Su un tema di attualità ( urban sprawl o étalement urbain) per la ricerca urbana, a causa della dinamica manifestata da questo fenomeno in molte città, metropoli e magalopoli in tutto il mondo, questa opera collettiva si pone come una riflessione scientifica a favore del rilancio della pianificazione.
Anche se lo sguardo critico si rivolge all’Italia, il volume ha il merito di mettere in evidenza le specificità del fenomeno nei diversi contesti locali, sottolineando quindi che non esiste un modello di città che sia stato capace di arginare spontaneamente il processo di dispersione insediativa, ma che spetta agli attori pubblici e privati di farsi carico con preoccupazione di questa incessante diluizione dei tessuti insediativi.
Preceduta da un’introduzione di Edoardo Salzano che evidenzia in maniera esplicita la tesi avanzata nel volume, e cioè il riconoscimento delle consequenze nefaste della dispersione urbana e i rimedi suscettibili di contrastarle, la prima parte, a carattere descrittivo, fornisce un resoconto dei fenomeni indotti dal successo della città diffusa. Per gli autori si tratta di un vero e proprio fenomeno di « anarchia urbana ». Anche se l’Italia non dispone ancora di un osservatorio nazionale sul consumo di suolo ( che va a detrimento del paesaggio e del patrimonio forestale), alcune regioni italiane come ad esempio l’Emilia Romagna sono in grado di quantificarne la rilevanza: in questa regione la crescita del territorio urbanizzato è stata del 73% fra il 1976 e il 1994 e del 52% nel decennio 1994-2003. Dunque negli ultimi trent’anni, la crescita è stata del 163%: una nuova regione urbanizzata e mezza che è venuta ad aggiungersi nel corso del tempo a quella preesistente.
La seconda parte ha un carattere più normativo come evidenzia chiaramente il primo capitolo (curato da Maria Cristina Gibelli) sui costi collettivi della dispersione urbana e sugli strumenti di pianificazione che potrebbero anticiparla e prevenirla.
L’analisi in questa parte del volume si basa anch’essa prevalentemente su esempi di città italiane, ma il riferimento è anche a ricerche europee (soprattutto francesi) e americane, come ampiamente evidenziato nelle bibliografie.
Al volume è allegata in appendice la proposta di legge (2006) dell’associazione Eddyburg, molto impegnata a combattere la dispersione insediativa. L’associazione dispone di un sito internet (eddyburg.it) che è mediamente visitato da 100.000 accessi al mese.
L’interesse di questa opera è plurimo. Le analisi esplicative sulla dispersione insediativa manifestatasi negli ultimi tre decenni ne attribuiscono in primo luogo la responsabilità all’assenza di una legge urbanistica nazionale aggiornata (la legge vigente risale al 1942) in una situazione in cui, con il supporto di molte leggi urbanistiche regionali, i comuni beneficiano di margini di autonomia sempre più ampi nel concedere i permessi di costruire. Gli autori deplorano una situazione generale di crescente “ laissez-faire”, particolarmente acuta nella regione Lombardia o ancora nel territorio del comune di Roma dove il paesaggio rurale sembra destinato ad essere annullato sotto l’invasione delle lottizzazioni.
Nel saggio di Piero Cavalcoli si evidenzia invece la lungimiranza della Provincia di Bologna che si propone di porre sotto controllo il fenomeno attraverso una strategia fondata sul policentrismo e la « diffusione concentrata ». Questa regione sta anche promuovendo l’associazionismo volontario intercomunale, sperimentando altresì un modello di compensazione territoriale fra i comuni associati.
La specificità dell’opera collettiva curata da Gibelli e Salzano risiede tuttavia non tanto nella semplice constatazione delle dispersione urbana, un fenomeno che molti paesi stanno subendo, quanto nella esplicita presa di posizione a favore di un rilancio della pianificazione e di una azione pubblica in difesa del territorio non urbanizzato. Questa posizione non raccoglie un consenso generalizzato: anzi, è criticata da molti amministratori locali, urbanisti e persino ricercatori che stanno delegittimando in maniera radicale le ragioni del piano poiché esso rischia di perturbare la dinamica immobiliare. Quella che è comunque una precisa scelta culturale del volume è corroborata delle preoccupazioni crescenti di cittadini e comitati di cittadini che sempre più si stanno organizzando a livello locale. L’esempio più noto è quello del conflitto fra promotori immobiliari e abitanti a proposito di una lottizzazione a villette nella Val d’Orcia in Toscana. Gli abitanti si sono organizzati per proteggere il borgo storico di Monticchiello e le loro iniziative hanno avuto una risonanza molto ampia da parte dei media e dalla stampa quotidiana che hanno denunciato la debolezza dello stato e l’inerzia delle regioni e dei comuni nell’utilizzare gli strumenti di cui potrebbero disporre.
I lettori potranno anche verificare la capacità degli autori (urbanisti e ricercatori) di inserire le loro riflessioni in una prospettiva storica. Per gli autori lo sprawl (il termine utilizzato dai ricercatori e dai mezzi di comunicazione anglo-americani) costituisce non soltanto una minaccia per il patrimonio urbano e rurale, ma per i fondamenti stessi della storia della città in Italia e in Europa. Se infatti l’urbanizzazione a “bassa densità” si iscrive nella continuità dell’esperienza urbana di alcuni paesi (come gli Stati Uniti), non è questo certamente il caso dell’Italia. Questo riferimento alla dimensione di lungo periodo – mentre generalmente i ricercatori e gli urbanisti di questo inizio del nuovo secolo hanno molte difficoltà a conciliare tecnica e storia- ha significative convergenze con le idee difese nel volume collettivo La ville insoutenable[1] dove è pubblicato anche una saggio di Maria Cristina Gibelli.
No sprawl è un’opera di cui si raccomanda la lettura a tutti coloro che si interrogano sulla opportunità a medio termine della dispersione urbana, ma presenta un interesse anche per tutti coloro che continuano a dubitare della opportunità dell’intervento pubblico nella gestione spaziale delle città e delle campagne in una fase in cui la tematica dello Sviluppo Sostenibile si inscrive invece progressivamente nel sentire comune.
[1] .A. Berque, Ph. Bonnin et C. Ghorra-Gobin (ed.) La ville insoutenable, Paris, Belin, 2006.