Il giorno dopo i riot di Milano, il "movimento" si interroga su come gestire una delle fasi più delicate degli ultimi anni. Con la consapevolezza che d'ora in avanti bisognerà ragionare su come gestire la piazza senza trascurare il nodo del consenso». Il manifesto, 3 maggio 2015
Toc toc, c’è nessuno? Silenzio. Il giorno dopo tutto tace, tutti tacciono. Ha bisogno di tempi più lunghi la metabolizzazione di una bella botta che costringe tutti ad un’autocritica senza peli sulla lingua per cercare di rimettersi in piedi. La riflessione collettiva è appena cominciata, ma ancora solo a microfoni spenti. Comprensibile. Anche se un po’ stupisce questo silenzio visto che le “cose” attorno cui il “movimento” si trova costretto a ragionare erano già state ampiamente previste. Da tutti, nel dettaglio. Rispettiamo i tempi un po’ troppo analogici delle liturgie assembleari.
Dopo il primo vero “riot” della modernità che ha sconvolto la giornata inaugurale dell’Expo - piaccia o meno anche queste pratiche di piazza rientrano nelle sgradevolezze della globalizzazione - sul tavolo rimangono alcuni nodi da sciogliere piuttosto ingarbugliati. Per il cosiddetto “movimento”, naturalmente, ma anche per coloro che a caldo non sanno andare oltre la prevedibile indignazione di rito, un altro modo per non interrogarsi sul problema reale con cui prima o poi bisognerà fare i conti (quella che si autoproclama l’altra Milano, in testa il sindaco Giuliano Pisapia, oggi si ritrova in piazza Cadorna per ripulire la città sfregiata). Gli altri, quelli che non possono accontentarsi dell’analisi “sono tutti delinquenti”, sono invece costretti a fare uno sforzo in più. Operazione non facile per chi è direttamente coinvolto nella gestione della MayDay, dove qualcosa evidentemente non ha funzionato come doveva.
In sintesi. Il cosiddetto “blocco nero” era dentro il corteo (uno degli spezzoni più numerosi) in mezzo agli spezzoni più “ragionevoli”. La piazza milanese - come nessun’altra piazza antagonista - non ha avuto e non ha la forza politica e “militare” per limitarne la presenza. Il conflitto sempre più aspro espresso ieri, a tratti disperato e senza prospettive, sta diventando la cifra di ogni manifestazione “contro”. Ad Amburgo, Francoforte, Bruxelles, adesso anche Milano: benvenuti in Europa. Dunque, si può convivere con leggerezza con chi non accetta mediazioni e scende in piazza solo per spaccare tutto? Evidentemente no, ma sul che fare è ancora buio pesto per gli antagonisti che contestano il modello Expo. Di sicuro, a leccarsi le ferite, è rimasto un “movimento” che rischia di non avere più spazi di agibilità per lungo tempo. Ma il problema del consenso prima o poi bisognerà affrontarlo, anche perché mai come in questo momento tutti sono contro - si fa per generalizzare - quei cattivi dei “centri sociali”. Chi invece abbozza analisi non scontate che rischiano di essere tacciate di “fiancheggiamento” al blocco nero (ce ne sono) oggi non ha la forza di uscire allo scoperto. Prima o poi potrebbe arrivare la buriana: ieri 15 persone sono state portate in questura, e i cinque arrestati rischiano fino a quindici anni di carcere per “devastazione”.
I primi a ragionare “nero su bianco” (il comunicato) sono i più coraggiosi nell’analisi. Con toni e accenti diversi tra loro. Prendiamo l’area di Infoaut, il punto di vista più articolato. Il corteo del primo maggio, scrivono, «è la prima grande protesta contro Renzi e il suo modello di sviluppo, e così verrà ricordata». Sulla questione che più indigna, “il metodo”, questo il ragionamento: «Spaccare utilitarie o vetrine a caso è un gesto idiota che ha senso soltanto per chi assume come referente del suo agire politico il proprio micro-milieu ombelicale». Ma il punto è: «Con quel modo di stare in piazza bisogna fare i conti e nessuna struttura organizzata è in grado di esercitare una forza di controllo». Il che significa: «Quella rabbia, quella composizione, quei soggetti sono affare nostro e vogliamo averci a che fare, con tutte le difficoltà del caso. Chi se ne tira fuori - per calcolo, paura o presunta superiorità politico-morale - sta tracciando un solco tra gli alfabetizzati della politica e gli impoveriti ed arrabbiati». Il nodo del “consenso”, esiste, scrive Infoaut, ma non porsi il problema di come dare un senso a quella rabbia è un grosso errore. Non solo per il movimento.
Militant.blog vuole precisare che non c’è un corteo buono e uno cattivo, anche se la rabbia del primo maggio non è stata espressa nel migliore dei modi. Il problema, scrivono, «non è lo scontro e la devastazione» ma «è come creare consenso attorno a pratiche conflittuali». Ripartire da qui è il punto, «tornando a fare politica, cioè costruendo un discorso conflittuale che vada di pari passo al sentire comune della classe. Senza accelerazioni inutili o altrettanto inutili attendismi». Sul sito di Milanoinmovimento (una delle realtà più “dentro” alla costruzione della MayDay) si legge un primo abbozzo di autocritica: non avrebbero voluto un corteo così. Il timore è che arresti e repressione impediscano anche di ragionare, perché «anni di lavoro sui contenuti oggi sono stati letteralmente spazzati dalla scena pubblica». Il punto è che «continuiamo a non essere capaci di costruire connessione sentimentale con quei pezzi del paese e della società che dobbiamo invece imparare a capire e coinvolgere nelle battaglie che o sono massa o sono condannate all’irrilevanza». Vero. Le riflessioni dunque sono appena cominciate, la Rete No Expo deve ancora esprimersi e probabilmente lo farà dopo l’assemblea di oggi pomeriggio. Ma a poche ore dal disastro sembra che qualcosa stia già ricominciando a muoversi.