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Mauro Agnoletti
Perché la penso diversamente
22 Ottobre 2007
Il paesaggio e noi
Su una questione che ogni anno infiamma l’opinione pubblica per qualche giorno, un saggio e documentato intervento controcorrente. Da Italia Nostra n. 428, luglio/agosto 2007

Con la fine della stagione estiva l’Italia esce da una grave emergenza ambientale dovuta alla recrudescenza degli incendi che hanno prodotto gravi danni a cose e persone percorrendo migliaia ettari di territorio. All’argomento hanno dedicato ampio spazio tutti i mezzi di informazione, con una crescita esponenziale della tensione mediatica e prese di posizione che andavano dal catastrofismo ambientale, ormai diventato prassi corrente, fino alla “taglia” per i piromani proposta dal Prof. Sartori sul Corriere della Sera. Sembra quindi giunto il momento di riportare il dibattito su un livello accettabile di sobrietà e di correttezza dell’informazione, prendendo anche spunto da quanto affermato in questi giorni dal Presidente della Repubblica, che ha invitato ad evitare la continua esasperazione dei toni che avviene ormai sui più vari argomenti della vita nazionale.

Fatta questa premessa, osserviamo che nel corrente anno sono bruciati circa 127.000 ettari di territorio, un dato che inverte la tendenza degli ultimi anni. La massima estensione degli incendi registrata dagli anni ’60 ad oggi si è verificata infatti nell’anno 1993, con circa 210.000 ettari, mentre da allora ad oggi vi è stata una riduzione quasi continua, sia della superficie percorsa dal fuoco, sia del numero degli incendi. La diminuzione è senz’altro da addebitarsi anche all’aumentata efficienza dei servizi antincendio, che hanno visto un notevole incremento sia dei mezzi che degli uomini impiegati, con una contemporanea crescita dei costi economici degli incendi. Il fenomeno deve essere però analizzato più nel dettaglio. Infatti, solo la metà degli incendi riguarda i boschi, mentre il resto interessa quasi interamente terreni agricoli e pascoli, negli ultimi anni sono bruciati in media fra i 25.000 e i 50.000 ettari di boschi all’anno. Detto questo, dobbiamo tenere presente che il bosco cresce in Italia di circa 72.000 ettari all’anno, fenomeno dovuto soprattutto alla sua continua avanzata sui pascoli e i terreni agricoli in abbandono, che sommata alle attività di rimboschimento ha portato ad aumentare la sua estensione di quasi tre volte nell’ultimo secolo. Senza sottovalutare i gravi danni e lo sconvolgimento del territorio che gli incendi boschivi causano, soprattutto in certe aree del paese particolarmente critiche dal punto di vista ambientale, non bisogna quindi temere per la consistenza del nostro patrimonio forestale, il quale non appare seriamente minacciato ne da processi di desertificazione o riscaldamento climatico, ne dagli incendi, che sono soprattutto un pericolo per l’uomo.

Al di là dei semplici dati di estensione è però importante analizzare anche l’origine degli incendi. Nel 2005, un dossier prodotto dal Corpo Forestale dello Stato mostrava che fra le cause accertate gli incendi colposi per circa il 43% erano dovuti alla eliminazione degli scarti delle lavorazioni agricole, per il 16% alla bruciatura delle stoppie e per il 9% alla ripulitura della vegetazione infestante. Al contrario, gli incendi classificati come dolosi, con una distinzione per la verità abbastanza sottile, venivano per la maggior parte attribuiti a pastori, che usano il fuoco per rinnovare o espandere i pascoli, collocando il fenomeno al terzo posto come causa degli incendi. Seguono, molto distanziati, gli incendi appiccati dai “volontari” che dovrebbero invece spegnerli, i conflitti sociali locali, gli atti diretti contro il Corpo Forestale dello Stato.

Appare evidente che la cause degli incendi non sono dovute ad attività associabili alla criminalità organizzata, come proposto da molti organi di informazione, ma soprattutto a pratiche, certamente incaute nella loro esecuzione, ma legate a 5000 anni di storia del paesaggio mediterraneo, e della mancata comprensione che il fuoco, oltre ad un fattore di rischio ambientale, è anche un fattore ecologico, che fa parte della vita degli ecosistemi terrestri da sempre. E’ noto ad esempio che alcune specie vegetali si rigenerano, o addirittura germinano, solo con le alte temperature prodotte dal fuoco e che la rinnovazione naturale di molte specie vegetali può avvenire solo dopo il passaggio di un fuoco, o in conseguenza di eventi catastrofici che ugualmente eliminano la vegetazione preesistente. Lo sviluppo dell’agricoltura, così come quello della pastorizia, è avvenuto tramite l’incendio delle selvagge ed inospitali foreste che un tempo ricoprivano le montagne e le pianure, consentendo la costruzione di un paesaggio in cui il mantenimento dell’equilibrio fra spazi aperti e spazi chiusi, spazi coltivati e spazi boscati è fondamentale, dal punto di vista economico, culturale e biologico.

Come osservato in una recente ricerca sulle trasformazioni del paesaggio in toscana negli ultimi due secoli, non solo i pascoli si sono ridotti quasi dell’80%, ma sono fondamentali per la biodiversità, come affermano anche gli indirizzi di conservazione di molte aree protette italiane. Sembra però difficile trovare un mezzo economicamente e legalmente sostenibile, per recuperare le superfici pascolive interessate da una riduzione che va di pari passo con quella dell’agricoltura. Negli ultimi 80 anni abbiamo infatti perso circa 16.000.000 di ettari di terreni coltivati con un danno evidente alla qualità del paesaggio italiano, e per la cui conservazione il Piano Strategico Nazionale 2007-2013 ha destinato ingenti risorse economiche ora a disposizione delle regioni.

Se quindi, per una volta, vogliamo uscire dalla retorica e da paradigmi ideologici, dovremmo cercare di risolvere semplici questioni, quali la modalità di ripulitura dei campi dalle stoppie, l’eliminazione dei resti delle potature, la ripulitura dei pascoli dalla vegetazione infestante, piuttosto che proporre “taglie” e altre iniziative di tipo repressivo che tendono a criminalizzare soprattutto contadini e pastori. I nostri cugini francesi, sui Pirenei, usano ormai regolarmente i “fuochi controllati” per mantenere e rinnovare il paesaggio dei pascoli, facendo tesoro di quei saperi tradizionali, risultato di un secolare adattamento delle popolazioni locali alle caratteristiche ambientali, e utilizzando le moderne tecnologie per evitare rischi di incendi incontrollati su vaste superfici. La raccolta delle stoppie potrebbe invece essere organizzata localmente e destinata alla produzione di biomasse a scopo combustibile. Ciò potrebbe risolvere il problema dei residui delle colture agricole, che certamente non possono essere trattati come rifiuti speciali, tassando gli agricoltori per il loro smaltimento. Si tratta di non scoraggiare ulteriormente la presenza dell’uomo nel territorio rurale, facilitando le colture agricole tradizionali e limitando i processi di degrado ed omogeneizzazione che interessano ciò che resta del paesaggio italiano, stretto fra la morsa di politiche inadeguate, paradigmi ambientali e molta disinformazione.

Mauro Agnoletti, ordinario alla vacoltà di Agraria di Firenze, è coordinatore della Commissione paesaggio per il Piano strategico nazionale 2007-2013 e vice presidente della Società europea di storia ambientale

Sull'argomento si veda anche la lettera dal Gargano

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