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Note sull’attuazione della legge Regione Toscana 5/1995
20 Gennaio 2006
Proposte e commenti
In Toscana è in corso da tempo un lavoro di verifica dell’attuazione della legge urbanistica regionale, la 5/1995. In particolare, la Regione ha organizzato un convegno (che si terrà il 19 novembre 2002), facendolo precedere da una serie di riunioni di gruppi ristretti di amministratori, tecnici degli enti locali, consulenti esterni. In vista di uno di questi incontri ho preparato, con alcuni colleghi, la nota che riporto di seguito.

Una buona legge, con alcuni difetti

L’applicazione della legge 5/1995 alla pianificazione comunale (ci riferiamo in particolare a esperienze maturate a Lastra a Signa, Sesto Fiorentino, Pontassieve, Calenzano) conferma il giudizio che si era dato inizialmente sulla legge: una buona legge, con alcuni difetti.

Questo giudizio merita di essere articolato. L’impianto della legge è soddisfacente. Le novità introdotte vanno tutte in una direzione positiva. Tuttavia esistono alcune lacune che è opportuno riempire.

Più un generale, la fase di sperimentazione sollecita a risolvere alcune ambiguità della legge, su punti per i quali si sono date nell’applicazione risposte diverse in relazione non solo a situazioni oggettivamente diverse, ma anche a interpretazioni diverse (ma ugualmente legittime) della legge.

Tra le diverse interpretazioni è oggi è necessario scegliere. Non tanto per tentar d’imprimere omogeneità a impostazioni culturali e situazioni locali che possono legittimamente essere diverse, quanto per rendere confrontabili i risultati e le scelte, e possibile una politica unitaria del territorio ai livelli regionale e provinciale.

La cerniera del Piano strutturale

Le esperienze compiute riguardano soprattutto il Piano strutturale (PS). Nel lavoro concreto (con gli amministratori e gli altri attori) è stato in primo luogo necessario un forte e constante impegno per chiarire che il PS non è un PRG. Se la logica della nuova pianificazione è la distinzione tra i diversi strumenti della pianificazione comunale, e un’attenta calibratura di ciascuno di essi, è necessario insistere su questa linea sia nella diffusione della conoscenza sia nell’apportare alcune piccole modifiche legislative che rendano più chiara la diversità tra i differenti strumenti.

La redazione del PS ha consentito di individuare alcuni problemi che hanno una portata più generale. Essi riguardano soprattutto due rapporti:

- quello del PS con la pianificazione sovraordinata,

- e quello del PS con il Regolamento urbanistico (RU) e, più in generale, con gli altri strumenti della pianificazione comunale.

Leggero o robusto?

Appartengono al modo in cui si chiarisce il primo rapporto le risposte possibili a una domanda che emerge dal confronto tra le esperienze in corso. Il PS deve essere uno strumento “leggero”, che si limiti a fornire analisi e descrizioni, e su questa base a definire indirizzi e direttive e a delineare strategia (come fa un buon “documento preliminare”, oppure deve essere un atto “robusto” come parrebbe richiedere l’impegno a definire “invarianti strutturali”?

Il dilemma va risolto a partire dal risultato che si vuole raggiungere, e la sua soluzione non mette in gioco solo il PS. Se il risultato che si vuole è quello di definire una ragionevole sicurezza per quanto riguarda le localizzazioni d’interesse sovracomunale e le tutele dell’integrità fisica e dell’identità culturale del territorio, allora la risposta può essere duplice:

- si può raggiungere questo risultato con un PS “robusto”, in cui lo statuto dei luoghi si traduca in una vera e propria normativa, resa immediatamente efficace dovunque ciò è necessario, che riguardi non solo la grandi localizzazioni, ma l’essenza delle regole del territorio;

- oppure si può raggiungere il medesimo risultato facendo discendere le scelte da una pianificazione sovraordinata ben più “robusta” di quella prevista dalla legge 5/1995.

Il problema del dimensionamento

Hanno una certa analogia i problemi che nascono dal dettato della legge circa il dimensionamento delle Unità territoriali organiche elementari (UTOE).

Da un punto di vista logico, il dimensionamento non è materia di scelta coerente con la natura del PS. Quest’ultimo dovrebbe definire soprattutto le “invarianti” ed essere rivolto al lungo periodo (sia pure con la possibilità di aggiornamenti). Il dimensionamento invece ha senso se è riferito al breve-medio periodo (l’arco di tempo ragionevole sarebbe il decennio, o meglio ancora il quinquennio se si tiene conto dell’influenza delle congiunture).

Sarebbe perciò ragionevole riferirsi, per le richieste dimensionali della legge, più al concetto di carico urbanistico che a quello di fabbisogno. In determinate situazioni ciò è ragionevole e sufficiente: dove ad esempio, come a Sesto Fiorentino, la forma compatta dell’abitato delimitata dalla collina e dalla piana delle quali si è confermata la tutela, e la definizione di precise condizioni per l’attivazione delle trasformazioni più pesanti, garantiscono da una rapida estensione delle urbanizzazioni ed edificazioni. In situazioni diversamente connotate la definizione, in sede di PS, di tutte le aree teoricamente urbanizzabili come riferimento al richiesto dimensionamento, senza introdurre altre limitazioni, potrebbe avere invece effetti devastanti.

Una soluzione possibile sarebbe quella si far discendere le soglie dimensionali dalla pianificazione sovraordinata. Ma ci si domanda se una simile soluzione ha senso un una realtà (come quella Toscana) dove tra la Regione e i Comuni non sembrano esserci autorità territoriali di riconosciuta autorevolezza, tale non sembrando oggi (piaccia o non piaccia) la Provincia.

Una soluzione possibile: le intese sovracomunali

Nel ragionare su questi argomenti, e tenendo conto della particolare realtà culturale, storica e istituzionale della Regione Toscana, è sembrato possibile configurare un’ipotesi basata più sul criterio della “copianificazione” che su quello della gerarchia delle competenze. L’ipotesi che si avanza è che il dimensionamento, come le altre scelte di carattere sovracomunale, venga definito in intese sovracomunali promosse e “governate” dalla Regione e dalla Provincia (o dalle province, dove gli ambiti interessino comuni di più province limitrofe), con il concorso delle autorità statali competenti (come ad esempio le Soprintendenze dell’amministrazione dei beni culturali).

Nell’ambito di tali intese, si dovrebbe partire da precise proposte provenienti dal livello sovraordinato, formulate in connessione con le linee di programmazione socio-economica (dalle politiche per la casa a quelle per il commercio, e così via) e riguardanti l’analisi del settore, o dei settori, coinvolti, le ipotesi di dimensionamento per ambiti intercomunali, le politiche attivabili e le risorse disponibili. Su questa base si potrebbero definire i dimensionamenti per ciascuno dei comuni coinvolti, tenendo conto delle specifiche strategie e delle possibili offerte di aree dei diversi comuni.

Il patrimonio storico

In generale la distinzione tra argomenti attribuibili alla competenza esclusiva dei comuni e argomenti la cui competenza appartiene a un livello diverso è abbastanza chiara nel testo della legge, e le attribuzioni di competenze e responsabilità ai diversi atti di pianificazione è condivisibile. Con una unica eccezione. Sembra infatti un evidente errore, o comunque una illogicità, aver attribuito alla competenza esclusiva del Regolamento urbanistico l’individuazione e la disciplina dei centri storici.

Si ritiene infatti che “la disciplina per il recupero del patrimonio urbanistico ed edilizio esistente” debba essere definita – nei suoi criteri di fondo, nei metodi di lettura da adottare, nella definizione delle invarianti – nelle medesime sedi e con gli stessi strumenti previsti dalla legge per l’individuazione e la tutela delle altre risorse territoriali, e in particolare quelle paesaggistiche e ambientali. E’ quindi alla pianificazione strutturale (e alle sovraordinati determinazioni della pianificazione regionale e provinciale) che dovranno far capo le regole relative alla tutela del patrimonio storico, per la quale non va del resto trascurato il ruolo degli interessi statali (Soprintendenze).

Altre questioni

Le questioni sopra indicate appaiono quelle più rilevanti. Altre questioni sono peraltro emerse, che richiedono anch’esse chiarimenti e scelte conseguenti

1. Il quadro conoscitivo è esplicitamente previsto, a livello comunale, tra i contenuti del solo piano strutturale. Viceversa, è opportuno che ogni piano sia dotato di un solido apparato conoscitivo. In particolare, è opportuno che il regolamento urbanistico, dei programmi integrati d’intervento e dei piani attuativi contribuiscano all’aggiornamento del quadro conoscitivo inizialmente formato per il piano strutturale.

2. La valutazione degli effetti ambientali corre il rischio di essere un poco utile documento integrativo. Occorre che essa diventi una fase del procedimento. Per essere realmente efficace la valutazione dovrebbe essere affidata ad un soggetto diverso dal proponente.

3. Che cosa devono essere le UTOE? Occorre precisare se esse siano semplici ambiti di calcolo, oppure (come sembra più opportuno) elementi dell’organizzazione del territorio (qualcosa di apparentabile ai quartieri o alle unità di vicinato).

4. Sarebbe opportuno garantire il raccordo con la pianificazione di settore. Se si sceglie l’ipotesi del PS “robusto”, appare possibile che il recepimento delle disposizioni che discendono dalla pianificazione di settore sovraordinata avvenga nel piano strutturale (soggetto al controllo provinciale e regionale).

5.È opportuno dare efficacia immediata alle scelte di lungo periodo. Alcuni dei contenuti del piano strutturale, quali il confine tra urbano ed extraurbano oppure la determinazione dei grandi ambiti di trasformazione, dovrebbero essere rese immediatamente cogenti, anche nei confronti dei terzi.

6. L’articolazione di un unico piano in più strumenti può provocare problemi pratici. In fase di gestione, è lecito prevedere possibili contraddizioni fra i diversi tipi di piano. Occorrerebbe pensare alla formalizzazione di una sorta di “piano unico”, o di “carta del territorio”, che riassuma tutte le indicazioni e prescrizioni derivanti dall’insieme dei documenti.

7. Si suggerisce la possibilità di mantenere la procedura dell’attuale articolo 25 (sostanzialmente coincidente con una decisione di consiglio sottoposta a osservazioni) per le sole decisioni di mero dettaglio.

8. È necessario elaborare un glossario, nella forma di “istruzioni tecniche” definendo il significato dei termini nuovi o nodali: definizioni dalle quali i comuni si possano scostare solamente attraverso specifiche motivazioni. Ciò contribuirebbe non poco a fare chiarezza, senza comprimere la facoltà di introdurre innovazioni sperimentali.

9. Infine, si ritiene che debba a questo punto essere introdotto qualche stimolo alla partecipazione. Si tratta certamente di un tema complesso, in cui l’individuazione ope legis di istituti, soggetti e risorse non è di per sé sufficiente, ma può essere comunque un utile incoraggiamento allo sviluppo di tensioni positive.

Edoardo Salzano, sulla base di materiali di M. Baioni e di ragionamenti svolti con M. Baioni, V. De Lucia, G. Frisch, C. Mele e L. Scano

Venezia, 18 ottobre 2002

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