loader
menu
© 2024 Eddyburg

Nucleare? No grazie
25 Maggio 2008
La questione energetica
Negli articoli da il manfesto, 24 maggio 2008, le molte ragioni scientifiche e politiche per opporsi ad un ritorno che sa di improvvisazione (m.p.g.)

La favola atomica

Gianni Mattioli, Massimo Scalia

Ministri, politici e Confindustria ripetono che dall'energia nucleare si può trarre energia abbondante, tanto da liberarci dalla schiavitù del petrolio e del gas, energia pulita, tanto da contrastare l'incubo del cambiamento climatico, energia a prezzi ben più limitati, tanto da ridar fiato alla nostra stanca economia.

Tutto ciò è una favola, non ha alcun fondamento scientifico razionale: non poco o tanto discutibile, semplicemente inesistente. Tanto che sorge una domanda ingenua: è possibile che ministri, politici e industriali possano proclamare tante assurdità senza che un tecnico amico gli suggerisca qualche dato?

Basterebbe guardare gli altri paesi nucleari: forniscono un quadro di crisi dell'energia nucleare, documentata dai rapporti dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (Aie) e, in particolare, dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) delle Nazioni Unite.

L'energia nucleare abbondante. Di che parliamo? Oggi essa copre il 6,4% del fabbisogno mondiale di energia, e di uranio fissile, a questo ritmo modesto di impiego, secondo il rapporto Aiea del 2001 ce n'era per 35 anni. Certo, si potrebbe ricorrere all'uranio 238, ben più abbondante in natura: si tratta di un tipo di uranio non fissile, ma attraverso il processo di cattura di un neutrone, si puo trasformare in plutonio, materiale fissile, anzi ingrediente principale per le bombe. Materiale dunque ad alto rischio di proliferazione militare e anche sanitario: un milionesimo di grammo è la dose che può essere letale per inalazione. La Francia, che aveva perseguito con decisione questa strada, l'ha abbandonata col venir meno dell'urgenza strategica della force de frappe.

La questione delle scorie radioattive provenienti dalla fabbricazione e dall'impiego del combustibile nucleare. Solo per l'Italia, con il suo modesto passato nucleare, si tratta di un centinaio di migliaia di metri cubi, da sistemare in modo che non vengano più a contatto - per «ere» intere - con l'ambiente, la falda idrica, tutti noi. Oggi non c'è soluzione. Si era fatto molto affidamento - anche per Scanzano - sulle strutture geologiche saline, fidando sul carattere idrorepellente: l'acqua è un temibile avversario per la sua capacità di fessurazione di qualsiasi contenitore e conseguente messa in circolazione dei materiali radioattivi. La fiducia è crollata qualche anno fa, quando, nel corso della messa a punto del deposito Wipp del New Mexico, l'acqua ha fatto irruzione là dove non ci si sarebbe aspettati di trovarla e, inoltre, si è anche ipotizzata la possibile circolazione d'acqua a causa dell'insediamento di materiali ad alta temperatura (a causa della loro radioattività) con conseguente alterazione delle condizioni di stabilità geologica. Oggi si spera nelle rocce argillose e la Francia indirizza a queste strutture geologiche la sua ricerca.

Ma allora quanto costa il kilowattora, in una situazione nella quale il ciclo del combustibile nucleare è tutt'ora materia di ricerca fondamentale?

E si torna alla complessità di una tecnologia che ripropone il problema della radioattività, l'insoluta sfida che conosciamo dal 1896, con la scoperta di Becquerel. E' questo in definitiva il fattore che ha fatto lievitare il costo dell'energia prodotta, man mano che le popolazioni (e i lavoratori) statunitensi chiedevano standard di protezione sempre più elevati.

Vorremmo ricordare a ministri, politici e Confindustria che tutt'ora il danno sanitario da riadioazioni non ammette soglia al di sotto della quale non c'è rischio: dosi comunque piccole - questa è la valutazione della Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Ionizzanti - possono innescare i processi di mutagenesi che portano al danno somatico (tumori, leucemia) o genetico. Da qui la lievitazione dei costi per la riduzione di rilasci di radiazioni, si badi, in condizioni di funzionamento di routine, degli impianti. E, a maggior ragione, la questione della sicurezza da incidenti.

Nasce da tutto questo il progressivo abbandono del nucleare civile, che dal 1978 diviene totale per gli Usa e all'inizio degli anni '90 per tutti i paesi Ocse (con la sola eccezione del Giappone), Francia compresa. Di qui il consorzio di ricerca guidato dagli Stati Uniti, Generation IV, che proclama la messa a punto di un reattore che si vorrebbe più sicuro, che usi con maggior efficienza l'uranio, non proliferante e che dovrebbe costare di meno. Il prototipo non è atteso prima del 2025, ma il premio Nobel Carlo Rubbia giudica già insufficiente il programma.

In questo quadro è incredibile parlare di energia pulita e poco costosa: il Department of Energy situa a 0,06 euro il prevedibile costo del kWh al 2010 e vien da sorridere se si pensa al costo del vento e alla sua formidabile espansione, altro che nucleare, su scala mondiale.

Certo, le imprese elettromeccaniche devono pur lavorare e forniscono impianti per esempio a Cina e India, ma continuano a non piazzarli in casa: solo gli enormi incentivi del provvedimento di Bush fanno dire alla Exelon, una delle principali elettriche Usa, che, in virtù di quegli incentivi, partiranno un paio di impianti entro il decennio, ancora di terza generazione, come di terza generazione è quello che si annuncia in Francia in mancanza di meglio.

È questo che ci propongono Governo, politici e industriali? Attendiamo chiarimenti.

Dai reattori alle scorie, un'eredità ingombante

Eleonora Martini

L'Italia sarebbe pronta, secondo la visione del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola, per il ritorno alla produzione di energia atomica. Eppure, a distanza di vent'anni dalla chiusura delle centrali nucleari, il paese è ancora alle prese con lo smaltimento delle scorie radioattive derivanti dall'attività di quegli impianti e stoccate in alcuni depositi temporanei, o lasciate esattamente là dove sono state generate. Senza contare i rifiuti che ancora non ci sono ma che verranno fuori dallo smantellamento delle quattro centrali spente e in «custodia passiva» da diciotto anni, e dai quattro impianti di sperimentazione del ciclo del combustibile nucleare.

Quando infatti verranno completamente smontati (il termine usato è decommissioning) i quattro reattori nucleari attualmente sotto gestione dell'Enel - Caorso (Emilia), Trino Vercellese (Piemonte), Latina e Garigliano (Lazio) -, e i quattro impianti che erano al servizio del ciclo del combustibile - Itrec (Basilicata), Eurex (Piemonte) Pec (Emilia Romagna) e Cirene (Lazio) -, i circa 80-90 mila metri cubi di rifiuti che ne deriveranno dovranno essere posti in sicurezza per 100 mila anni, il tempo necessario per il decadimento radioattivo.

A questi vanno sommati, secondo un dossier che Legambiente ha stilato a novembre scorso e secondo l'inventario curato dalla stessa Apat, circa «250 tonnellate di combustibile irraggiato - pari al 99% della radioattività presente nel nostro Paese -, e i circa 1.500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria». Per un totale di circa 25 mila metri cubi di rifiuti radioattivi presenti ancora sul territorio italiano. Nel 2003 il governo Berlusconi e la Sogin (la Società di gestione degli impianti nucleari finita più volte nelle polemiche per una discutibile gestione del generale Carlo Jean), avevano progettato di accumulare questa montagna di scorie in un unico sito a Scanzano Ionico, in Basilicata. Non se ne fece nulla perché «il sito non era stato studiato con rilievi sul campo, ma solo con indagini bibliografiche», come spiega Legambiente.

Attualmente tutte le centrali, tranne Caorso, sono state svuotate delle scorie radioattive e dal combustibile irraggiato che vi erano stoccati. Fino a qualche anno fa ce n'erano 950 metri cubi a Latina, 2.200 a Garigliano, 780 a Trino Vercellese (dove giacevano nella piscina di decadimento anche 47 elementi di combustibile irraggiato pari a 14,3 tonnellate), e 1600 a Caorso (assieme a 1032 elementi di combustibile irraggiato). È proprio qui, nella centrale piacentina, che è rimasta l'ultima tranche di 235 tonnellate di combustibile irraggiato da trasferire entro il 2008 in Francia per essere vetrificate grazie alla tecnologia della Framatome, la ditta che ha vinto la gara per il trattamento. La vetrificazione però non risolve il problema della radioattività: perché siano ridotte a scorie di seconda categoria, meno pericolose e longeve, andrebbero incenerite. Per quanto riguarda invece lo smantellamento, fissato entro il 2015, degli impianti destinati al trattamento del combustibile e alla ricerca scientifica, che hanno anche la funzione di piccoli depositi di rifiuti radioattivi, Legambiente calcola una spesa di circa 862 milioni di euro.

Ma sul groppone, a distanza di più di venti anni, all'Italia sono rimasti anche i depositi di scorie, sia quelli di terza categoria (le più pericolose da stoccare per centinaia di migliaia di anni) che quelle di seconda (generalmente di natura ospedaliera, meno pericolose e con un tempo di decadenza radioattiva di poche centinaia di anni). I più grandi sono tre, quello di Saluggia in Piemonte, la Casaccia, il centro di ricerche dell'Enea vicino a Roma, e a Rondella (Basilicata). Senza contare le 5 mila tonnellate di grafite radioattiva ancora da smaltire, dell'impianto di Latina dove era in funzione un reattore di fabbricazione britannica a gas-grafite. Nel sito piemontese di Saluggia ci sono 110 metri cubi di liquidi radioattivi per i quali è prevista la cementificazione dei silos, una procedura lunga validata dalla commissione tecnico-scientifica ma che richiede ancora molti anni. Il deposito della Casaccia invece è destinato a stoccare solo rifiuti a bassa radioattività. Infine a Rondella, l'impianto Itrec contiene 3 metri cubi di liquido radioattivo, anche qui in attesa di cementificazione, e ancora 64 elementi di combustibile irraggiato da trattare (in tutti questi anni ne sono stati «lavorati» solo 20). Il problema è che stiamo parlando di Torio, un elemento di cui nessuno vuole occuparsi in Europa. Altra tecnologia, americana. Quello che è stipato a Rondella infatti è il risultato del primo trattamento effettuato con il metodo della centrale nucleare americana Elk River, dove negli anni '60 venivano spedite le scorie e i combustibili radioattivi.

Insomma, non sembra proprio un paese pronto a tornare all'atomo.

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg