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Mauro Trotta
Oltre la trappola del territorio
20 Maggio 2014
Libri da leggere
«Recinti urbani. Roma e i luoghi dell’abitare», è il titolo del libro di Carlo Cel­la­mare, Roberto De Ange­lis, Mas­simo Ilardi ed Enzo Scan­durra per manifestolibri. «Un ter­ri­to­rio è dove si sta insieme tra esseri viventi e tra que­sti e la natura».

«Recinti urbani. Roma e i luoghi dell’abitare», è il titolo del libro di Carlo Cel­la­mare, Roberto De Ange­lis, Mas­simo Ilardi ed Enzo Scan­durra per manifestolibri. «Un ter­ri­to­rio è dove si sta insieme tra esseri viventi e tra que­sti e la natura». Il manifesto, 20 maggio 2014

Esi­stono parole di cui tutti siamo con­vinti di cono­scere alla per­fe­zione il signi­fi­cato ma che poi sco­priamo quanto, in realtà, siano estre­ma­mente dif­fi­cili da defi­nire. Accade così ad esem­pio con il ter­mine «tempo», a pro­po­sito del quale Sant’Agostino diceva di sapere per­fet­ta­mente cosa fosse, ma a spie­garlo, avrebbe tro­vato non poche dif­fi­coltà. È pro­prio a que­sto rimando ago­sti­niano che si rifanno Carlo Cel­la­mare, Roberto De Ange­lis, Mas­simo Ilardi ed Enzo Scan­durra per affron­tare il discorso su cosa sia un ter­ri­to­rio, all’inizio della pre­fa­zione del loro Recinti urbani. Roma e i luo­ghi dell’abitare, uscito di recente per mani­fe­sto­li­bri (Roma, pp. 126, euro 14). La rispo­sta a tale que­sito acqui­sta un carat­tere diri­mente e va oltre i con­fini del testo in que­stione. Gli autori, infatti, sono anche i cura­tori di una nuova col­lana, inti­to­lata non a caso «Ter­ri­tori», di cui que­sto libro rap­pre­senta la prima uscita. Il loro approc­cio alla que­stione, le rifles­sioni e le valu­ta­zioni espresse, le situa­zioni descritte ed ana­liz­zate, dun­que, acqui­stano anche un valore pro­gram­ma­tico, ten­dono a indi­care, a ini­ziare a trac­ciare i per­corsi pos­si­bili lungo i quali si inol­tre­ranno anche i testi a venire. Il tutto non all’interno di una strut­tura chiusa e defi­nita, ma al con­tra­rio in qual­che maniera aperta, rizo­ma­tica quasi, in grado cioè di dare conto di punti di vista dif­fe­renti, di ana­lisi a più livelli, di appro­fon­di­menti multisettoriali.

Del resto, come affer­mano gli stessi autori, il pro­blema della defi­ni­zione della parola «ter­ri­to­rio» più che risolto «può essere aggi­rato se par­tiamo dal pre­sup­po­sto che esso è il luogo in cui si co-abita, intesa que­sta come forma dello stare insieme tra esseri viventi e tra que­sti e la natura». E tale coa­bi­ta­zione, quasi mai paci­fica, fa sì che «il ter­ri­to­rio fini­sce per essere un luogo di con­flitti per­ma­nenti», in cui ven­gono ad essere messi in gioco non sol­tanto valori e sto­rie dif­fe­renti, ma anche fat­tori quali l’emotività e l’affettività.

Tale con­ce­zione, che coin­volge dun­que anche l’elemento cul­tu­rale, quello sim­bo­lico, quello poli­tico, emerge in que­sti saggi su di una città ricca di con­trad­di­zioni come Roma. E non è solo la diversa pro­ve­nienza disci­pli­nare degli autori – due urba­ni­sti, un antro­po­logo e un socio­logo – né la diver­sità dei quar­tieri scelti come oggetto dell’indagine a garan­tire la mol­te­pli­cità degli approcci e dei punti di vista, ma il metodo uti­liz­zato, in grado di coniu­gare rifles­sione teo­rica, sto­ria, nar­ra­zione ed espe­rienza vissuta.

Così, Enzo Scan­durra nel suo Ter­ri­to­rio come nar­ra­zione di forme di vita, par­tendo dalla con­ce­zione di ter­ri­to­rio come suolo da sfrut­tare, pro­ble­ma­ti­cizza ulte­rior­mente la sua defi­ni­zione insi­stendo sul suo carat­tere di costru­zione cul­tu­rale e sul rap­porto territorio-uomo-memoria.

Roberto De Ange­lis, invece, si con­cente su di una «peri­fe­ria imper­fetta», San Basi­lio, dove emerge in tutta la sua dram­ma­ti­cità «una carat­te­ri­stica di fondo del caso ita­liano: la ripro­du­zione della povertà attra­verso le gene­ra­zioni». Una nar­ra­zione ricca di dati, raf­fronti con altre situa­zioni come le ban­lieues pari­gine, ma soprat­tutto in cui si ritro­vano le sto­rie e le voci dei suoi abi­tanti, come quella di Nino il Sinto, da cui ven­gono fuori tutte le tra­sfor­ma­zioni che hanno inve­stito il quar­tiere.

Anche lo sguardo di Carlo Cel­la­mare si appunta sulla peri­fe­ria, con­cen­tran­dosi però sulle diverse forme di autor­ga­niz­za­zione e auto­ge­stione con cui gli abi­tanti hanno cer­cato di affron­tare i disagi legati al ter­ri­to­rio, ten­tando di riap­pro­priar­sene. Il tutto alla luce di una que­stione fon­da­men­tale con­nessa al «fare città»: «Chi pro­duce la città? Chi la costrui­sce?» in un’epoca in cui le forze eco­no­mi­che «hanno una pre­pon­de­rante capa­cità di orien­tare, con­di­zio­nare e addi­rit­tura met­tere al lavoro la città». Infine Mas­simo Ilardi, sulla scorta dei pro­pri ricordi, rac­conta le tra­sfor­ma­zioni pro­fonde che hanno inve­stito, a par­tire dagli anni Cin­quanta, quella che lui stesso defi­ni­sce «una peri­fe­ria al cen­tro della città», ovvero Tra­ste­vere, quar­tiere sim­bolo che da sem­pre incar­nava l’anima più pro­fonda di Roma.
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