Recensione al volume L’Aquila, Progetto C.A.S.A. - Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili. Un progetto di ricostruzione unico al mondo che ha consentito di dare alloggio a 15.000 persone in soli nove mesi dal terremoto del 6 aprile 2009, a cura di Roberto Turino, Editore IUSS, € 20,00
“Nevicava ma sembrava primavera”. Queste parole dell’ideatore del Progetto C.A.S.E. sintetizzano in modo incisivo l’epopea ingegneristica vissuta nel post-terremoto aquilano dai realizzatori del progetto, un’avventura “eccezionalmente singolare” descritta con grande dettaglio di particolari nel recente libro “L’Aquila- Il Progetto C.A.S.E. - Un progetto unico al mondo che ha consentito di dare alloggio a quindicimila persone in soli nove mesi”.
Il volume, curato da Roberto Turino, è prodotto e pubblicato da Eucentre (il centro di competenza del Dipartimento della Protezione Civile per la ricerca sismica) tramite la sua casa editrice IUSSpress, ed è disponibile nelle librerie Feltrinelli al modico prezzo di 20 euro perché finanziato dai Costruttori ForCASE , cioè dal gruppo di imprese protagoniste della ricostruzione in Abruzzo (altrimenti costerebbe 7-8 volte di più).
Per i nostalgici dell’architettura, dell’ingegneria e dell’urbanistica degli anni ’60, il libro è di sicuro interesse. Al contrario, per coloro che non rimpiangono le sfide di quegli anni infelici (“la diga più alta”, “il ponte più lungo”, “l’impianto più potente”), che tanto hanno contribuito alla devastazione del nostro paese, ai grandi scempi urbanistici e allo sventramento e all’abbandono dei centri storici nonché alla crescita incontrollata di periferie metropolitane, le 500 fotografie, le 200 immagini e i disegni tecnici contenuti nelle 430 pagine di questo volume, sono una doppia ferita culturale e umana.
Il volume, perfettamente rifinito sotto il profilo editoriale, potrebbe essere brevemente liquidato come un eminente esempio di cultura ingegneristica superata dal tempo. Le immagini non lasciano dubbi. La povertà architettonica e l’estetica cimiteriale delle costruzioni, la disarmonia con il contesto, il consumo di territorio, l’eccesso ingiustificato e costosissimo di “sicurezza” , la rovina del paesaggio, le incoerenze urbanistiche balzano agli occhi di chi sfoglia le pagine, e il primo istinto è quello di non proseguire. Un sinistro passato che ritorna e un futuro già contrassegnato non sono sopportabili. Ma, poiché, come recita il testo: ”Questo è un libro di pubblicità. Di pubblicità della capacità italiana di costruire e gestire imprese impossibili” , destinato a girare in Italia e nel mondo, non si può non spendere qualche parola sulla retorica del “miracolismo ingegneristico” che impregna ogni pagina del libro. Miracolismo italiano che, nel Progetto C.A.S.E., avrebbe trovato la sua massima espressione facendo di questo progetto, come recita il sottotitolo “un modello unico al mondo”. Il volume è perciò già oggetto di propaganda in Italia e all’estero per potere vendere (come già fatto ad Haiti) il “modello L’Aquila” (così viene definito!) di ricostruzione dopo le catastrofi.
Il testo è un inno, un canto di vittoria, che va letto in crescendo. L’introduzione di Guido Bertolaso dà il via. Anche se spiazza un po’ il lettore (per ben due fitte pagine vengono elencate le tante critiche che il lettore potrebbe muovere al progetto: altissimi costi, invadenza, compromissione del territorio, ecc.) è evidente però che, nel suo caso, il canto della vittoria è anche e soprattutto un tentativo di “difesa”.
Segue poi la presentazione dell’“idea”, orgogliosamente rivendicata come propria dal direttore di Eucentre Prof. Ing. Gianmichele Calvi, che, in una nota, precisa di avere ricevuto il compenso lordo di 64.800 euro e un rimborso spese di 13.935 euro (pur essendo il motore di “tutto”). Il linguaggio ingegneristico è quello tipico degli anni ’60 (“gli edifici sismicamente più sicuri mai costruiti in Italia”, “mille viaggi di betoniere al giorno”, “il mondo ha ancora bisogno di Costruttori”, ecc.). Il Progetto C.A.S.E. è presentato soprattutto come una “sfida di ingegneria” e di “sfide nella sfida”: sfida della tecnologia e della sicurezza sismica, sfida della logistica, sfida della qualità e della sicurezza, sfida dell’energia e dell’impatto ambientale, ma, soprattutto “sfida della velocità”. “Velocità, velocità, velocità”, così inizia un paragrafo che riporta ancora più indietro negli anni, a Marinetti, ad esempio.
Poi si descrive in dettaglio il “progetto “ (si apprende, per inciso, che il progetto dei giardini è degli architetti di Milano 2); si passa quindi alla “ realizzazione”, ai “cantieri”, alle diverse “tecnologie” impiegate (“che non si conoscevano e che hanno vissuto matrimoni d’amore e di interesse”), e infine ai“risultati”.
Alla magnificenza sulla qualità dei lavori, si aggiungono, per certificare la quantità e la trasparenza, i numeri, spesso a otto-nove cifre che riguardano le ore lavorative, gli importi di gara, il numero dei verbali, le tonnellate di ferro, i metri quadri di casserature , i metri cubi di calcestruzzo, i metri lineari di tubazioni, ecc. ma anche il numero delle tovaglie, dei piatti, delle forbici e delle grattugie… Per non parlare della galassia dei numeri sugli isolatori. Insomma, “una risposta per ogni domanda”, come, per l’appunto, dice Guido Bertolaso nell’introduzione. Certo, i “nemici” potrebbero obiettare che qualche numero è stato dimenticato, per esempio: quanto è costato il Progetto C.A.S.E. prima che il terremoto avvenisse, visto che già si trovava nel surgelatore e che è stato proposto agli amministratori locali solo due giorni dopo?
Poi si descrivono anche “le intenzioni “ e “le persone”. E qui, ci sarebbe da restare commossi di fronte alle parole poetiche usate per indicare la passione per i terremotati, l’entusiasmo di squadra, il timore e il tremore di fronte all’eccezionalità dell’impresa, l’orgoglio, e infine la speranza di raggiungere l’alto traguardo e di avere “la splendida ricompensa di un sorriso e di un grazie da parte di chi aveva perso la propria abitazione e, purtroppo, non di rado anche congiunti o amici a causa del terremoto”.
“Nevicava, ma sembrava primavera”, esclama il Prof. Calvi ricordando i volti sorridenti degli abitanti quando uno degli edifici fu sottoposto alla riproduzione di un possibile evento sismico reale.
Ma come non ricordare anche il triste finale degli schizzi di fango gettati sul Capo del Dipartimento nel febbraio 2010 e che hanno infangato anche l’ideatore e i realizzatori del Progetto C.A.S.E.? Il volume si chiude descrivendo appunto il mesto passaggio “Dall’orgoglio alla vergogna, immeritata”.
Alle tante ragioni espresse partendo da altre ottiche (storica, sociale, urbanistica, economica), o alle tante ragioni che riguardano punti specifici (molto ad esempio ci sarebbe da dire sull’impiego di isolatori, non molto innovativi ma soprattutto molto costosi ed eccedenti in sicurezza per semplici palazzine a tre piani), la ragione più evidente, dalla prospettiva della cultura ingegneristica, è che il Progetto C.A.S.E. rappresenta un vero e proprio ritorno all’indietro. Per chi ha seguito l’evoluzione dell’Ingegneria degli ultimi 50-60 anni, non solo non è un progetto innovativo, ma è un esempio di rivoluzione culturale al negativo. Nasce da un’ideologia del “moderno” e della “dismisura” di 50 anni fa. Usa lo stesso linguaggio ingegneristico di allora, un linguaggio, che, a partire dalla fine degli anni ‘70, è stato superato dal linguaggio dell’”incertezza” e della “complessità”, espressione di un’ingegneria più umile, più responsabile, più attenta alle leggi della natura, alle regole della tutela e della conservazione, a ciò che può dare benessere e felicità a tutti, e cioè paesaggio, monumenti, attività produttive, e tutte le espressioni di una civiltà e di una cultura del territorio. Un ingegneria che non per questo è necessariamente inefficiente, anzi tutt’altro se si pensa che, con le tecnologie di allora, le abitazioni semipermanenti dopo il terremoto del Friuli furono costruite in 15 mesi, cioè solo sei mesi in più che a L’Aquila, senza invece lasciare tracce sul territorio.
Il Progetto C.A.S.E. è un ritorno all’ingegneria che rimuove l’idea di complessità, all’ingegneria violenta, prepotente, aggressiva, senza freni, che vede un nemico nella natura, autorefenziale, che si muove con destrezza violando leggi e regolamenti, è un ritorno all’ingegneria dei miracoli, dei grandi numeri, dell’onnipotenza, che persegue interessi e vantaggi aziendali, incollata al presente, senza memoria, che non conosce il normale scorrere del tempo, che ignora l’interesse collettivo, che esprime energia e vitalità per nascondere la povertà culturale (e naturalmente i sottostanti interessi) e che per apparire al passo coi tempi, usa tutte le parole dell’avversario (“rispetto del territorio”, “ecosostenibilità”, persino “economicità” e “risparmio di suolo”) per svuotarne la carica critica.
Un’ingegneria che è una minaccia per il nostro paese, come appunto questo libro dimostra.
Firenze 28.01.2011