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Antonio Padellaro
Notte e nebbia
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
L’editoriale de l’Unità, 4 settembre 2004, raccoglie i dubbi che da più parti si sono levati per il terrificante incontro tra terrorismo ceceno e intervento statale russo e per le menzogne dell’informazione ufficiale

Notte e nebbia

L’editoriale de l’Unità, 4 settembre 2004, raccoglie i dubbi che da più parti si sono levati per il terrificante incontro tra terrorismo ceceno e intervento statale russo e per le menzogne dell’informazione ufficiale

È uno spaventoso massacro ed è la sola cosa che sappiamo con certezza. Tutto il resto non si deve vedere, non si deve sapere, non si deve capire, nascosto oltre il sipario di polvere densa e cattiva che si alza dalle macerie della scuola di Beslan dove il terrorismo ceceno ha impiantato la propria macelleria. Non si conosce nemmeno il numero dei morti: 150 secondo le autorità dell’Ossezia, molti di più secondo Mosca, non meno di 250 secondo i giornalisti che hanno assistito al blitz, molte centinaia secondo la Cnn. Blitz che prima viene negato dal Dipartimento osseto dei servizi segreti russi che, però, poi ammette: «siamo stati costretti all’azione». Oltre la sequenza Cnn dei bianchi sudari allineati sull’erba, dei bambini nudi scampati, delle barelle inutili, del tetto crollato sotto i colpi non si sa di chi, dell’autoblindo che corre intorno come un giocattolo senza molla, s’intuisce il problema di Putin. Allontanare da sè e dai suoi famosi reparti speciali l’onta della carneficina frutto dell’improvvisazione, dell’inettitudine e forse anche del disprezzo per gli ostaggi. Che prima erano 300 e poi si sono moltiplicati, come la anime morte di Gogol, fino a gonfiarsi nella statistica più aggiornata a «oltre 1200». Oltre 1200 tenuti a bada da trenta o quaranta terroristi? Facendo pensare che, qualcuno, nelle stanze del Cremlino non sapendo come sottrarsi alla lugubre forza dei numeri abbia escogitato un’apposita contabilità. Perché 150 morti su 350 ostaggi è ancora un rapporto, per così dire, presentabile davanti al mondo civile. In fondo ne abbiamo salvati più di uno su due, potrebbe dire il nuovo zar giustificando il devastante assalto delle sue teste di cuoio. Ma se i morti diventano 250, e i feriti 400, gli ostaggi dovevano essere per forza molti di più. «Oltre 1200» appare perciò una cifra abbastanza equilibrata nel contesto di un bagno di sangue. E forse anche un risultato spendibile nel consesso internazionale desideroso di conoscere i nuovi concreti progressi nella lotta al terrorismo.

Dispiace soffermarsi sui conti che non tornano, trattandosi di conti che riguardano il dolore incommensurabile delle povere famiglie di Beslan. E neppure si può lontanamente paragonare la ferocia disumana di chi ha attaccato con violenza cieca di chi ha reagito. Ma se tutto ci viene impedito di sapere sulla cause, reali, autentiche, che quel dolore hanno scatenato, sarà sempre più difficile difendersi da altro dolore, altro orrore, altri massacri. Esiste come una perversa simmetria tra terrorismo e menzogna.

Si direbbe quasi che l’uno e l’altra si sostengano a vicenda nel provocare infinite sofferenza e nell’impedire al resto dell’umanità di sapere perché. Il combinato disposto tra Al Qaeda e la manipolazione delle notizie ci sta precipitando in una cupa notte della ragione. E della informazione. A tutt’oggi nessuno sa cosa ha veramente scatenato l’11 settembre. E perché Bin Laden? E dov’è Bin Laden? E perché la guerra a Saddam? E dove sono le armi di distruzione di massa? E cosa sta succedendo, davvero, in Iraq? E come è possibile che trenta o quaranta ceceni possano entrare indisturbati nella misteriosa Ossezia e possano tranquillamente prendere in ostaggio 1200 (milleduecento) persone? Eppure, mentre il terrorismo s’impadronisce delle nostre menti, in attesa di farlo con le nostre vite, alla Convention di New York George W. Bush viene osannato quando dichiara che, oggi, con lui il mondo è più sicuro. Una frase insensata, ma che può passare indenne nel sonno della conoscenza. Una frase dal suono amichevole e patriottico se il presidente degli Stati Uniti intende, invece, comunicarci che siamo già entrati nella Terza o Quarta guerra mondiale. E che dunque è molto più conveniente per tutti stare dalla sua parte. Nella Terza o Quarta guerra mondiale non c’è posto per gli indecisi e i codardi. E non c’è posto per la politica, e non c’è posto per la diplomazia, e non c’è posto per l’Onu. O sei contro il terrorismo o sei con il terrorismo ammonisce il governatore della California “Conan” Schwarzenegger, quello che deride i democratici di Kerry chiamandoli «girlie men», femminucce. E quanto agli ostaggi, peggio per loro. Se in Francia un governo sovrano e responsabile cerca di fare il possibile per salvare la vita dei cittadini Chesnot e Malbrunot, quel governo «bacia il culo del nemico» («Il Foglio»). Ma poiché in Italia non esiste un governo del genere, da noi si dirà semplicemente che il cittadino Baldoni «se l’è cercata».

In una guerra mondiale, nello scontro di civiltà evocato dal pensatore Pera, i fatti devono adeguarsi per forza alle opinioni. Nessuno sa cosa è successo a Beslan, ma Bush dichiara lo stesso: ecco cosa fanno i terroristi. Berlusconi segue a ruota. Terrorismo e menzogne. Per arrivare dove? Chi taglia la gola dei prigionieri, chi massacra i bambini non ha nessuna civiltà da imporre. Sono criminali che ci faranno ancora soffrire molto, ma che hanno già perso. Norman Mailer ha un’altra risposta ancora. Cita il pensiero di un tipo che in vita sua è diventato obiettivo un po’ troppo tardi: «Ovviamente la gente comune non vuole la guerra, ma in fin dei conti sono i leader di un paese a fare la politica, ed è sempre semplice trascinare un popolo - che si tratti di una democrazia, di un regime fascista, di un regime parlamentare o di una dittatura comunista. Che faccia o no sentire la sua voce, il popolo può sempre essere piegato agli ordini dei capi. E facile. Basta dirgli che è sotto attacco e accusare i pacifisti di non essere patriottici e di mettere la patria in pericolo. Funziona nello stesso modo in tutti i paesi». Queste parole, spiega Mailer,le pronunciò Hermann Goering nella sua deposizione al processo di Norimberga. Ma forse, con l‘aria che tira, era una citazione da dimenticare.

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