«La mutazione antropologica. Bisognerebbe raccogliere i cocci dello sviluppo e con quelle macerie iniziare a costruire nuove architetture come si faceva con le cattedrali gotiche».
Il manifesto, 13 agosto 2015
Che ci sia (o meglio, che ci potrebbe essere) “vita a sinistra” è quasi “naturale” considerato come va il mondo, ovvero verso una rotta di collisione inevitabile con l’ambiente, la povertà diffusa, l’esodo inevitabile di masse enormi di popolazione dai territori devastati da guerre, carestie, siccità. Ma rimanendo alle disgraziate sorti italiche, se poco poco si ascoltano i rappresentanti delle giovani generazioni, si ha la sensazione che nessuno creda più a una qualche possibilità collettiva di riscatto, di alternativa.
Circolano perfino mitologie antropologiche sulla dannazione della specie umana, come a dire: l’uomo è fatto così, le guerre sono inevitabili, la povertà di molti è necessaria al funzionamento dell’economia. Basta osservare, per convincersi della diffusione di questo virus, l’atteggiamento di tante (troppe) persone qualunque nei riguardi degli esodi di massa dai paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo: non possiamo accoglierli tutti — si dice nel migliore dei casi -, finiremmo col diventare come loro, ci rubano il lavoro (che non c’è). E poi ancora, a me sgomenta il fatto che il Papa venga oscurato; i suoi messaggi compaiono come trafiletti nei media nazionale; quelli internazionali neppure lo citano: non era mai successo in passato. C’è di che rassegnarsi a una estinzione di massa per asfissia culturale, per impotenza politica, per disperazione. “Speriamo che io me la cavo” sembra essere il motto delle nuove generazioni. Non può certo stupire il successo di Renzi: è pur sempre meglio credere alla befana che rassegnarsi alla cruda realtà che costei non esista.
E a vedere i telegiornali il quadro si incupisce ancora di più: beghe condominiali, litigi personali, leaderismo occupano l’intero spazio politico, quello dal quale dovrebbe nascere il progetto di futuro. Ha ragione Bevilacqua a dire (il manifesto dell’8 agosto) che la sinistra è oggi una testa senza gambe. Le gambe, quando ci sono, camminano da sole senza testa, e la testa ancora non si accorge di non avere le gambe, o forse più cinicamente pensa di non averne più bisogno come in quei romanzi di fantascienza dove si parla di immaginarie menti senza l’ingombro del corpo che partoriscono pensieri e comandi. Questo il punto cruciale all’ordine del giorno della politica.
Così come ha ragione Michele Prospero (il manifesto del 4 agosto) a dire che la minoranza Pd, piaccia o no, è molto utile al gioco del partito della nazione fornendo la sua maldestra stampella all’esercito dei vincenti. Chi mai, tra i giovani (e anche tra i non giovani) può credere ad essa? Se vogliamo continuare con i tentativi di suicidio, facciamo pure un nuovo partito, inventiamoci un nuovo leader per avere l’illusione di esistere ancora. Tutto ciò che resta dell’attuale sinistra non è più credibile agli occhi di nessuno, quando essa non viene addirittura ritenuta la responsabile degli attuali guai nostrani per averci illuso – e ingannato — che esisteva un altro mondo diverso da questo.
Per esperienza personale posso citare la questione drammatica dell’università. Tra i vecchi docenti impegnati, molti hanno fatto domanda di pensionamento anticipato, altri, pur restando, vivono in solitudine senza impegno a curare i propri (legittimi) interessi di ricerca. Un’intera classe dirigente ha dato forfait: chi può scappa, chi rimane tace diffidando dell’impegno politico, mentre l’ideologia liberista meritocratica si diffonde alla velocità della luce attraverso il disbrigo quotidiano di schede da riempire e valutazioni da fare per dimostrare di essere i “migliori” e accedere alle graduatorie nazionali e internazionali. Se vuoi avere successo parla pure in italiano (ancora è consentito) ma scrivi in inglese e su riviste che sono accreditate da improponibili agenzie di valutazione pagate a peso d’oro dalle istituzioni. Un intero sistema formativo essenziale per lo sviluppo del paese è stato smantellato nel giro di pochi anni e ancor di più minaccia di esserlo prossimamente.
Servirebbe, come è successo a L’Aquila, un popolo delle carriole che cominci a raccogliere i cocci dello sviluppo e con quelle macerie iniziare a costruire nuove architetture come si faceva con le cattedrali gotiche, quando ancora la figura dell’Architetto non era nata. C’erano però i Mastri che con la loro sapienza guidavano i lavori, inventando di volta in volta e collettivamente le forme e le soluzioni tecniche quando comparivano problemi. Bisognerebbe che poi le carriole, con il loro corredo di rovine, confluissero verso una stessa direzione anziché andarsene a spasso ognuna per suo conto.
In un altro mondo, quello che noi vorremmo, a quello sconosciuto migrante che ha attraversato a piedi il tunnel sotto La Manica sfidando cavi ad alta tensione e treni ad alta velocità, avremmo attribuito una medaglia d’oro: è lui il vero maratoneta delle Olimpiadi greche. La risposta di Francia e Inghilterra è stata: ma dov’è la falla nei nostri sistemi di sicurezza?