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Ettore Boffano
"No alla corsa alle manette così si alimenta la paura"
6 Settembre 2007
Articoli del 2007
In un’intervista a Giancarlo Caselli alcune verità su una questione che vede il centro (sinistra) rincorrere la destra. Per un pugno di voti. La Repubblica 6 settembre 2007

TORINO - Dottor Giancarlo Caselli, lei oggi è il procuratore generale del Piemonte, ma in passato si è occupato di terrorismo e di mafia. Che cosa pensa del clamore odierno attorno ai temi della sicurezza? È d´accordo con gli annunci che giungono in queste ore dal governo?

«No, non sono del tutto d´accordo».

E perché?

«È vero, in 40 anni da magistrato ho fatto tanti mestieri: sono stato anche responsabile di tutte le carceri, ho lavorato ad Eurojust per combattere la criminalità internazionale e ho presieduto una corte d´assise dove si condannano gli assassini. Posso dire, dunque, che conosco bene il problema della sicurezza e che essa mi sta a cuore. Ma non credo che la soluzione ai suoi problemi sia solo la rincorsa alle manette. C´è una questione di coerenza politica, prima di tutto».

Beh, cominciamo da politica e coerenza. Che cosa vuol dire?

«Io, è noto, vado spesso in giro per dibattiti e nelle scuole, proprio a parlare di legalità: da un po´ di tempo sento di essere fuori moda. È il frutto di un lustro di storia italiana, quello che coincide con la passata legislatura. Per anni, si è fatto intendere che le regole vanno bene sino a quando le si proclamano, poi diventa subito bravo chi sa aggirarle meglio. È l´Italia dei condoni, delle leggi ad personam per sottrarsi ai processi, del "così fan tutti". Dopo, quelli che sono i più tolleranti con se stessi, invocano la tolleranza zero per gli altri, che a loro volta sono sempre gli stessi...».

Di chi parla?

«I più deboli, i diversi, ma anche i cittadini "comuni". Il nostro sistema di legalità ha due codici: quello per i galantuomini a prescindere, per censo; subito dopo quello che vale invece per tutti gli altri. Con in mezzo gli eterni problemi della giustizia. La lentezza dei processi soprattutto, che per i primi costituisce la salvezza dalle condanne e per gli altri una punizione in più».

Il ministro Amato definirebbe questi suoi discorsi sui «diversi» come «sociologia d´accatto». Vuol provare a rispondergli?

«Guardi, io non faccio il sociologo. Lo ripeto: penso di poter parlare di legalità avendone titolo come magistrato penale da 40 anni. E non condivido neppure quella definizione secondo cui la sicurezza «non è né di destra né di sinistra». È un modo di dire che ci offende: noi che, per anni, siamo stati chiamati giustizialisti e "toghe rosse" proprio perché volevamo difendere la legalità. Un tempo la sinistra era considerata sinonimo di garantismo e la destra di ordine. Ora, invece, c´è un´inversione deformante di tutto questo, con chi chiede privilegi per sé e nessuna tolleranza per gli altri».

Ma oggi la maggioranza di governo, dopo quel lustro, è cambiata. Continua ad essere critico?

«Faccio fatica a orientarmi, le differenze politiche si stanno affievolendo. Si fa a gara nell´appiattirsi sulle posizioni con venature populistiche, ad accantonare ad esempio la difesa dei diritti sociali nel nome supremo della sicurezza, ad assecondare le paure e le insicurezze della gente e le sue percezioni esasperate».

Che cosa dovrebbe fare allora la politica?

«Arginare le paure e le insicurezze, far comprendere ai cittadini che spesso esse sono esagerate. Non confondere i diversi temi e i diversi problemi della legalità. Invece vedo una trasversalità politica nel compiacere un´opinione pubblica sempre più arrabbiata, perdendo di vista la complessità della realtà».

Facciamo qualche esempio?

«Ragioniamo sui lavavetri o sui posteggiatori abusivi e persino sui graffitari. È gente che, se non compie atti violenti, non commette alcun reato. Pensare alle manette per cancellarli dalla città è un assurdo giuridico e anche un´illusione. Su questi temi leggo molta confusione».

In che senso?

«Si mettono assieme problemi molto diversi tra loro: la criminalità organizzata, la criminalità comune, la microcriminalità e persino comportamenti che non sono criminali. Non voglio giudicare i provvedimenti annunciati dal governo, perché non sono ancora concreti, ma vi scorgo il pericolo che siano non una serie di interventi mirati, ma un gran calderone».

Ma il magistrato Caselli, l´uomo che ha attraversato tutti gli scenari della lotta al crimine, che cosa suggerisce allora?

«Che reprimere non basta: le risposte devono essere anche altre. Quanto al funzionamento della giustizia, bisognerebbe cominciare prima dalla certezza della pena e dalla durata smisurata dei processi. Non è possibile che in Inghilterra il primo grado di un processo penale duri pochi mesi e in Spagna solo un anno, mentre da noi si va dai 4 ai 6 anni. Si tratta di offrire più soldi alla giustizia, di distribuire meglio le risorse là dove sono più necessarie e di snellire le procedure cancellando i cavilli travestiti da garanzie».

Un esempio da imitare?

«Non voglio fare il campanilista, ma direi proprio Torino. Saranno state le Olimpiadi, sarà stato l´impegno di tutti, ma ora è davvero una bella città. C´erano luoghi poco vivibili e oggi sono quelli dell´aggregazione cittadina. Ce ne sono purtroppo altri con ancora dei problemi, ma importante è la valutazione complessiva. Noi abbiamo un modo di dire, anche quando i problemi esistono, che penso non abbia bisogno di traduzioni: "esageruma nen". Vuol dire agire senza toni apocalittici».

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