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Marco Giaconi
Partiti contenitore
29 Febbraio 2008
Articoli del 2008
Un’analisi interessante del bipartitismo all’italiana e delle sue anacronistiche debolezze. Da Alleo, 28 febbraio 2008

Il modello del partito-contenitore, che presuppone una dialettica tra due grandi aggregazioni elettorali, è nato negli anni ’60 all’interno della politologia statunitense, con Kircheimer e Wells.

L’idea centrale era che, in una fase di crescita stabile della classe media, i voti potenziali per i due schieramenti si concentrassero sulle issues intermedie tra una destra e una sinistra che rimanevano residuali poiché diminuivano gli elettori interessati a quelle opzioni “estreme”. In Italia, il sistema bipolare è arrivato faticosamente ad affermarsi proprio quando la middle class, in tutto l’Occidente, si proletarizza e aumentano in modo esponenziale i differenziali di reddito tra i molto ricchi e i sempre più poveri. Era peraltro già avvenuto negli USA negli anni ’80, ed è un processo che continua ancor oggi. Quindi, è prevedibile che i due contenitori politici debbano fare i conti sia con una differenziazione interna paralizzante sia con una concorrenza significativa di flash parties alle loro estreme. E non è un caso che il nuovo partito di centro che si va ricostituendo si riunisca intorno ai “valori non negoziabili” dell’etica cattolica, dato che sempre meno si riesce a trovare l’elettorato omogeneo nei pressi del ceto medio. Il bipartitismo, poi, dove si è affermato, subisce il contrappasso di esecutivi forti e con diversa legittimazione, o di centri di identificazione super partes. È il caso degli USA, con la Presidenza che si autolegittima elettoralmente fuori dalle votazioni per il Congresso e la House of Representatives, o della Gran Bretagna, dove la Corona dei Windsor raccoglie l’identità nazionale e controlla la politica estera, di difesa, di intelligence e delle relazioni con il Commonwealth delle vecchie ex-colonie. Caso diverso è la Francia, dove però la Presidenza è la fonte e il riferimento dell’esecutivo, mentre l’Assemblea Nazionale è sempre più residuale nel decision making politico. E in Italia, dove si trova il “motore immobile” del bipartitismo?

La Monarchia, come è noto, non c’è più, ed è stata anzi un fattore di rottura della classe politica, non di identità nazionale e territoriale. I Savoia sono diventati monarchi dell’Italia unita grazie a un simpatico avventuriero repubblicano (Garibaldi), a un cupo letterato genovese (Mazzini) anch’egli antimonarchico, e al Conte di Cavour che, monarchico per dovere, aveva della casa Savoia una pessima opinione, mai nascosta, peraltro. Per non parlare di Benito Mussolini.

I “valori cattolici” poi non sono più universali, e comunque corrispondono agli interessi di uno Stato Autonomo, dentro le Mura Leonine. L’epica dell’unità italiana, infine, è stata scientemente distrutta, per volgari interessi di bottega, dalla corsa al federalismo che ha consumato il residuo prestigio della classe politica; e consegnato l’Italia, proprio mentre si doveva rinegoziare la politica estera e la collocazione dell’Italia nella nuova divisione internazionale del lavoro, alla contemplazione degli ombelichi localistici e alla retorica dei “distretti industriali”. Vi immaginate cosa può contare la Basilicata del petrolio di Ferrandina, da sola, contro il cartello dell’OPEC e i suoi compari russi? Mentre occorreva la morte ma anche la rinascita dello Stato-Nazione, tutti sono andati alla spicciolata nel mercato-mondo, e ne hanno prese di santa ragione.

Il carisma del leader inoltre non è tutto, e comunque oggi i dirigenti politici sono privi di quelle caratteristiche psicologiche, culturali, di formazione che hanno costruito Mitterrand e De Gaulle, Helmut Schmidt e Ronald Reagan. Non a caso nei programmi politici ci sono pochi e generici accenni alla politica estera.

Ho due sospetti: che entrambi gli schieramenti italiani, i due partiti-contenitore (nel senso dei programmi-contenitore alla TV, dopo il primo shock petrolifero del 1973) credano che, come si dice in Toscana, “il mondo goda”; e si attendono dagli USA e dalla NATO il sostegno gratuito che tanta parte ha avuto nel “miracolo economico” italiano, o che magari sognino di fare quelli che, con il nostro debito pubblico e la nostra amministrazione locale e centrale, dettano le regole all’UE che si sta invece interrogando se, in futuro, non si debba riservare all’Italia lo stesso trattamento che Giuliano Amato e il suo ministro Piero Barocci furono costretti a subire nel 1992: l’uscita temporanea della Lira dallo SME.

Insomma, nei programmi non si intravede una geopolitica seria e fattibile, ma un elenco di belle cose che, forse, non ci sarà modo di poter attuare. Come il bambino affamato, all’osteria, con il padre affranto per la perdita del lavoro in “Ladri di Biciclette”. Ma ne riparleremo in seguito.

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