Il dibattito sembra essere intorno alla nostra pretesa di dire come si fa opposizione. Non è una pretesa. Certe volte assistiamo ammirati, altre volte perplessi o sorpresi. Le risposte vengono, giorno per giorno, in tempo reale, ed è una ragione per cui l’Unità, di volta in volta, e di gruppo in gruppo, piace e dispiace.
Il nostro dibattito non si presta a «prospetti riassuntivi», che potrebbero apparire presuntuose pagelle. Chiediamo solo ai protagonisti di non offendersi quando qualcuno, da lontano, gli dice che una posizione o iniziativa politica non si capisce. È ovvio che non lo diciamo per fare dispetto. Lo vedono tutti che partecipiamo allo stesso impegno, in quella che i padri fondatori della Costituzione americana chiamerebbero (nel senso alto della loro interpretazione) la stessa «fazione».
La questione è sempre e solo di metodo. O meglio: si può provare a presentarla come tale per liquidare quella penosa divisione tra riformisti e massimalisti che qualcuno si ostina a raccattare dalle macerie dei vecchi partiti verticali.
Proviamo a mettere in ordine alcuni argomenti. Cominciamo da quelli che riguardano la «fazione». Dare spazio alle tante voci che si esprimono nella sinistra - e il cui voto va per forza a sinistra, come quelle stesse voci e proteste dicono con clamorosa evidenza - è un male, un attacco, una trappola, un tradimento, una «campagna strumentale di guerra?».
Se espressioni ripetute e martellate come la infelice frase «Bisogna avere una cultura di governo» suonano vuote nella vasta periferia di chi in tv, alla radio, nei manifesti e sulla gran parte dei giornali, vede solo Berlusconi, ascolta solo i suoi discepoli, subisce solo le sue scelte, è meglio non dirlo?
Quando ci dicono che cultura di governo è la visione “positiva”, “costruttiva”, “propositiva” che una opposizione deve avere per vincere, come lo spiego a chi deve mobilitarsi e votare per la sinistra, che è alla opposizione e non al governo? Le opzioni comunicative sono molto più limitate degli espedienti retorici. Prima di tutto devo avere ben chiara, ripetuta in modo univoco e forte, l’immagine del mondo a cui mi oppongo e il perché devo oppormi, adesso e subito. È un perché fatto di enormi ragioni morali (il conflitto di interessi) di questioni pratiche e gravi (il furto di tutta l’informazione) di pericoli imminenti (l’attacco costante a uno dei tre poteri dello Stato, quello giudiziario, la distruzione della Costituzione) la privatizzazione della politica estera (i nostri soldati vivono e muoiono in Iraq non in base a trattati o alleanze ma per un fatto personale di amicizia privata fra Bush e Berlusconi), la privatizzazione della sanità e della scuola, che cambiano radicalmente il volto del futuro italiano.
Qui si inserisce una curiosa e ripetuta affermazione: «Guai ad assecondare Berlusconi sul terreno in cui è maestro. Sono stati saggi coloro, come Enrico Letta, che hanno dato ragione a Berlusconi (che si era inserito nel programma “Domenica sportiva”, ndr) da tifosi e da conoscitori di calcio» (Il Riformista, editoriale del 25 febbraio). L’affermazione conduce a un problema simile al paradosso di Creta. Ricorderete che era il famoso apologo del cittadino cretese che diceva: «Non credete ai cretesi che sono tutti bugiardi».
Adesso l’affermazione paradossale è questa: «Berlusconi è maestro sul terreno della comunicazione. Io devo comunicare senza comunicare per non assecondare Berlusconi, che è più bravo di me a comunicare».
Ma ecco un esperto di indiscutibile valore farsi avanti con una tesi quasi uguale. È Renato Mannheimer, sul Corriere della Sera del 22 febbraio: «Si dovrebbe suggerire al centrosinistra di non usare la stessa strategia del Cavaliere. Sia perché in questo specifico ambito Berlusconi ha più mezzi e capacità. Sia, specialmente, perché così si finisce col favorirlo. Ad esempio, demonizzare il Cavaliere in quanto nemico, come fanno ancora molti, significa per lo più ravvivare l’elemento della personalizzazione che spinge gli indecisi verso il leader della Casa delle Libertà. Più efficace sarebbe puntare sui contenuti con proposte chiare, concrete, facilmente comunicabili su temi che interessano la vita quotidiana».
Le due affermazioni ci ripropongono il problema. Non occupatevi di lui, perché lui è più bravo. Lasciatelo perdere e occupatevi dei problemi. Sì, ma dove, quando, come, con chi, visto che lui decide di volta in volta, con forza mediatica enorme, di che cosa si parla, in che modo, in quale occasione, con quale linguaggio, stabilendo da solo l’inizio, la fine e l’argomento di ogni discorso?
Come non notare che nella trasmissione sportiva ormai celebre a causa del libero intervento di Berlusconi, Vittorio Zucconi ha segnato un punto e messo Berlusconi in difesa con la semplice frase: «Lei è venuto qui a parlare di calcio e intanto ha piazzato un bello spot elettorale»? Zucconi ha strappato un applauso e Berlusconi ha detto, un po’ da furbo e un po’ da praticone del gioco delle tre carte colto sul fatto: «Uno fa queste cose quando è bravo e sa cogliere l’occasione». Anche di più è stata applaudita Lucia Annunziata, la presidente senza presidenza della Rai, che non rinuncia alla dignità e alla voce e invece di fare buon viso a cattivo spot denuncia l’intrusione politica. E ha lasciato un segno, in quella trasmissione, Antonello Venditti. Poteva parlare della Roma. Ma - come tutti noi spettatori - aveva notato che per la durata dei venti minuti di intervento, Berlusconi era identificato in video non come presidente del Milan ma come presidente del Consiglio. Come tale ha fatto il suo numero di simpatico esperto dello sport, ha parlato (strano, per un intervento improvvisato) in perfetto sincrono con i filmati. E ha dato abilmente un doppio senso ad ogni sua affermazione mentre tutti i giornalisti sportivi presenti si portavano via la parola a vicenda per dire «ma come, ma certo, ma bravo, ma qui stiamo parlando di calcio!». Il Venezuela di Chavez non ha mai conosciuto una pagina di sequestro mediatico e di conflitto di interessi più esemplare.
Ma poniamo che Mannheimer e tutti coloro che ammoniscono di non inseguire Berlusconi abbiano ragione. Purtroppo - pur essendo gli esperti di comunicazione che sono - non ci dicono come e dove, negli spazi d’ombra lasciati dal suo splendore esclusivo, si può parlare. Infatti non si può. Chi ti vede, chi ti ascolta, tenuto conto che anche ciò che avviene alla Camera, se è contro Berlusconi, viene oscurato? Vorrei provare a fare tesoro di tutti questi consigli e a ricomporli nel mondo che segue.
Primo. Poiché Berlusconi, dovunque e comunque intervenga, parla lui, decide lui, domina lui e non lascia spazio, non resta che rifiutare la sua agenda politica, istituzionale, televisiva. Poiché non si deve inseguirlo o pretendere di tenergli testa sul suo terreno, è bene non fargli da comparsa. Lui del resto ha già i suoi cortigiani, e i suoi «supporting actors». Possono fare tutto da soli.
Secondo. Però, niente Aventino. Nessuno si ritira da niente. Vai in televisione e dici, leggi, affermi ciò che ritieni di far sapere agli italiani in quel momento. Ignori il tema della trasmissione, il gioco, le sequenze, le interruzioni dei loro buttafuori e segui lo schema delle tue priorità e dei tuoi programmi. In ogni occasione tiri fuori un tuo progetto e lo spieghi indipendentemente da ciò che vogliono importi e farti discutere. Durante la scorsa legislatura, coloro che sono oggi Casa della Libertà ed erano allora opposizione, lo hanno fatto, per tutto il tempo, nelle aule della Camera e del Senato, cambiando a piacimento, e anche contro il regolamento, l’argomento degli interventi in modo da essere sempre in linea con la volontà del capo o dei sub comandanti della Lega e di An. Questo reclamo di autonomia consentirà all’opposizione le occasioni, i tempi, i luoghi, i modi di dire come dovrebbe o dovrà essere governato il Paese. Questo reclamo di autonomia si può rivendicare in televisione. Vai e dici ciò che intendi dire. Per ogni argomento, presenti il tuo programma.
Terzo. Poiché «non devi inseguire Berlusconi sul suo terreno», e poiché il suo terreno è tutto, occorre ignorare sempre Berlusconi, non raccogliere mai le sue parole d’ordine, i suoi progetti, le sue proposte. Se lui, nel mezzo dell’estate, decide di parlare all’improvviso dei tagli delle pensioni, lo lasci parlare da solo o con i suoi cortigiani. Occorre impegnarsi a parlare d’altro su tutto, sempre e senza nessuna sospensione di questo muoversi e agire deliberatamente altrove. Riconosco che è molto difficile comportarsi con tale rigore contro il fiume delle informazioni completamente controllate da un’unica persona che domina tutto con il suo pesante conflitto di interessi. Però perché non notare che in parte ciò sta già accadendo, per esempio quando i Ds il 28 febbraio a Torino spiegano e dimostrano il disastro economico in cui è precipitato il Paese, per esempio con la grande campagna contro lo scempio realizzato dalla Moratti nella scuola, per esempio denunciando logica, modi, persone, circostanze che hanno dato vita all’ignobile vicenda detta “Telekom Serbia”? Ripeto, è molto difficile estendere questa strategia, ma essa è già in atto.
Quarto. La potenza mediatica berlusconiana ha una sua forza di ricatto. Tale ricatto fa temere anche a persone integre e coraggiose di apparire complici di un tradimento. Per esempio tradire i soldati italiani impegnati - dicono loro, mentendo - in una missione di pace. Negli ultimi giorni il ricatto si è realizzato presentando ai senatori un unico decreto che rifinanzia, insieme e con un unico voto, missioni di pace regolate da trattati da un lato, e la guerra privata di Berlusconi, dichiarata con una stretta di mano tra lui e Bush, senza politica estera, senza trattati, senza accordi, senza voto (c’è stato solo un voto per la pace, non per la guerra) dall’altro. E mettendo per la prima volta dal 1945 soldati italiani a disposizione discrezionale di altri governi. A questa confusione-ricatto voluta deliberatamente dal governo occorre dire un no netto che è un no a Berlusconi e all’atto di prepotenza di imporre un decreto unico per due situazioni diverse e incompatibili, non un no ai soldati. La ragione è la solita: mai stare al loro gioco. Che giochino da soli. Noi abbiamo da fare a difendere i diritti dei soldati italiani mandati allo sbaraglio.
Quinto. E’ chiaro che il vero compito dell'opposizione è il contrario dell’Aventino, di cui spesso con leggerezza si parla quando questo giornale suggerisce: state lontani dal governo. Si può andare in tv e ostinarsi a non stare al gioco. Lo hanno fatto in altri tempi - le poche volte che hanno potuto - i radicali di Bonino e Pannella. Si può andare nelle commissioni parlamentari per ripetere, con pazienza e tenacia, quale dovrebbe essere il vero argomento da discutere. Si sta in aula per dire, confermare, ripetere qual è il vero ordine del giorno di un Paese impoverito, isolato dall’Europa, umiliato da un primo ministro che è il cliché negativo di una vecchia Italia, una maschera del teatro dell’arte che conferma ed esalta, per il piacere del mondo, i suoi tratti ridicoli. Pensate che vi sia qualcosa di non riformista nel rifiuto di collaborare alla illegalità di un governo e della sua succube maggioranza, mentre si è impegnati in un continuo presidio delle istituzioni repubblicane?