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Furio Colombo
Noi e Berlusconi
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Un commento, dal l'Unità del 20 giugno, che ricorda alcune verità dimenticate spesso, anche a sinistra

Ci scusiamo con i lettori se parliamo ancora di Berlusconi. Ma, come vedete, lo dice lui stesso: «Abbiamo perso voti perché il capo del governo (lui parla sempre di sé in terza persona, senza ridere) è stato bersaglio di tutti gli attacchi e di tutte le aggressioni dell’opposizione e dei suoi media».

Berlusconi pone due problemi delicati a chi deve interpretare questa frase. Il primo è: di chi altro si dovrebbe parlare, visto che lui, Berlusconi attribuisce tutto a se stesso, compreso il blitz mai avvenuto per liberare gli ostaggi che attendevano in una stanza, con la porta aperta, come ci ha fatto vedere il filmato inviato dagli americani?

L’altro problema è: chi saranno i media dell’opposizione?

Sembra di intravedere il gesto che indica con realismo una flotta potente e bene armata. Vuole che i cittadini si rendano conto che lui, il leader Berlusconi, ha resistito bene all’assalto e va apprezzato perché quell’assalto era incontenibile e avrebbe piegato chiunque non fosse un gigante.

Spiace deludere Berlusconi e i suoi Bondi, e anche coloro che ti dicono che «tutto sommato Berlusconi ha tenuto». Ma è giusto dire che quella flotta siamo noi, il giornale che avete comprato e che state leggendo, noi contro tutta la Rai, contro tutta Mediaset, contro quella parte della editoria italiana che ogni volta che prova ad essere più libera perde un direttore, o riceve pesanti ammonimenti. E anche quando tenta di salvare il proprio decoro, ha a bordo agenti di governo detti opinionisti che rappresentano rigorosamente il governo e le spiegazioni e i “retroscena” che il governo desidera.

Sì, certo, non possiamo prenderci tutto il merito del diploma appena ricevuto dal presidente del Consiglio. Ci sono in campo, a sinistra in questa lotta politica, il Manifesto, Liberazione. C’è , unico fra i quotidiani detti “indipendenti”, la Repubblica , che resta un grande quotidiano europeo.

Ma noi siamo il “giornale strillato” verso il quale si è voltata con un po’ di sdegno anche qualche voce della sinistra che raccomandava i toni bassi. Li raccomandava in un Paese stretto nella presa mediatica di Bondi, di Cicchitto, di Schifani, di Vito, di La Russa, di Gasparri, con Previti e Taormina come supporto. Un Paese in cui Berlusconi ha aperto il ciclo di vita politica che stiamo vivendo con questo annuncio al Paese: «se vincono loro (la sinistra) gli italiani non voteranno mai più».

È l’annuncio di una battaglia senza quartiere contro nemici (la sinistra) che minacciano la libertà del Paese.

Noi non sappiamo dove sia nata la persuasione secondo cui dire con precisione, con chiarezza, con la dovuta reiterazione, il pericolo rappresentato da Berlusconi, dal suo conflitto di interessi, dalle sue pulsioni liberticide («Datemi il 51 per cento, e risolvo tutto. Con me stesso mi serve pochissimo tempo per discutere») sia “demonizzazione”.

L’argomento è caro a Sandro Bondi, uno che, sorpreso dall’ingresso di Berlusconi in una sala in cui stava parlando, si è rivolto al suo capo dicendo: «Scusi se parlo in sua presenza» (testimonianza di Vittorio Sgarbi all’ Unità). Ma perché avrebbe dovuto diventare un dibattito da sinistra, una accusa contro questo giornale?

Qualcuno ha mai accusato Robert Kennedy di demonizzare il presidente Johnson quando i due si contrapponevano sulla guerra in Vietnam, Kennedy denunciava quella guerra, e gli chiedeva ogni giorno quanti bambini aveva fatto morire?

L’argomento dei “toni bassi” veniva presentato così: smettetela di parlare di Berlusconi. Non si deve essere ossessionati da lui. Ci sono tanti altri argomenti che interessano gli italiani. È vero. Ma lui, Berlusconi, si è messo al centro di ogni argomento, vuole apparire l’organizzatore e anzi l’ideatore di tutto, viene trattato dai suoi colleghi di partito non come un leader democratico ma come un autocrate assoluto a cui si deve sempre dare ragione. E lui esige di avere ragione al punto di rifiutare ogni dibattito e incontro con chi potrebbe tentare di dargli torto.

È l’unico capo di governo in Europa che intende farsi rieleggere senza dibattito. Anzi, dichiara di voler cambiare la legge elettorale prima di andare al nuovo voto.

Esige di avere ragione al punto da apparire dovunque, in televisione e nei telegiornali, nelle trasmissioni minori e in quelle organizzate apposta per lui. E quando lui non c’è, i suoi sostenitori, che si comportano - lo sanno e lo possono testimoniare tutti i telespettatori italiani - come dipendenti di una azienda in cui non si sgarra, impediscono di parlare se si esprimono giudizi negativi su di lui o ci si discosta dalla scaletta di finta discussione che il finto conduttore, e leale sostenitore del capo, ha preparato.

Ci hanno detto che con la nostra ossessione di Berlusconi avremmo allontanato i moderati.

Adesso Berlusconi ha perso settecentomila preferenze e quattro milioni di voti, tutti moderati, si deve immaginare. E dice ad alta voce e solennemente che siamo stati noi. È evidente che molti, che lo avevano votato hanno soppesato il pro (tutti i canali tv, tutte le radio, gran parte dei giornali e la straordinaria e magistralmente diretta liberazione degli ostaggi) e il contro (giornali liberi e soli che non hanno mai smesso di parlare del conflitto di interessi anche a costo di restare senza pubblicità) e hanno detto: basta.

Adesso Berlusconi ci dà, sul campo, il riconoscimento, mentre altri ci hanno sgridato e inseguito con l’ammonizione a star buoni.

Per fortuna “star buoni” non è la vocazione di un giornale di opposizione (e forse di nessun giornale come dimostra il New York Times, che l’altro ieri ha ingiunto al presidente Bush di chiedere scusa al popolo americano per avere mentito in tutto sulle ragioni della guerra in Iraq).

La situazione italiana, comunque, era troppo grave per tacere. Il conflitto di interessi è una vergogna agli occhi del mondo, le leggi scansa processo sono una offesa al buon senso prima ancora che al diritto, la devastazione della Costituzione, i condoni, le leggi barbare e inapplicabili come la Bossi Fini sugli immigrati, e la legge Fini sugli spinelli dei ragazzi da incarcerare, sono una vasta distruzione della legalità.

Bisognava essere molto distratti, o molto assenti, per non essere ossessionati da Berlusconi, in questi quasi tre anni di rovinoso governo.

Quanto alle elezioni del 12-13 giugno, abbiamo vinto bene o solo così così? Abbiamo segnato l’inizio di un cambiamento o solo imposto una sosta al dilagare di Berlusconi?

Certo, a sinistra i Ds hanno ragione di essere orgogliosi, con una catena di vittorie nella conquista o riconquista delle città che fanno luce anche sul peso dei Ds nelle elezioni europee.

Certo, le liste a sinistra dei Ds hanno segnato i loro punti, e Rifondazione comunista più di tutti. La lezione sembra chiara: in un voto e nell’altro, più l’immagine è netta e bene identificabile nella linea politica e in quella del valore che rappresenta (dunque non cauta, smussata e sussurrata, ma espressa ad alta voce, e visibile a distanza) e più ne resta traccia sulla scheda elettorale.

Una cosa va detta di queste due prove elettorali: gli elettori non si lasciano confondere dal pasticcio continuamente tentato fra istituzioni e politica, per esempio quel continuo parlare di sé come “Capo del governo” di Berlusconi che vuol farti credere che quando attacchi il candidato Berlusconi screditi colui che rappresenta l’Italia e dunque sei contro tutto il Paese (a lui piace l’idea, che però gli va stretta, di essere l’Italia).

Gli elettori rispettano le istituzioni ma non le vogliono tirare in ballo, né permettere che vengano usate come una coperta, quando si deve discutere di una linea politica ed eventualmente bocciarla. Rispettano e ammirano le Forze Armate ma non le vogliono confondere con chi prende azzardate decisioni politiche internazionali, andando a cacciarsi nel momento sbagliato, nel tempo sbagliato, nella guerra sbagliata.

Gli elettori, a quanto pare, non apprezzano che chi prende simili decisioni corra poi a rifugiarsi dietro le Forze Armate sostenendo che chi critica la loro politica è nemico dei soldati. Sanno che dire “riforme” non è pronunciare una parola magica che qualifica come buoni e bravi coloro che ci lavorano.

Le riforme possono essere pessime e devastanti (come la legge giudiziaria del ministro Castelli), possono essere ad personam (come la legge che esenta il solo Berlusconi da ogni responsabilità giudiziaria), possono essere voto di scambio (la cosidetta devolution). O semplicemente indecenti, come la legge sulla procreazione assistita.

C’è chi continuerà a dire che i consensi si raccolgono al centro. Ma in queste elezioni (si vedano i risultati nelle città) è la parte più fortemente identificata dello schieramento che ha attratto il maggior numero di voti. E infatti decenni di esperienza nei Paesi a sistema maggioritario ti dicono che il fattore decisivo non è il centro ma la nitidezza e la vitalità delle parti che si confrontano. Si veda il caso dello sconosciuto Bill Clinton contro il peso elettorale ed economico di George Bush padre: vince colui che è più risoluto e più vivo.

Il centro abbandona il centro quando sente che il centro è vuoto. Quando si rende conto che aree di vitalità e di fatti nuovi si stanno creando altrove.

Ossessione di Berlusconi? È semplice realismo. Il PresDelCons aveva appena tentato di apparire l’autore di una operazione militare che non era mai avvenuta, aveva inondato di messaggi impropri i telefonino degli italiani, aveva tenuto un comizio politico mentre i seggi erano aperti, violando una legge elettorale che non era stata mai violata nei primi quarant’anni di democrazia italiana, aveva annunciato una grande vittoria, molto sopra il 25 per cento, e accusato i suoi avversari di «avere toccato il massimo della cialtroneria».

Il problema non è rispondergli con lo stesso linguaggio, agire nello stesso modo, adottare la stessa volgarità. Piuttosto è far notare ciò che è accaduto e mostrarne l’assurdità, l’illegalità, il ridicolo. I risultati ottenuti suggeriscono di non smettere proprio adesso

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