Vi ricordate la vecchia urbanistica, quella della legge 1150 del 1942, i piani a cascata, i pareri di conformità obbligatori, i poteri sostituivi, ecc. In questi sessanta e più anni, le cose sono radicalmente cambiate: abolita la gerarchia dei piani e le conformità, introdotta la sussidiarietà fra livelli istituzionali, definita la temporalità delle destinazioni urbanistiche, stabiliti i meccanismi di perequazione, entrati ambiente e paesaggio come temi principi del governo del territorio, si è configurata una legislazione magmatica e confusa – con tutte le possibili varianti regionali - in cui, più che la norma scritta, vale la prassi. Ma al di là dei cambiamenti cui ho fatto cenno, peraltro ampiamente noti e commentati, vi è un aspetto generale su cui occorre riflettere. Il governo del territorio, in Italia, non è più affidato all’osservanza delle leggi, bensì al conflitto fra diverse istituzioni e fra soggetti pubblici e privati. Lungi dall’essere un incidente di percorso, il contenzioso è divenuto la vera anima dell’urbanistica.
Citiamo come esempio il Codice del Paesaggio che, emendato dalla commissione Settis e ulteriormente corretto nella Conferenza Stato Regioni, ha suscitato i commenti trionfali di Giovanni Valentini su Repubblica del 20 marzo 2008 e quelli più misurati ma comunque positivi di Vittorio Emilani sull’Unità, entrambi riportati su eddyburg. Il regime autorizzatorio è conteso fra Soprintendenze e enti locali. Il parere del Soprintendente non è vincolante se il piano paesaggistico è stato elaborato e approvato a seguito dell'accordo fra Ministero e Regione e se il Ministero ha positivamente verificato l’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici alle prescrizioni del piano paesaggistico. Qualora si verifichino queste due condizioni chi rilascia l'autorizzazione è la Regione che tuttavia può delegare il compito alle Province, ai Comuni in forme associate o addirittura ai singoli Comuni, qualora essi dispongano di adeguate strutture tecniche di valutazione. Le associazioni ambientaliste possono impugnare le autorizzazioni presso il TAR e appellare le sentenze anche se non abbiano proposto ricorso di primo grado.
Sono perciò passaggi cruciali: un piano prescrittivo e non di mero indirizzo; la conformità degli strumenti urbanistici (ora non prevista in molte regioni ed esecrata in Toscana); l’effettiva verifica dell’adeguamento delle strutture tecniche. Snodi decisivi che implicano una piena lealtà delle istituzioni, in particolare di Regioni e Comuni, al dettato di legge; ma è assai più verisimile un’ottemperanza formale e burocratica degli enti locali e un’acquiescenza di Ministero e Soprintendenze. Ognuno di questi passaggi alimenta un potenziale contenzioso ed è perciò facile prevedere che ancora una volta associazioni, comitati e cittadini dovranno farsi carico dell’osservanza della legge. Risparmio al lettore analoghi ragionamenti sui cosiddetti piani operativi, sulla loro rispondenza ai piani strutturali, sui bandi e gli avvisi di concorso e su tutta la prassi contrattuale (nobilitata come governance) dell’urbanistica contemporanea
Il conflitto sull’uso delle risorse territoriali riflette d’altra parte una società articolata e complessa: non è quindi eliminabile e non può essere governato in modo dirigistico. La legge attualmente non previene né dirime, ma piuttosto delinea l’arena del contendere e le regole del gioco. Queste regole, che suppongono una specie di fairplay istituzionale, non vengono tuttavia osservate dalle amministrazioni. Occorre pertanto che almeno una parte della normativa che riguarda il territorio, specificatamente la normativa paesaggistica, sia sottratta alla guerriglia del conflitto quotidiano; ovverosia che il conflitto – inteso come confronto tra diversi progetti di uso del territorio - sia istituzionalizzato e risolto preliminarmente al piano.
La proposta, già avanzata come osservazione al PIT toscano, è che il piano paesaggistico assuma caratteri statutari. Ogni territorio deve essere dotato di uno statuto costruito in modo partecipato, una carta costituzionale non variabile se non con procedure straordinarie e altrettanto partecipate. E’ il piano territoriale o urbanistico, o meglio, le trasformazioni che essi prevedono, a doversi conformare alle regole e alle invarianti che definiscono per ogni territorio il suo ‘essere paesaggio’. Il conflitto così istituzionalizzato deve essere risolto nella fattispecie della conformità dei piani urbanistici agli statuti del territorio e alle loro regole. L’eventuale sede giudicante non deve essere esterna all’apparato amministrativo e alla legislazione urbanistica e deve operare in modo analogo a quello della corte costituzionale rispetto al legislatore ordinario,.
Nel dibattito sul Codice del Paesaggio probabilmente troppa attenzione è attualmente rivolta ai beni paesaggistici, che in Toscana – tanto per fare un esempio - coprono il 57% del territorio regionale di cui però il 50% è superficie boscata già protetta dalle leggi forestali, quindi il 7% scarso della superficie totale. Si tratta comunque di un giocare in difesa e sperare in Soprintendenze meno oberate da impegni e meno prive di risorse. Così rimanendo le cose, conflitti e contenzioso non saranno incidenti congiunturali ma apparterranno ad una fisiologia normativa voluta da un legislatore esso stesso al suo interno conflittuale. Il succo politico è molto semplice: in questa situazione chi è più forte vince, non certamente i cittadini.