aree pubbliche di 234.600 per la funzione terziaria/commerciale (80% della s.l.p., come prescritto dalle NTA) e di 258.060 mq per la funzione residenziale (44 mq/ab, come prescritto dalle NTA). Tali quantità sono quasi pari o superiori all’intera area oggetto di trasformazione urbanistica (255.000 mq), rendendone impossibile l’attuazione senza ricorrere obbligatoriamente alla monetizzazione di quasi la metà delle aree pubbliche prescritte;

- che la cessione minima di aree pubbliche prescritta (127.500 mq = 50% della St) non rispetta nemmeno la dotazione minima di 26,5 mq/ab di aree pubbliche effettivamente realizzate sull’area, come previsto nella realizzazione dei piani attuativi dalla L.R. n. 51/75, e che nel caso in questione ammonterebbero a 155.422 mq;

- che, in contrasto con l’art. 6 comma 3 della L.R. n. 9/99, nonostante le NTA della Variante indichino come strumento attuativo un Programma Integrato di Intervento (PII) avente ad oggetto aree in tutto o in parte destinate ad attrezzature pubbliche o di uso pubblico e ne prevedano una differente utilizzazione, esse non prescrivono che il PII debba assicurare il recupero contestuale della dotazione di spazi pubblici in tal modo venuta meno;

- che il disposto dell’art. 8, punto 2 del DI n. 1444/68 prevede che nei piani attuativi in zona B che non rispettino le quantità minime previste dagli artt. 3, 4 e 5 gli edifici debbano avere altezza non superiore a quella degli edifici preesistenti e circostanti;

- che con un limite di altezza tra 18 e 27 metri (pari ad edifici alti tra sei e nove piani, paragonabili a quelli preesistenti e circostanti) l’indice di densità territoriale (Ut) effettivamente utilizzabile varia, a seconda degli schemi distributivi adottati, tra 0,52 mq/mq e 0,84 mq/mq.

- che, viceversa, l’indice di edificabilità territoriale Ut = 1,15 mq/mq è interamente utilizzabile solo con la realizzazione di edifici che, a seconda dello schema distributivo adottato, debbono necessariamente avere altezze dai circa 35 metri agli oltre 70 metri, pari a edifici dai 12 ai 25 piani, cioè dal doppio al quadruplo dell’altezza degli edifici preesistenti e circostanti;

- che edifici di tali altezze incomberebbero sugli edifici circostanti e preesistenti alterando in senso fortemente peggiorativo la condizione di igienicità e vivibilità urbana dell’intera area;

- che le prescrizioni planimetriche e normative della Variante per le aree oggetto di trasformazione funzionale ed edilizia non individuano il perseguimento di alcun obiettivo indirizzato al decongestionamento urbano attraverso un assetto insediativo coerente a quello dei tessuti urbani circostanti.

Pertanto, i contenuti della Variante approvata non risultano essere finalizzati al rispetto dei dettati degli artt. 3, 4, 7, 8 e 9 del DI 2.4.68, n. 1444 che prescrivono di dimostrare l’impossibilità di raggiungere la quantità minima di spazi pubblici su aree idonee e, anche in tal caso, di reperirli entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate (art. 4, punto 2), di stabilire le densità territoriali e fondiarie tenendo conto delle esigenze igieniche, di decongestionamento urbano e delle quantità minime previste dagli artt. 3, 4 e 5 del medesimo decreto (art. 7, punto 2), di non superare con i nuovi edifici l’altezza massima degli edifici preesistenti e circostanti se non si rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all’art. 7 (art. 8, punto 2), né all’obiettivo di realizzare le necessarie dotazioni di aree pubbliche per la città. Al contrario, i contenuti della Variante appaiono, invece, indirizzati dall’interesse di Fondazione Fiera Milano a perseguire con la cessione a terzi dell’area oggetto di dismissione dagli usi fieristici la massima valorizzazione economica.

Sulla base di tali valutazioni un gruppo di cittadini dei quartieri adiacenti all’area dell’ex recinto fieristico sta predisponendo un ricorso al TAR contro la Variante, definitivamente approvata dal decreto del Presidente della Regione Lombardia Formigoni il 19 febbraio scorso. Si invitano quanti volessero aderirvi a scrivere a sergio_brenna@fastwebnet.it

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