Due articoli del tutto indipendenti in sezioni diverse del giornale, convergono nell'evitare accuratamente un tema chiave della città futura: lo spazio pubblico e la sua gestione, ben oltre la forma fisica del progetto. Massimo Gaggi e Luca Molinari, Corriere della Sera 6 dicembre 2014, postilla (f.b.)
Unico dettaglio che non consente di rilassarsi: le finestre, tre metri per tre, che arrivano fino al pavimento, non sono state ancora montate, ci sono solo reti e funi di protezione. E il vento di dicembre è micidiale. Ma presto questa penthouse diventerà un accogliente trionfo di marmi, cristalli e legni pregiati. Un appartamento di un piano, circa 800 metri quadrati, già venduto.
Cim Group e Macklowe Properties, le imprese che stanno completando la più alta torre d’appartamenti dell’emisfero occidentale, non danno informazioni sui clienti e sui prezzi pagati. Ufficialmente gli appartamenti di 432 Park Avenue, appena 104 unità immobiliari — e quindi molte di un intero piano per viste sconfinate senza vicini della porta accanto — in un edificio di 96 piani (ma quelli bassi sono destinati ai servizi comuni: club esclusivo, ristorante, palestra, piscina), sono in vendita a prezzi variabili tra i 17 e gli 83 milioni di dollari. In realtà l’attico che sto attraversando con passo incerto è stato pagato 95 milioni. E non è nemmeno un record. Nel mondo globalizzato della polarizzazione dei redditi e della formazione di grandi fortune, si moltiplicano, dal Medio Oriente alla Russia, i super-ricchi pronti a spendere decine di milioni, magari anche cento, per una residenza davvero esclusiva.
Londra, Singapore, Montecarlo, Dubai, ma soprattutto New York: quello di isolarsi in un «nido delle aquile» sopra Manhattan sembra il sogno di molti miliardari. Ed è proprio questo mercato che alimenta la febbrile attività dei costruttori newyorchesi impegnati a realizzare a Midtown, negli isolati attorno alla 57esima strada, una decina di nuovi grattacieli di appartamenti che stanno cambiando ancora una volta la skyline di New York. Torri che sembrano matite, sottilissime e altissime. Passati di moda i grandi palazzi per uffici dalla facciata piatta che richiedono molti ascensori per il gran traffico di gente, adesso si guadagna con le residenze esclusive: gli ascensori sono diventati velocissimi (quelli di 432 Park impiegheranno appena 55 secondi per arrivare al 96esimo piano), ne bastano due o tre per ogni torre. E poi le nuove tecniche costruttive consentono di realizzare edifici sottilissimi. Come il condominio al 111 West della 57esima. La costruzione è iniziata da poco: sarà alto quando 432 Park, ma ancora più sottile. Una base di appena quindici metri, una vera lama che taglia il cielo.
Chi ci abiterà? Industriali indiani e cinesi, sceicchi ancora pieni di petrodollari, oligarchi russi, ma anche imprenditori e finanzieri americani, a giudicare dalle facce di chi entra ed esce dai condomini di extralusso già costruiti nella zona. Una concentrazione di ricchezza che ha ispirato al sindaco de Blasio l’immagine delle due New York, i ricchi e gli esclusi. In realtà quella che si sta formando nel centro di Manhattan, tra Central Park e il Rockefeller Center, è una concentrazione impressionante di opulenza in poche mani. Un fenomeno che la rivista Fortune ha cercato di rendere in cifre: il costo dei 104 appartamenti della torre di Park Avenue, 3,12 miliardi di dollari, supera il valore di tutti gli edifici residenziali della città di Trenton, la capitale del New Jersey, ed è il doppio dell’intero patrimonio immobiliare di Juneau, la capitale dell’Alaska. Tony Malkin, capo dell’azienda familiare che gestisce l’Empire State osserva le nuove torri con sufficienza: «Postmoderne? A me sembrano medievali: i ricchi che si proteggono isolandosi dalla città sottostante come 700 anni fa». Siamo o non siamo nella San Gimignano del Ventunesimo secolo?
COME RIDARE L'ANIMA
AI PALAZZI-MONSTRE
di Luca Molinari
Da qualsiasi direzione si guardi il Corviale, la grande astronave in cemento armato planata alle porte di Roma alla fine degli anni Sessanta per ospitare almeno ottomila persone, offre una sensazione di straniamento che raramente un’architettura riesce a dare. Da quando è stata costruita e solo parzialmente abitata, quest’opera ha avuto il potere di calamitare una serie di «leggende metropolitane» e luoghi comuni che esprimono molto bene l’impatto simbolico che opere di questa dimensione hanno avuto sulla comunità dei suoi abitanti. C’è chi diceva che il Corviale aveva fermato con la propria sagoma il delicato vento Ponentino, mentre altri affermavano che in quel labirinto ci si sarebbe potuti perdere senza salvezza.
Ma la storia è purtroppo molto più semplice e triste perché l’edificio venne abitato solo parzialmente e, soprattutto, gli spazi immaginati per ospitare tutte le funzioni pubbliche e collettive vennero subito abbandonati all’occupazione più selvaggia generando in poco tempo un degrado diffuso che non lasciava alcuna speranza . Non si tratta di un caso unico ed estremo, perché la storia del Corviale è uguale a quella di altre «mega strutture» sognate dagli architetti durante gli anni Sessanta per cercare di risolvere il problema drammatico delle nuove periferie urbane. Di fronte alla pressione migratoria fortissima e alla necessità di rispondere a una domanda crescente di alloggi l’architettura moderna più evoluta cercò di dare forma a vere e proprie strutture urbane di nuova generazione capaci di raccogliere in un unico, enorme organismo le diverse funzioni che prima si cercava di tenere separate come l’abitare, i servizi educativi e sanitari di base, alcuni spazi pubblici e le strutture commerciali primarie. Queste nuove, imponenti strutture nate in molte delle periferie delle nostre città tra Europa, Stati Uniti e Giappone abbinavano i sistemi costruttivi rapidi prefabbricati a un uso dei linguaggi moderni più severi e avanzati illudendosi che i suoi abitanti si sarebbero presto ambientati in un diverso frammento di città del futuro.Quello che invece nessuno di questi progettisti poteva immaginare è che, invece, queste visioni di un domani radioso sarebbero diventate rapidamente pezzi di città dormitorio e simboli di un’alienazione sociale devastante.
Ma da almeno un decennio è in corso un processo interessante che, abbandonata la demonizzazione di questi luoghi, li considera come frammenti di vita di comunità di abitanti da aiutare a migliorare la qualità degli edifici e la possibilità di trasformarli. E così si sono avviate demolizioni parziali, nuove costruzioni che s’integrano con l’esistente, definizioni di strategie partecipate per usare i luoghi in maniera differente, cambi di destinazioni d’uso che stanno mutando l’identità di questi luoghi sparsi in tutto il mondo (all’estero da ricordare gli esperimenti di Amsterdam Nord e di Bijenkorf a Rotterdam), al punto che non sarà difficile, tra qualche anno, entrare al Corviale e trovare un chilometro verde capace di trasformarlo in un luogo pieno di vita.
postilla
Ci sono due punti di vista complementari ed essenziali per capire quanto sia elusa la questione centrale: quello esplicitato del rischio cittadella fortificata nel grattacielo di lusso, e quello sfiorato degli ambienti inutilizzati dentro l'unità di abitazione razionalista. Temi che evidentemente non riguardano solo i due esempi specifici, highrise newyorchese o mega-steccone romano, trattati dai due articoli, e lasciano inevasa la questione pubblico/privato, che invece salta davvero all'occhio a un secondo sguardo. Nel complesso di lusso o gated comunity che dir si voglia, lo spazio pubblico è umiliato ad ambiente condominiale, ovvero si compra insieme all'appartamento e al diritto di entrarci. In quello razionalista, che vorrebbe riassumere in sé tutta la città, da sempre quegli ambienti risultano fallimentari, per un motivo o l'altro. Il che metterebbe in primo piano sino a che punto la sola progettazione spaziale e architettonica (su cui si soffermano in esclusiva questi articoli, e non solo loro), NON sia il problema. E implicitamente rilancia, insieme al corrente dibattito sulla densificazione urbana e il contenimento di consumo del territorio, la bistrattata progettazione razionalista, proprio quella degli ambienti comuni interni agli edifici multipiano. Perché? Perché forse, oltre gli studi tecnici spaziali degli architetti novecenteschi, è rimasto scoperto tutto il campo della gestione, di quegli spazi, chi deve farsene carico, quale qualità minima debbano possedere e mantenere e via dicendo. Se si vuole discutere della città del futuro, insomma, e non continuare inutilmente a guardare a un mitico passato, forse è il caso di riconsiderare in positivo anche questo lascito del '900, riconoscendone e colmandone le lacune (f.b.)
Su Today, vedi l'idea (sbagliata) di le Corbusier