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Renato Nicolini
Nichi non basta, ci vuole un progetto
2 Agosto 2010
Articoli del 2010
Il buon senso non è molto diffuso in questi tempi, nè le parole semplici e chiare. Salutiamo gli uni e le altre. il manifesto, 1 agosto 2010

Anche il 25 luglio è passato,ma senza regalarci una sorpresa come quella del 1943. Nonostante il berlusconismo si stia squagliando piuttosto indecentemente. Scaiola, Lunardi, Brancher, Cosentino, Dell’Utri, Bertolaso… Le donne di Papi, l’eolico, la cricca e i massaggi, le dichiarazioni di Ciancimino jr. e Spatuzza, il patteggiamento con lamafia al tempo delle stragi… All’Aquila sono state costruite diciannove new towns tre volte antisismiche, deturpandone irreversibilmente la bellezza paesaggistica al costo di costruzione più alto del mondo, mentre il centro storico, uno dei monumenti importanti d’Italia, è stato abbandonato al destino sancito dal sisma, un mucchio di rovine esposte al vento, al sole, alla pioggia. Regioni e Comuni sono contro la manovra finanziaria. La Fiat licenzia a Termini Imerese e Pomigliano, e delocalizza in Serbia. La disoccupazione giovanile presenta percentuali a due cifre. I tagli rischiano di mettere in ginocchio scuola, Università e sistema sanitario pubblico. Spazio pubblico, interesse pubblico, servizi pubblici; autonomia della cultura, dell’insegnamento e della ricerca; libertà di stampa, di opinione e di espressione artistica sono parole quasi fuori uso.

Berlusconi è al culmine del conflitto d’interessi: occupa da più di due mesi il Ministero per lo Sviluppo economico, che dovrebbe stipulare il nuovo contratto di servizio con la Rai. La misura del prestigio internazionale dell’Italia è data dalle relazioni privilegiate che abbiamo: con la Libia di Geddafi e la Russia di Putin. Il 25 luglio il fascismo non sarebbe caduto, senza l’impatto devastante del bombardamento di San Lorenzo del 19 luglio. E senza l’altro bombardamento di Roma del 24 agosto non ci sarebbe stato l’8 settembre. Oggi non siamo in guerra, ma non c’è mobilitazione politica. Senza battaglia d’opposizione, anche un governo in agonia può durare per sempre. Siamo arrivati al punto che le sorti delle battaglie parlamentari sembrano affidate più alle mosse di Fini, Bongiorno, Granata e Bocchino che a quelle di Bersani o di Di Pietro. Con almanacchi del futuro che spaziano fino ai governissimi, con tanto di formule con o senza Berlusconi. Astrologia e logica alla Don Ferrante, che le usava per non vedere il presente, per non riconoscere la realtà della peste.

Voglio dichiarare tutta la mia simpatia per le «Fabbriche» di Nichi, voglio partecipare alla sua battaglia, ma forse la sinistra non ha bisogno di un leader quanto di un progetto. Vendola da solo non basta se non si compiono chiare scelte di programma. Sia Prodi che Veltroni hanno insistito sull’importanza del programma, ma nella direzione sbagliata, quello di un fragile liberismo di sinistra per di più largamente immaginario. Le liberalizzazioni di Bersani, il «tre più due» spacciato come modello universitario europeo da Luigi Berlinguer, la riforma Bassanini che ha aperto la strada ai contratti privati nel pubblico impiego. Le lenti rosee dei nostri libero sinistri ha impedito loro di prevedere che ne avrebbe usufruito Mario Resca per trasformare il concetto di valorizzazione dei beni culturali in una grottesca insalata turistico-mercantile. In Italia occorre capacità di governo. Con leggerezza, naturalmente: perché quello che dobbiamo progettare non né la crescita industriale né la crescita edilizia, ma la diversa collocazione del nostro paese nel sistema internazionale.

Nel mondo globale, dell’Italia vale soprattutto quello che può mettere in moto la fabbrica dell’immaginazione e i consumi immateriali. Quindi, quello che resta del paesaggio, dei beni culturali e della nostra cultura. Non c’è da costruire ma da restaurare e sostituire, perdendo quantità a favore della qualità. C’è da smettere di guardare dal buco della serratura - come ci propone tutto l’armamentario della tv Rainvest, da Amici al Grande Fratello a Chi? - e ritrovare l’audacia dell’immaginazione creativa. Anche in politica: penso ad una legge come la «285» di Tina Anselmi ed al ruolo fondamentale che ha svolto all’inizio degli anni Ottanta, nell’allora nuovo intervento culturale degli Enti locali. Una mentalità dell’intervento pubblico che sostituisca la cura e la precisione del progetto alla logica della grande opera e dell’intervento speciale. La scelta netta, senza ambiguità di priorità come lavoro, istruzione, ricerca, cultura, innovazione, ambiente, messa in sicurezza del territorio, restauro del paesaggio.

Occorre un progetto coraggioso in cui la maggioranza del paese, che sta soffrendo l’agonia del berlusconismo, possa riconoscersi.

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