. Opere filosofiche, teologiche e matematiche di Niccolò Cusano ( Bompiani, a cura di E. Peroli). la Repubblica, 8 aprile 2017 (c.m.c.)
La grandezza di Niccolò Cusano (1401-1464) continua a essere stupefacente nonostante la si debba disseppellire di sotto una immensa montagna di letteratura accademica in tutto il mondo, che ne analizza singoli aspetti: la cosmologia che anticipa la rivoluzione copernicana, la “teologia negativa”, l’epistemologia, gli scritti matematici, il suo ruolo politico, nella storia della Chiesa, degli Imperi di Occidente e d’Oriente, nel tentativo di ricomporre gli scismi hussiti e ortodosso. Su Google-scholar, il motore che tiene il conto delle citazioni in bibliografia e dove compare come Nicholas of Cues, ma anche come Nikolaus von Kues, come Cusanus e in altri modi ancora, raggiunge circa centomila ricorrenze. Segno di una attenzione che si sta risvegliando e di cui la pubblicazione delle opere complete in italiano (a cura di Enrico Peroli con testo latino a fronte), per Bompiani, è una conferma. Impresa editoriale coraggiosa e utile.
Per noi vecchi amici del Cusano la caccia ai singoli scritti in italiano era faticosa, sparsi come sono tra vari cataloghi e a volte introvabili, tanto da dover ricorrere a traduzioni in altre lingue. Lui scriveva comunque in latino. E predicava in tedesco. Certo conosceva anche l’italiano avendo studiato legge a Padova, con grandissimo profitto, perché è anche per il suo acume di doctor decretorum che percorre una impressionante carriera fino ai vertici di un Papato diviso tra conciliaristi e lealisti. Fu legato personalmente a ben quattro pontefici. Di Pio II, Enea Silvio Piccolomini, fu amico intimo e con lui (e altri dell’élite cristiana del tempo) condivise audaci teorie sulla possibile unicità della religione nella pluralità dei riti e degli accidenti umani. Gli assegnarono la prestigiosa San Pietro in Vincoli a Roma, dove c’è tuttora la tomba che ne custodisce il corpo. Non il cuore, che è rimasto a Kues (oggi Bernkastel- Kues), su una sponda della Mosella, nel complesso della fondazione dove funzionano ancora oggi, da lui istituiti, un ospizio e una libreria con molti suoi manoscritti.
Come ha potuto conquistare un posto così grande nella storia delle idee? Per rispondere adeguatamente ci vorrebbe un intero corso di filosofia come quelli di Giovanni Santinello, scomparso nel 2003 (ha dedicato a Cusano una Introduzione per Laterza). Oppure il libro di Ernst Cassirer, che lo ha consacrato come il maggiore pensatore del Quattrocento nel suo classico Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, spiegando come questo singolare filosofo e teologo anticipasse la prospettiva trascendentale di Kant. L’insieme delle opere lascia ora cogliere bene l’unità del suo pensiero: Cusano sviluppa sempre un unico tema fondamentale a partire da un’unica intuizione che gli si presentò chiara nel 1438, durante una sosta in un’isola greca nel ritorno da Costantinopoli a Venezia: noi non possiederemo mai su questa terra la verità di tutte le cose, la nostra migliore conquista è una ignoranza ben coltivata.
Stava tornando da una missione nella capitale dell’Impero d’Oriente. L’obiettivo era duplice: ricucire lo scisma e portare l’imperatore e il patriarca a sostegno del pontefice nel concilio di Basilea, per scongiurare nuove fratture a occidente. Nella capitale cristiana sul Bosforo già minacciata dalle armate musulmane turche, Niccolò aveva trascorso mesi nel ricomporre con successo la disputa teologica sul filioque, ma ora l’intuizione fondamentale diceva di più: che ogni tentativo umano di possedere la verità ultima su Dio, su suo figlio o sullo Spirito Santo, appariva destinata a fallire, dunque vana e in certo senso ridicola, perché l’intelletto umano non può accedere a una conoscenza “precisa”, vale a dire completa, né di Dio né delle cose del mondo.
Su Dio non avremo più di una “dotta ignoranza” perché « finiti ad infinitum nulla est proportio », non c’è alcuna proporzione del finito con l’infinito. Ma il nucleo della intuizione che nasce dalla riflessione su Dio e sul mistero dell’universo si estende sull’intera conoscenza umana. Quel che l’intelletto umano può è solo una approssimazione congetturale. Noi siamo esseri « in conjecturas ambulantes ». L’autore del De docta ignorantia non lo dice da spirito rinunciatario, ma con tutta la forza della sua intelligenza scientifica, geometrica e matematica. Proprio come in Kant, l’arrestarsi prima del limite di una compiuta verità (e vale per “la cosa in sé” quel che vale per Dio) è premessa al dispiegarsi di una mentalità scientifica e di una esistenza morale. Il sapere di non sapere, la perenne fallibilità umana sono la cornice di un pensiero aperto alla smentita e alla falsificazione. Un atteggiamento che entusiasmava Karl Popper che vedeva in quella “intuizione” di Cusano la porta che si apriva sul cammino della moderna tolleranza, lungo una via su cui avremmo trovato Erasmo, Montaigne, Locke e Voltaire.
Cusano è consapevole della sua “audacia”. Il rigore con cui descrive attraverso immagini geometriche – il triangolo infinito o il celebre poligono che, per quanto si aumenti il numero di lati, non si identificherà mai con una circonferenza – lo sforzo umano di avvicinamento alla visione della verità massima è al limite dell’eresia perché è carico di conseguenze. Il messaggio cruciale delle opere teologiche, La visione di Dio, La ricerca di Dio, Il Dio
nascosto, La filiazione di Dio, è sempre lo stesso: se nessuno possiede una compiuta verità, le verità a disposizione si relativizzano e le differenze tra una dottrina religiosa perdono un po’ della loro importanza. Nessuna teologia può pretendere di prevalere legittimandosi come superiore. E ancora di più: «Né parla con maggior verità chi afferma che Dio è tutte le cose rispetto a chi, al contrario, sostiene che Dio è nulla o che Dio non è affatto».
Peccato che non compaia in questo primo volume La pace della fede. Si tratta dell’opera in cui, subito dopo la caduta e il massacro di Costantinopoli ad opera dei Turchi, Cusano descrive il sogno di un congresso celeste in cui Dio stesso legittima l’idea che vi sia una unica religione « in varietate rituum », non dunque una sola “vera” (come decretato da Agostino). Si affacciava qui in Cusano l’idea che nella loro molteplicità e varietà le religioni fossero “complementari” (eccola la parola tanto esecrata ancora nel 2000 dal cardinale Ratzinger) nel disegno divino. Un tema tornato, in forme meno radicali, con il Concilio Vaticano II (“i semi di verità” nelle altre religioni) e negli sviluppi del dialogo interreligioso. Aveva certo ragione Urs von Balthasar, il teologo conciliarista, quando scrisse che la mossa di Cusano fu così «avventurosa che ci si può soltanto sorprendere che non sia stato messo all’indice».