Ora che il Niger viene indicato come la prossima frontiera esterna dell’Unione europea, non passa mese che un leader o un sotto-leader europeo non si rechi nella caldo-umida Niamey o al più nell’infuocata Agadez: l’ultimo in ordine di tempo è il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, appena rientrato dal viaggio con al seguito una trentina di imprenditori europei. E anche Tajani ha voluto visitare Agadez oltre alla capitale.
L’antico caravanserraglio schiavistico, poi avamposto coloniale francese ai bordi del Sahara, da dove provenivano fino a due anni fa il 90 per cento dei migranti subsahariani diretti in Libia e da lì in Europa, è oggi una città caotica – nei racconti di chi la vive – e strapiena di presenze occidentali, anche di militari – in particolare provenienti dalla vicina base di droni americana costata secondo il New York Times 110 milioni di dollari, che ospita oltre 800 «berretti verdi» e da cui partono i comandi dei raid aerei anti-Isis in Libia.
Ma soprattutto è piena di ambasciate, rappresentanze di agenzie dell’Onu e della Ue. E sono in fase di ultimazione i lavori per la costruzione di due nuovi compound per le sedi diplomatiche di Arabia Saudita e Stati Uniti grandi come interi isolati e sormontate da alte mura con garitte alla maniera di quelle di Kabul o Baghdad.
Tajani naturalmente ha incontrato e stretto la mano al presidente del Niger, l’intramontabile Mahamadou Issaufou – siede alla presidenza dal 2011 ma in precedenza è stato primo ministro dal 1993, presidente del Parlamento e capo dell’opposizione in un periodo di frequenti colpi di Stato – che per l’occasione si è fatto trovare in patria. Pare che non sia così frequente, che preferisca soggiornare all’estero, tanto che il soprannome che gli viene appioppato è «Rimbo», dal nome della più famosa compagnia nigerina di autobus transfrontalieri, per altro di proprietà del suo amico personale e politico Mohamed Rhissa Ali, segnalato nei Panama Papers per aver investito gran parte della sua fortuna alle Seychelles, il più vicino paradiso fiscale.
Il Niger totalizza un certo numero di record: è uno dei paesi più poveri al mondo, una persona su dieci è affetta da malnutrizione grave secondo il Programma alimentare mondiale: 2,3 milioni di persone bisognose di aiuti Pam, con un aumento del 21% rispetto al 2017 e il governo calcola che altri 1,4 milioni di nigerini saranno colpiti da insicurezza alimentare nel corso della carestia attualmente in atto. I vertiginosi rincari di riso e zucchero hanno già provocato manifestazioni e tumulti questa primavera, dopo i quali gran parte dei leader della società civile sono stati arrestati.
Contemporaneamente è uno dei paesi con più corruzione al mondo: è al 112 posto nella lista di 180 paesi in base agli indici dell’ong Trasparency international. E infine, più di recente, è diventato il Paese destinatario della maggior percentuale di aiuti della Ue pro capite al mondo. Il fondo europeo di sviluppo ha stanziato per il ciclo 2014-2020 731 milioni di dollari per il Niger, ai quali se ne sono aggiunti prima altri 108 milioni, poi altri 30 per l’assistenza ai profughi nella regione del Diffa e altri ancora sono stati promessi nei giorni scorsi da Tajani, anche se per il momento il presidente del Parlamento di Strasburgo ha preferito non evocare cifre esatte, quanto piuttosto affari.
Tajani ha parlato espressamente della collaborazione con le autorità nigerine come di «un modello che dobbiamo estendere ad altri paesi del Sahel seguendo l’esempio della Turchia dove abbiamo impegnato 6 miliardi di euro per chiudere la rotta balcanica». E si è portato in delegazione, oltre ai trenta «uomini d’affari interessati ad investire in Niger» attraverso una «partnership vantaggiosa», anche i dirigenti della Banca europea per gli investimenti.
Il presidente Issoufou ha annunciato che entro l’anno convocherà una conferenza sugli investimenti prioritari pubblici e privati in favore della forza, anche armata, del G5 Sahel – che oltre al Niger comprende Mali, Mauritania, Ciad e Burkina Faso – cioè il cartello di Stati del Sahel a cooperazione rafforzata che hanno appena ricevuto quasi mezzo miliardo di dollari (414 milioni) di donazioni internazionali – tra Usa, Ue, Canada e Giappone – per finanziare addestramento e forniture militari alla nascente forza militare regionale che dovrebbe stabilizzare l’area. È a sostegno di questa forza del G5 Sahel che l’ex governo Gentiloni ha voluto inviare 479 soldati italiani di cui grazie ad un rocambolesco scaricabarile delle autorità di Niamey si sono quasi perse le tracce. Da notare che a fianco degli eserciti del G5 Sahel ci sono già i 4 mila soldati francesi dell’operazione Barkhane.
Antonio Tajani, arrivato con il compito di «rafforzare la cooperazione strategica», anche «per il ruolo chiave che il Niger sta avendo nel ridurre drasticamente i flussi di migranti irregolari verso la Libia e l’Europa», ha tratteggiato la possibilità di investimenti e trasferimenti tecnologici in vari settori, dall’agricoltura alle energie rinnovabili, ma soprattutto traffico aereo e controllo delle frontiere, attraverso l’impiego dei sistemi satellitari Galileo e Copernicus.
Quanto al «modello Niger » tanto decantato da Tajani, oltre che sulle due basi occidentali di droni, fa leva sulla legge nigerina numero 36 che ha reso illegale ai cittadini stranieri viaggiare a nord di Agadez verso il deserto, cioè lungo le piste più battute perché costellate di pozzi e oasi. Non sono molti i migranti che le guardie nigerine intercettano, solo 7 mila rimandati indietro nel 2017, mentre nel frattempo la corruzione per far chiudere un occhio ai gendarmi ha fatto lievitare i costi dei viaggi verso la Libia e reso la traversata del deserto molto più pericolosa, spesso mortale, come denuncia il reportage apparso su Africa Report di Daniel Howden e Giacomo Zandonini.
I costi proibitivi e i rischi di morte hanno contribuito a far passare quest’anno da 300 mila a soli 10 mila i migranti in transito da Agadez. Ma altri varchi esistono per i passeurs Touareg e Tebu, come ad Arlit al confine con il Marocco e a Seguedine, dove si sono verificate recentemente le maggiori stragi nel deserto.
Le strategie di respingimento europee hanno fatto già triplicare negli ultimi tre mesi i migranti chiusi nei centri di detenzione libici, da 5 mila a 9.300, secondo l’ultima stima dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e hanno portato le morti in mare a un migrante ogni sette imbarcati. Ma ciò che conta è che le commesse militari, per il monitoraggio delle frontiere e per le agenzie al servizio di questa politica, continuano a maglie sempre più larghe.