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Maria Rosa Vittadini
Perche non possiamo non dirci amareggiati dalla risposta del Palazzo alle ragioni dei NoTav
6 Marzo 2012
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La risposta, pacata ma ferma, di una rigorosa e competente esperta dei sistemi della mobilità, alle dichiarazioni del premier. Inviata a eddyburg.it il 5 marzo 2012

Caro Signor Presidente, mi permetta di appellarla così, forte del fatto che sono tra i molti italiani che hanno tirato un sospiro di sollievo quando si è formato il suo Governo.

Proprio per le grandi speranze di rinnovamento del costume politico che Lei ha saputo suscitare sono rimasta fortemente delusa dalla Sua dichiarazione a proposito della Linea ferroviaria Torino-Lione: il Governo tirerà diritto sul progetto così com’è. Un atteggiamento che, forse al di là delle intenzioni, trasforma la vicenda nel simbolo della difesa dell’autorità delle Stato contro il variegato insieme degli oppositori, accomunati, a parte la diversa propensione alla violenza, dal fatto di non comprendere l’assoluta strategicità dell’opera per non staccarci, ancorché “dolcemente”, dall’Europa.

E’ proprio una questione mal posta. Ai tempi della firma del primo trattato italo-francese, nel 2000-2001, svolgevo per il Ministero dell’ambiente la funzione di responsabile del Gruppo di Lavoro “Ambiente e territorio”, uno dei tre GdL (gli altri due riguardavano gli aspetti ingegneristici e gli aspetti economico finanziari) che dovevano integrare la Commissione Intergovernativa al fine di fornire ai due Stati un parere sulla fattibilità della linea. Dal Rapporto consegnato nel 2000 nacque il trattato italo-francese firmato nel 2001 per parte italiana dall’allora Ministro dei trasporti on. Bersani. Le preoccupazioni circa l’inutilità del quadruplicamento ad alta velocità erano ben presenti in quel Rapporto dove le stime indipendenti mostravano la debolezza della domanda passeggeri e merci e l’insussistenza della sottrazione di traffico alla strada. Il traffico merci “catturato” dalla nuova linea era infatti già ferroviario e sarebbe stato sottratto ai valichi svizzeri. Il Rapporto concludeva che la linea era certamente fattibile dal punto di vista ingegneristico, presentava notevolissimi ma non irresolvibili problemi di impatto ambientale da affrontare insieme alla popolazione locale, ma avrebbe avuto bisogno, per essere utile, di una nuova politica dei trasporti fortemente contro tendenziale. Una politica normativa e tariffaria prima che infrastrutturale, rivolta alla strada prima ancora che alla ferrovia, senza la quale l’ingentissimo investimento si sarebbe tradotto in un ingentissimo spreco di denaro. La formula diplomatica assunta per scongiurare tale concreto pericolo fu di stabilire che la nuova linea avrebbe dovuto essere realizzata “quando fosse stata satura la linea esistente”.

Non solo oggi non sussistono segni di saturazione, ma neppure sussiste alcun segno di quella nuova politica, mentre sono ben chiari i guasti che il Governo precedente al Suo ha messo in campo con la Legge Obiettivo e le sue svelte modalità di decisione degli investimenti infrastrutturali. La Legge Obiettivo ha trasformato il paese in un immenso campo di scorribanda per cordate di interessi mosse dal puro scopo di accaparrarsi risorse pubbliche. Un numero imbarazzante di infrastrutture (oltre 300) è stato etichettato come “opera di preminente interesse nazionale” e come tale ha ricevuto incaute promesse di finanziamento da parte del CIPE. Si tratta di una impressionante congerie di infrastrutture prive di qualunque disegno “di sistema” nazionale, di qualunque valutazione d’insieme, di qualunque ordine di priorità. Come stupirsi se ciascuna di esse dà luogo ad opposizioni, comitati, resistenze più o meno accese?

Con la Legge Obiettivo lo Stato ha dato prova di voler rinunciare al suo compito istituzionale di definire una prospettiva condivisa di “bene comune”, da costruire insieme alle Regioni e alle collettività locali, da cui far discendere una accettabile ripartizione delle risorse scarse. Un quadro di senso nel quale dovrebbero essere bilanciate le legittime aspirazioni delle diverse aree del paese, le riforme per la rimozione delle incrostazioni monopolistiche ancor oggi dominanti, le lunghe distanze, con eque condizioni di accessibilità per il Nord e per il Sud, e le brevi distanze con il miglioramento delle condizioni di vita dei pendolari e dei trasporti per le città e le aree metropolitane. Compresa quella realizzazione dei servizi ferroviari regionali in cui davvero abbiamo decenni di ritardo rispetto agli altri paesi d’Europa. Sono tutti problemi stra-noti, ma che ad oggi non hanno trovato alcuna risposta da parte di uno Stato che ha rinunciato a qualunque funzione programmatica, affidando alla iniziativa del “promotore” di turno e ai suoi interessi aziendali le proposte infrastrutturali, le logiche territoriali, le conseguenze anche sociali delle opere proposte. Tutto a spese nostre.

Oggi la situazione è ancora più grave, come dimostra la Sua presenza al Governo. Oggi occorre valutare e stabilire un ordine di priorità. Se le cose da fare sono tante e le risorse sono poche occorre che lo Stato riprenda in mano un vero Piano dei trasporti, costruito e condiviso con le Regioni, con un coinvolgimento “vero” delle collettività locali, che sono assai più attente, informate e ragionevoli di quanto si voglia far credere. Un Piano di politiche e di regole, oltre che di infrastrutture, capace di dar corpo insieme ad obiettivi di funzionamento del sistema dei trasporti, di competitività, di equità territoriale e di sostenibilità ambientale. Su questi obiettivi si potranno coinvolgere anche interessi privati, ma in base ad un Piano che giustifichi l’interesse collettivo del fare. Poi, con una capacità progettuale adeguata, con gli strumenti di valutazione economica, finanziaria ed ambientale troveremo le soluzioni migliori. Ma solo dopo aver messo in ordine di priorità le cose da fare. Temo che in quell’elenco la nuova linea ferroviaria Torino-Lione occuperà un posto molto basso.

E’ opinione largamente condivisa che la revisione degli sciagurati meccanismi della Legge Obiettivo debba necessariamente far parte di un Governo serio come quello da Lei promessoci. Mi permetto dunque di sperare che il Suo Governo possa e voglia rapidamente avviare strategie di valutazione e revisione anche delle opere già iscritte negli elenchi della Legge Obiettivo, in modo da costruire il quadro di priorità oggi indispensabile. Tale ripensamento dovrebbe riguardare, ovviamente, anche la Torino-Lione: un progetto di cui al momento è deciso qualche sondaggio, ma siamo ben lontani dalla ratifica parlamentare dell’Accordo, da una attendibile stima dei costi e dall’assegnazione degli appalti. Dunque c’è ancora molto spazio per riconsiderare le cose alla luce del nuovo quadro programmatico. Non volendo abbandonare la speranza che il suo Governo saprà tener fede alla asserita volontà di far bene nell’interesse del paese Le auguro buon lavoro e Le porgo i miei più rispettosi saluti.

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