Il manifesto, 19 maggio 2016 (p.d.)
La stragrande maggioranza dei migranti che arrivano oggi nel nostro paese provengono da paesi del Nord Africa e dell’Africa occidentale. Ed è proprio a quel continente che il governo ha deciso di rivolgersi organizzando la prima conferenza ministeriale Italia-Africa, che ha riunito ieri a Roma i ministri degli Esteri di oltre 50 paesi. «Per ora non ci sono emergenze – ha detto il ministro Paolo Gentiloni introducendo i lavori – ma proprio per questo dobbiamo lavorare, adesso che abbiamo lo spazio e la possibilità, per mettere in campo una strategia prima che cominci una situazione di maggiore emergenza».
La strategia prescelta è quel migration compact già presentato poche settimane fa a Bruxelles e che prevede finanziamenti destinati a progetti di cooperazione utili a contenere le partenze. Per ora si parla di dieci miliardi di euro da investire in Tunisia, Senegal, Ghana, Niger, Egitto, Nigeria e Costa d’Avorio. E come primo passo, ieri l’Italia ha cancellato la parte di debito che il Ciad ha nei suoi confronti. «Paesi sicuri, destinatari dei rimpatri e con i quali si possono fare accordi bilaterali. Altro discorso sono i paesi in guerra, gli stati falliti. E con quelli è molto difficile avere rapporti di questo tipo», ha aggiunto Gentiloni.
Non si tratta, però, di un regalo, visto che anche i paesi beneficeranno dei finanziamenti europei dovranno fare la loro parte. In particolare quello che Roma – e presto l’Europa – chiede è un impegno nel rafforzare i controlli ai confini, maggiore cooperazione nei rimpatri degli irregolari e una gestione nei rispettivi territori dei flussi migratori, distinguendo così fin da subito tra richiedenti asilo e migranti economici. In pratica la riproposizione, seppure in termini diversi, dell’accordo siglato il 18 marzo scorso con la Turchia.
Oggi Renzi illustrerà il piano al premier olandese Mark Rutte, presidente di turno dell’Ue, in visita a Roma, e lunedì se ne parlerà al vertice dei ministri degli Esteri dei 28. Ma l’Italia chiederà al Consiglio europeo in programma a giugno di allestire un «piano operativo» e di «ampio respiro», in modo da poter partire quanto prima con dei progetti pilota. Non è a prima volta che l’Europa cerca di coinvolgere l’Africa nella gestione dei migranti. A novembre dell’anno scorso si tenne a La Valletta un vertice Ue-Unione africana proprio su questo tema, ma con scarso successo. Bruxelles mise sul piatto aiuti per 1,8 miliardi di euro per quei paesi disposti a collaborare per impedire le partenze, senza però ricevere le risposte sperate. Troppi pochi soldi (specie se paragonati ai 3 miliardi di euro destinati alla Turchia dei quali già si cominciava a parlare), ma soprattutto nessuna disponibilità ad aprire campi dove trattenere i migranti. L’esperienza ha spinto Roma a lavorare su un approccio diverso, che puntasse davvero allo sviluppo delle economie locali. Una scelta che sembra aver fatto breccia nei ministri riuniti a Roma. «Dobbiamo rafforzare il processo di industrializzazione in Africa e offrire opportunità di lavoro per dare uno sbocco ai giovani», ha commentato ieri la presidente dell’Unione africana, Nkosozana Damlini Zuma. «Se noi riuscissimo a valorizzare le nostre risorse naturali e minerali del 50 per cento potremmo creare ben 7 milioni di posti di lavoro ogni anno».
Oltre che per mettere fine agli sbarchi di migranti, la partita che sta giocando con l’Africa è fondamentale per Renzi anche per un altro motivo. L’Italia si è infatti candidata a un seggio come membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu per il 2017/18. Si vota il 28 giugno e per essere eletti bisogna conquistare i due terzi dei voti dell’Assemblea generale. Chiaro, quindi, che per Renzi è fondamentale avere dalla propria parte se non tutti almeno la maggioranza dei 54 stati africani.