«Un manifesto per il Veneto e Acqua guerriera: due libri che raccontano un paesaggio disordinato e consumato dalla politica a corto di idee». il manifesto 28 aprile 2017 (c.m.c.)
Nel vuoto della politica, lo sprawl in Veneto (la regione è stata spesso paragonata alla città diffusa di Los Angeles) continua ad estendersi. Il risultato di un’urbanistica disordinata, non programmata e spesso spinta solo dalla rendita speculativa, ha portato la regione ad essere la seconda in Italia (dopo la Lombardia) per consumo di suolo, con oltre il 12% di territorio impermeabilizzato (ma nel Veneto centrale, cioè escludendo le montagne e la costa, siamo a oltre il 20).
La questione ambientale a Nordest non riguarda però solo il cemento. Certo, la prima conseguenza visibile della crisi dell’ultimo decennio è la marea di capannoni e fabbriche abbandonati. Ma c’è anche un immenso patrimonio residenziale vuoto o sottoutilizzato, c’è l’antico paesaggio di acque inquinato e deteriorato, ci sono quei tre milioni e mezzo di auto e moto private (su una popolazione di quasi cinque milioni di abitanti) a rappresentare più di tutto l’incapacità di pensare il territorio come un campo aperto di possibilità e di innovazione.
E proprio da qui prende le mosse Un manifesto per il Veneto, volume che raccoglie alcune riflessioni del dipartimento di urbanistica dell’università Iuav di Venezia (a cura del raggruppamento di ricerca Nuq, Mimesis, pp.90, euro 10). Un libro scritto da specialisti ma pensato per portare al grande pubblico questioni fondamentali e quanto mai urgenti. Partendo dai principali assi tematici, cioè i trasporti, le acque, l’agricoltura, l’energia, il team di studiosi prova a portare delle proposte che potrebbero indirizzare in modo virtuoso la futura politica non solo locale. Ogni «crisi» in fondo non è altro che un cambio di paradigma, che rappresenta anche la fine di un ciclo di vita per un edificio o una porzione di territorio.
Serve pensare, anche a livello territoriale, ad azioni orientate al riciclo. Significa ripensare le funzioni e immaginare nuovi modi d’uso per il complesso delle costruzioni esistenti. E rinunciare a costruire ancora. Lavoro che richiede meno risorse economiche e più fantasia, oltre a un presupposto di partenza: il futuro di questi spazi appartiene a tutti.
Propositi forse un po’ troppo astratti per una classe politica che, almeno da queste parti, sembra dedicarsi più che altro a operazioni di marketing territoriale (brand come il Prosecco, il fiume Piave, l’eterna Venezia), totalmente slegate dalle conseguenze ambientali (tutto ciò quando non è invischiata in casi di corruzione e mala gestione, spesso legata alle grandi opere come il Mose).
A riportare questi argomenti su un piano più concreto aiuta la pubblicazione Acqua guerriera, raccolta di reportage della giornalista friulana Elisa Cozzarini, in cui racconta le esperienze di comitati, attivisti, pescatori e produttori che vivono in simbiosi con il fiume Piave. Il volume esce per Ediciclo Nuova Dimensione (pp.144, euro 12,50), piccolo editore che negli ultimi anni ha affrontato in modo eccelso le problematiche legate all’ambiente in questo lembo d’Italia. Al tema l’autrice aveva già dedicato il documentario La piave nel 2013.
Il libro torna sugli stessi luoghi, esplorando modi di vivere i corsi d’acqua apparentemente in contrasto con quegli interessi economici che in pochi decenni hanno stravolto equilibri secolari in ecosistemi delicati. La Piave come metafora del nostro modo di rapportarci alle acque: artificializzata per il 90% del suo corso, intubata, deviata, utilizzata in modo eccessivo per scopi agricoli o energetici, riempita di rifiuti. Ma ridare centralità ai fiumi vuol dire modificare il nostro rapporto con quella che resta una risorsa, l’acqua.
Riscoprire la cultura dell’acqua (soprattutto nei luoghi della Serenissima) è la premessa per un turismo non invasivo, per una produzione di beni più rispettosa dell’ambiente, per la ridefinizione dell’identità collettiva che torna a legarsi a un territorio concreto e alle sue problematiche.
L’azione di comitati e associazioni poi, in molti casi, ha ispirato nuove forme di governance, in cui la partecipazione attiva dei cittadini si è posta come complementare al lavoro di chi governa questi territori. Percorso disseminato di ostacoli, ma in grado di apportare nuova linfa ad amministrazioni spesso a corto di idee e di finanze. Piccoli passi per un modello di civiltà sostenibile.