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Christopher Hawthorne
Nuove tipologie: l'aeroporto come spazio pubblico per manifestazioni
8 Febbraio 2017
Spazio pubblico
Lo spazio pubblico se è veramente tale rappresenta il luogo ideale per manifestare politicamente. Quando non lo è, la manifestazione serve a mettere in risalto questo deficit democratico urbano.

Lo spazio pubblico se è veramente tale rappresenta il luogo ideale per manifestare politicamente. Quando non lo è, la manifestazione serve a mettere in risalto questo deficit democratico urbano. Los Angeles Times, 2 febbraio 2017

Mi occupo dei rapporti tra protesta politica e forma urbana da oltre vent'anni, dai tempi in cui scrivevo la mia tesi specialistica nei primi anni '90, e con terribile dilettantismo e ingenuità mescolavo storia dell'architettura e scienze politiche. Ma non credo proprio di aver mai assistito a nulla di simile a quanto accaduto in questi giorni all'aeroporto internazionale di Los Angeles e in altri del paese.

Reagendo all'ordine esecutivo con cui il presidente Trump sospendeva l'accoglienza dei richiedenti asilo, e impediva temporaneamente l'accesso al paese ai cittadini di sette nazioni islamiche, sono scesi in campo i contestatori, dall'aeroporto internazionale Birmingham-Shuttlesworth in Alabama allo O’Hare di Chicago. Hanno invaso parte degli scali di New York e San Francisco, e i terminali di Dallas, Boston, Miami, Washington, D.C., Phoenix, Seattle, Albuquerque, Denver, Missoula in Montana, Portland, Maine. Certo in termini di numeri – quantità assolute – non si trattava di manifestazioni paragonabili alla marcia delle donne il giorno dopo l'insediamento di Trump. Solo a Los Angeles, con le donne si contavano persone a centinaia di migliaia, mentre i contestatori al Tom Bradley International Terminal erano alcune migliaia, forse decine, di migliaia.

Ma per certi versi l'effetto di questa protesta negli aeroporti è stato maggiore, o quantomeno da valutare in termini diversi. Certamente più focalizzato, dato che sono tanti gli immigrati che si muovono in aereo. Ed è certamente vero che i terminal internazionali degli aeroporti americani, per quanto se ne detestino le lunghe code e le forme anonime, ben simboleggiano il tipo di cultura cosmopolita che il nazionalismo della retorica «America First» degli elettori di Trump ha stigmatizzato. Da quel punto di vista, si può quasi quasi interpretare la stessa ordinanza di Trump come una specie di contestazione, contro l'architettura della globalizzazione e della libera circolazione, delle persone e delle culture, tra questo paese e il resto del mondo.

Non credo proprio che Stephen K. Bannon, la mente dietro alla strategia dell'ordinanza, sia stato più di tanto colpito da quel caos negli aeroporti del paese. Certo la fulmineità del decreto, e l'altrettanto fulminea reazione dei contestatori, paiono identiche nel loro essere frenetiche, una caratteristica ormai tipica di questo mandato presidenziale, ma la cosa nuova delle manifestazioni negli aeroporti è il modo in cui si usa quello spazio urbano: un ambiente che consideriamo architettonicamente carente, diventa invece un vantaggio per la lotta politica. Alcune delle proteste (che hanno assunto nei vari luoghi forma di cortei, sit-in, preghiere di gruppo, o altre modalità di disturbo dell'attività degli scali) si sono svolte dentro i terminali, quegli spazi dai pavimenti lucidi, enormi come hangar, che sono quasi identici in tutto il mondo. Là dove contestatori o mezzi di informazione non sono riusciti a occupare quegli strategici spazi interni, si sono quantomeno rilevate utili informazioni normative. Alcuni giornalisti sono stati allontanati dal terminale 4 del JFK mentre si svolgeva la protesta, in quanto spazio di proprietà privata, a differenza del resto dell'aeroporto, pubblico e gestito dalla Port Authority di New York e New Jersey.

Proprio per questo genere di restrizioni, le proteste più vistose hanno avuto luogo all'esterno dei terminali, dentro quelle strette fasce dove l'aeroporto sfuma nella città, sulla linea di demarcazione tra un interno presidiato e un esterno imprevedibile e tumultuoso. A differenza della piazza pubblica, ottimo luogo per la manifestazione politica nella misura in cui è effettivamente pubblica, l'aeroporto pare un luogo adeguato, proprio per le sue carenze spaziali che di solito non notiamo. Marciapiedi strettissimi; passerelle pedonali che scavalcano i parcheggi; minuscole isolette sicure nell'asfalto per aspettare l'autobus navetta; strade perimetrali che circondano qualunque aeroporto: è questo, il palcoscenico su cui la rappresentazione risulta più efficace per i contestatori, sia perché si blocca il traffico, sia perché i mezzi di informazione ne traggono l'immagine di una folla arrabbiata e vociante.

In aeroporti già molto sovraccarichi come quello di Los Angeles, già gli spazi operano al limite ogni giorno, e il blocco definitivo, la trombosi urbana, è esattamente il risultato ottenuto e sfruttato dai contestatori. Un'informazione che ovviamente arriva anche alla controparte. Greg Lindsay - della New Cities Foundation e coautore insieme a John D. Kasarda del libro Aerotropolis: The Way We’ll Live Next - sottolinea come quel problema della terra di nessuno non sia solo spaziale, ma anche legale: «Con le proteste si capisce chiaramente come le autorità responsabili dovrebbero risolvere alcuni nodi fondamentali per impedire l'accesso. A New York il governatore Andrew Cuomo ha dovuto chiedere alla polizia della Port Authority di riaprire l'ingresso del treno, che era stato chiuso proprio per impedire che i contestatori arrivassero in metropolitana».

Non sappiamo come andrà a finire. Magari queste manifestazioni negli aeroporti si esauriranno, man mano nuove decisioni della Casa Bianca innescheranno altre diverse contestazioni. E del resto ce lo ha spiegato chiaramente Lindsay, quanto è più semplice fare ordine pubblico in un aeroporto, rispetto a un centro città. Però qualcosa mi dice che gli attivisti più attenti, in queste manifestazioni riusciranno a individuare qualche genere di modello ripetibile.

(c) Los Angeles Times, 2 febbraio 2017 - Titolo originale: Building Type: The airport as public square and protest central – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

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