La proposta di legge di eddyburg sui principi di pianificazione del territorio è stata presentata e consegnata ufficialmente ai nostri rappresentanti parlamentari qualche giorno fa, il 28 giugno: atto iniziale di un cammino istituzionale che ci auguriamo non troppo dilatato nel tempo e contemporaneamente suggello di una prima intensa fase di elaborazione.
L’irreale clima artico della Sala delle Colonne della Camera dei Deputati è stato tuttavia mitigato dalla intensa partecipazione dei presenti, e dalla appassionata adesione registrata in tutti gli interventi le cui argomentazioni, nella loro ricchezza e profondità, hanno ancor meglio definito il contesto politico, sociale e istituzionale dal quale la proposta trae origine.
Gli autori della legge hanno più volte evidenziato su questo sito e in altre sedi quelli che sono i principi ispiratori e i numerosi elementi innovativi che caratterizzano il testo. Alle loro considerazioni, molto meglio argomentate, si rimanda in toto: le poche righe di questo commento derivano piuttosto dal desiderio di sottolineare alcune coincidenze temporali più o meno apparentemente casuali, ma spesso chiamiamo ‘caso’ ciò che i limiti della nostra intelligenza non riescono a decifrare.
Quasi ovvia risulta la prima coincidenza, legata alla genesi della legge stessa, la cui prima, ancor allusiva menzione compare nell’ eddytoriale n.87 del 12 aprile 2006, con il quale eddyburg celebrava la soffertissima vittoria elettorale.
Proprio nei mesi, nelle settimane che avevano preceduto quella data era stata avviata l’elaborazione vera e propria della legge stessa, sulla base di precedenti materiali: quando non appena sconfitta l’ipotesi prefigurata dalla legge Lupi, l’auspicio di una nuova stagione politica e culturale sembrava farsi sempre più concreto e con esso la possibilità di un’inversione di tendenza anche per quanto riguardava i temi del governo del territorio.
Come era scritto in quell’eddytoriale, appariva essenziale che il nuovo governo non si limitasse a nascondere i detriti del berlusconismo sotto il tappeto o peggio cercasse di inglobarne gli aspetti meno scopertamente eversivi e antidemocratici, ma si dedicasse, in primissima battuta, alla ricostruzione del sistema delle regole, smantellate o svilite da un quinquennio di decostruzione dello Stato e del pubblico.
In questa direzione la proposta di legge si poneva come un primo, concreto contributo. Ai cavalieri che fecero l’impresa (Berdini, De Lucia, Salzano, Scano, Storto, Tamburini) altri se ne sono aggiunti nel cammino. La stessa scrivente ne è stata coinvolta, in modo del tutto tangenziale, poco più che da lettrice partecipe o meglio da vicino di casa che aggiunge e sposta qualche virgola dal regolamento condominiale, un po’ indispettito perché si è sentito accessorio e marginale (ma noi dei beni culturali soffriamo da sempre della sindrome del parente povero).
Però ne rivendico la scelta del logo che la accompagna: i tre porcellini che costruiscono la loro casa di mattoni, rifugio finalmente solido e sicuro contro gli attacchi del famelico lupo Ezechiele, sempre pronto a tutto distruggere nella sua avidità insaziabile. Casa di mattoni/principi, la legge, destinati a fornire in primo luogo una barriera contro speculazione edilizia, degrado abitativo e rendita parassitaria.
Della prima versione, poi rielaborata, ho molto amato la lapidarietà del primo articolo, che recitava: “il territorio e le sue risorse sono patrimonio comune non negoziabile”. In questa icasticità programmatica che continua a costituire, anche nelle redazioni successive, lo stile del testo nel suo complesso, si voleva affermare che il principio della proprietà collettiva e condivisa del bene territorio non può, mai, essere oggetto di ‘negotium’.
A partire da tale principio cardine, gli altri a seguire: il rilancio della cultura della pianificazione come metodo di gestione del territorio e al contempo la sua titolarità pubblica, la necessità del contenimento del consumo di suolo, il diritto alla città e all’abitare, della partecipazione sociale ai processi pianificatori, figlia di un processo di trasparenza decisionale e di diffusione non effimera delle informazioni e molto altro ancora, come altri hanno meglio spiegato.
Ma il cambio di passo culturale e politico è evidente anche nel riallineamento complessivo che l’articolato opera su più fronti (consumo di suolo, recepimento delle normative Vas, partecipazione) alle direttive più aggiornate ed evolute che in sede comunitaria caratterizzano le tematiche del governo del territorio. Finalmente, dopo il provincialismo oscurantista della passata stagione politica, torniamo in Europa.
Del tutto casuale invece, sembrerebbe la seconda coincidenza temporale: la legge di eddyburg è stata presentata alle forze politiche dell’attuale maggioranza a pochi giorni dallo svolgimento del referendum sulla nostra Costituzione, dagli esiti così inaspettatamente perentori.
Il dibattito culturalmente più avveduto che ha accompagnato la campagna referendaria a favore del ‘no’ ha più volte sottolineato il valore ancora attualissimo della nostra Carta che, lungi dall’essere superata e passatista, si ispira a principi di inalterata modernità e, piuttosto, non ha ancora trovato una compiuta, consolidata attuazione nella legislazione successiva e nella pratica politica e sociale di questi decenni. Testo a forte connotazione ideologica, la nostra Costituzione è ispirata alla visione di un assetto istituzionale capace non solo di rappresentare, ma addirittura di guidare il mutamento sociale sulla base di intransigenti presupposti di uguaglianza e garanzia democratica.
Come ci ha lucidamente raccontato Mario Tronti, nel faticoso, incompiuto cammino in sessantanni di storia repubblicana, l’attuazione della nostra Carta ha conosciuto fasi alterne: a un primo arresto negli anni Cinquanta, è succeduto un periodo di ripresa, negli anni Sessanta, epoca di reale evoluzione sociale del paese. Negli anni Ottanta il nuovo momento di crisi: l’asse del discorso si sposta dalla rappresentanza alla governabilità e parte l’onda del revisionismo costituzionale che nel decennio successivo sfiora la crisi costituzionale, quando al governo arrivano forze anti e post-costituzionali e l’ossessione diviene quella di ridefinire l’assetto dei poteri. Percorso che appare del tutto parallelo allo svolgimento delle vicende urbanistiche italiane del dopoguerra, così come è raccontato in alcuni testi che gli autori della proposta di legge ben conoscono…
Anche alla luce di queste considerazioni, la legge di eddyburg si colloca in assoluta continuità con la nostra Carta Costituzionale, legge di principi anch’essa, nella quale si intendono indicare i fondamenti normativi di strumenti più aggiornati ed efficaci per il perseguimento di diritti vecchi e nuovi. Nell’articolo 4 si parla, appunto, di diritto alla città e all’abitare, quale nuova espressione dell’allargamento della sfera della dignità umana: diritto universale quant’altri mai e mai sufficientemente perseguito (addirittura il testo dell’articolo contiene un’inaspettata- anche se temo inconsapevole – citazione lacaniana in puro stile Zizek, laddove si parla di “godimento” delle risorse del territorio…).
Un’ultima coincidenza, infine, minimale: il giorno prima della presentazione romana è stato pubblicato per i tipi della BUR un piccolo prezioso libretto che contiene le riflessioni, tenute in una serie di lezioni magistrali svolte a Bologna, da parte di alcuni studiosi (Zagrebelsky e Canfora fra gli altri) a partire da alcuni famosissimi testi classici. Tema del ciclo di interventi: la legge sovrana – nomos basileus. Nel suo commento a Tertulliano, Luciano Canfora sottolinea la modernità del testo antico che per la prima volta prefigura l’idea che da nuovi bisogni nascono nuovi diritti, e dai nuovi diritti, nuove leggi. Dal canto suo Gustavo Zagrebelsky, rileggendo uno dei testi canone della nostra civiltà, l’Antigone, cita, fra gli altri, l’Euripide delle Supplici: “quando le leggi sono poste per iscritto, il povero e il ricco hanno pari giustizia, e il debole può ribattere a chi è potente, se viene offeso”.
In fondo, se qualche critico accuserà la legge di eddyburg di ispirarsi a vecchi principi, avrà colto nel segno più di quanto immagini…