«Dal Trentino alla Sicilia, la lunghezza dei muri dei terrazzamenti delle colline è di 170mila chilometri, venti volte più della Muraglia cinese. Boom dei comitati per fermare il degrado: corsa per salvarli» Ma se non ci fossero i migranti.... La Repubblica, 9 ottobre 2016 (c.m.c.)
Sul versante montano del Canale di Brenta, nel Vicentino, sono una decina i richiedenti asilo che lavorano per fare manutenzione o ripristinare l’imponente serie di terrazzamenti che salgono su fino a 500 metri d’altezza. Vengono da Nigeria, Mali, Togo, Ghana, li ha coinvolti il comitato Adotta un terrazzamento, che da tempo si prende cura di un patrimonio costruito a partire dal Seicento. Troppa era la pendenza per coltivare il tabacco, per trattenere l’acqua e dunque, usando pietra a secco e niente calce, si sono realizzati nei secoli terrazzi che chiamano masiere e che svettano per sette, otto metri.
Dalla seconda metà del Novecento è iniziato l’abbandono, le colture sono sparite, il bosco ha preso il sopravvento, il paesaggio si è banalizzato, è venuta meno una preziosa fonte di reddito e anche la vita comunitaria che lì prosperava si è spenta. Dei 230 chilometri di pietra a secco, ne è sopravvissuto sì e no il 40 per cento. Finché, promosso dal comune di Valstagna, dal gruppo Terre alte del Club alpino italiano e dal dipartimento di Geografia dell’università di Padova, non è arrivato il comitato Adotta un terrazzamento.
Quella vicentina è una delle buone pratiche raccontate dal 6 al 15 ottobre a un convegno internazionale che si svolge fra Venezia, Padova e in dieci luoghi segnati dai terrazzamenti: dalla costiera amalfitana alle Cinque Terre, dal Trentino a Pantelleria, dalla Valpolicella all’alto Canavese, da Trieste alla Val d’Ossola. Partecipano circa 250 relatori provenienti da 20 diversi Paesi. È l’occasione per misurare lo stato di salute di questi paesaggi in Italia.
È una salute precaria fotografata dalla prima mappatura mai realizzata (il progetto si chiama Mapter, ed è curato dall’università di Padova). In totale sono 170mila gli ettari censiti attrezzati a terrazzi, un’estensione pari a quella del Veneto. E sono 170mila i chilometri di muri a secco che li reggono, pari a circa venti volte la muraglia cinese.
«È una misura per difetto, realizzata con un sistema, il Corine Land Cover, al quale sfuggono le piccole dimensioni», spiega Mauro Varotto, geografo dell’università di Padova e fra i coordinatori della decina di università coinvolte nella mappatura, autore insieme a Luca Bonardi di Paesaggi terrazzati d’Italia, uno studio in uscita in questi giorni (Franco Angeli editore).
«L’estensione è ben maggiore, ma difficilmente individuabile perché buona parte di questo patrimonio è abbandonato », aggiunge Varotto. Ed è questa la preoccupazione: si sta perdendo un paesaggio attrezzato nei secoli e deperisce un presidio contro i dissesti e le frane. Com’è dimostrato dalla tragica esperienza delle Cinque Terre. Fra le minacce viene indicata anche la meccanizzazione dell’agricoltura. Muretti e terrazzi sono di ostacolo ai trattori che hanno bisogno di salire e scendere lungo i pendii, rendendo prevalente il sistema del “rittochino” che spesso agevola il dilavamento.
Oltre il 30 per cento dei terrazzamenti censiti è diventato preda del bosco, di vegetazione spontanea, e dunque è sottratto alle coltivazioni. Il 6 per cento si è perduto a causa dell’urbanizzazione. Un altro 30, invece, è utilizzato a seminativo, il 19 a uliveto, il 3 a vigneto, un altro 3 a frutteto, limoneto o castagneto.
La regione più terrazzata in proporzione alla superficie complessiva è la Liguria, con il 7,8 per cento del suo territorio così attrezzato (oltre 42mila ettari). Seguono la Sicilia, con il 2,4% (63 mila ettari), e la Toscana con lo 0,99% (22 mila ettari). La Campania vanta 11mila ettari a terrazzi, il Lazio 5 mila. I primi quattro Comuni sono tutti siciliani: Pantelleria, Modica, Ragusa, Lipari. Al quinto posto c’è Genova.
Laddove fioriscono, i terrazzamenti sono rigogliosi di vigneti, come in Trentino, di limoneti, come in costiera amalfitana, o di ulivi e capperi, come a Pantelleria. «Svolgono una funzione sociale fondamentale, perché conservano un bene prezioso e irrinunciabile, la fertilità dei suoli», dice da Trieste Livio Poldini, professore emerito di Botanica. «I terrazzamenti sono l’esito di una conquista di terreni all’agricoltura che ha dell’eroico », insiste Varotto. «È un processo che viaggia in parallelo con l’incremento demografico avvenuto fra la metà del Settecento e la fine dell’Ottocento ». Le pietre conservano il calore quando fa freddo e il fresco quando fa caldo. E negli interstizi, che assomigliano a corridoi ecologici, ospitano una varietà infinita di flora e di fauna.
Esistono norme, anche europee, che preservano i paesaggi rurali storici. Ma il conflitto fra chi vuole tutelarli e chi predilige un’agricoltura meccanizzata permane. In Trentino, per esempio, o in Veneto. Dove però spicca l’esperienza del Canale di Brenta, con i militanti di Adotta un terrazzamento, i quali riescono a convincere i proprietari a concedere loro di liberare da rovi e sterpaglie i preziosi terrazzi abbandonati.
La lunghezza dei muri è di 170mila chilometri, venti volte più della Muraglia cinese Boom dei comitati per fermare il degrado