il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2017. «Duecento km di costa gravemente inquinati dagli scarichi dell’acciaieria Formosa, colosso di Taiwan costretto a scuse pubbliche. Puniti anche 8 leader politici». (p.d.)
In Vietnam non era mai accaduto che un ministro, due vice ministri, un leader provinciale nonché membro del parlamento più altri otto amministratori locali fossero sbattuti sulla prima pagina del sito web del governo e indicati come i responsabili politici e amministrativi della più grande tragedia ambientale che il paese abbia vissuto: l’inquinamento di 200 chilometri di coste con l’immediata e visibile distruzione di oltre cento tonnellate di pesce, la morte di tutti gli allevamenti ittici, la scomparsa delle saline, oltre allo stop per mesi e mesi del turismo e di tutte le attività collegate al mare. Gli incolpati sono stati tutti “irresponsabili nel loro ruolo di dirigenti, non sono stati buoni amministratori, hanno omesso controlli e ispezioni”. Per questo l’ex ministro delle Risorse Naturali e dell’Ambiente Nguyen Minh Quang è stato ufficialmente ammonito, i due ex vice ministri Nguyen Thai Lai e Bui Cach Tuyen non potranno mai più fregiarsi del titolo governativo, e il leader della provincia di Han Tin e deputato nazionale Vo Kim Cu è stato sospeso dal Parlamento e destituito da tutti gli incarichi periferici. Gli altri 8 sono stati tutti trasferiti ad altri uffici, in modo da tenerli ben lontani da qualsiasi pratica che riguardi un impianto di produzione di acciaio della società taiwanese Formosa, un investimento da 20 miliardi di dollari.
Furono proprio i rifiuti della lavorazione, un micidiale miscuglio di acque ad alta concentrazione di cianuro, fenolo e idrossido di ferro, a causare il disastro ambientale che ha colpito direttamente le attività di 260 mila vietnamiti. Era il 6 aprile 2016, quando sulle spiagge della provincia di Ha Tin, dove ha sede la Formosa, cominciarono ad arrivare le carcasse di decine di migliaia di pesci e di crostacei. Nei giorni successivi il fenomeno si allargò a sud fino a interessare altre 3 provincie per 200 chilometri di costa. Fu la paralisi, nessuno andò più in mare e la pressione per sapere le cause del disastro fu giorno dopo giorno sempre più forte, con i timidi e controllati media vietnamiti scatenati a inseguire le ipotesi più diverse e a indagare sul campo con i cronisti che si fecero subacquei per trovare una risposta e il governo che prometteva di far luce rapidamente e rinviava ogni dichiarazione ufficiale.
Fino a quando, il 30 giugno 2016 e senza che la tensione fosse diminuita intorno al caso, fu proprio l’ex ministro dell’Ambiente Ha, con accanto l’ex premier Nguyen Xuan Phuc, il coordinatore del governo Mai Tien Dung, ad essere il protagonista di un colpo di scena accuratamente preparato. In apertura di conferenza stampa, fu proiettato un video in cui il presidente del consiglio di amministrazione della Formosa, Tran Nguyen Thanh, circondato da tutti i dirigenti dell’azienda, si inchinava davanti alla telecamera e ammetteva: “Ci assumiamo ogni responsabilità e chiediamo scusa al Vietnam”. A seguire, l’impegno di pagare un indennizzo di 500 milioni di dollari per i danni.
Si chiesero in molti se la punizione fosse troppo lieve e il ministro dell’ambiente rispose con queste parole: “Mai colpire un uomo quando è già a terra”. Tanta magnanimità si fonda sul potere che il governo vietnamita ha di agire ancora in qualsiasi momento contro Formosa: può cominciare un processo criminale (non ci sono stati solo i pesci morti, ma anche decine di casi di avvelenamento di uomini donne e bambini che hanno mangiato pesce prima che scattasse il divieto totale), così come, di fronte alla violazione dell’obbligo di non scaricare più in mare veleni industriali, può scattare la requisizione dell’intero impianto industriale.
Con l’annuncio che le responsabilità del disastro ambientale erano dell’azienda taiwanese, il governo di Hanoi ha ottenuto una serie di risultati politici. Il primo, di natura esclusivamente interna, mostra ai vietnamiti che nonostante la lentezza con cui si è mosso chi guida il Paese, si è arrivati alla verità e le migliaia di persone che sono rimaste senza lavoro nel settore della pesca, del commercio ittico, della produzione del sale marino e del turismo hanno ricevuto un indennizzo che in media vale 2 mila dollari a persona. Il governo e il partito comunista hanno oggi chiarissimo che la questione ambientale può mettere in discussione la stabilità dell’assetto istituzionale: nei giorni successivi all’avvelenamento furono molte le manifestazioni di protesta seguite da incidenti tra manifestanti e polizia.
Altri risultati riguardano la politica degli investimenti stranieri e le relazioni internazionali. In futuro, chi vorrà investire in Vietnam, nazione che ha attirato nel 2016 quasi 22 miliardi di dollari in investimenti dall’estero, non lo potrà fare a scapito dell’ambiente o pensando che autorità locali e nazionali possano chiudere un occhio di fronte all’uso sconsiderato se non criminale dell’ambiente. E i funzionari e amministratori vietnamiti che dovessero facilitare azioni illegali delle compagnie straniere sono avvertiti che rischiano grosso.
Infine, il messaggio ai Paesi vicini è che il governo di Hanoi controlla tutto quello che succede nelle acque territoriali e nessuno può violarle. Destinatario numero uno di questo messaggio è il governo di Pechino che da anni persegue una politica di espansione nel Mar della Cina meridionale molto al di fuori delle sue acque territoriali.
La vicenda della Formosa ha avuto un riflesso anche nel mondo dell’informazione vietnamita, controllata interamente dal Partito comunista e dal governo, ma dove esiste comunque un dibattito cauto ma serrato sul rapporto tra informazione, potere e cittadini. A rivelare come quelli ambientali siano sicuramente temi sensibili delle scelte politiche ed economiche, è stata un’analisi apparsa su Vietnam News, il quotidiano in lingua inglese. A fine aprile, in un’analisi a firma Thu Van, sono stati evidenziati i problemi di un evento del genere. Chi deve cercare la verità? Possono farlo i giornalisti che si sono trasformati in investigatori invece che essere solo il passaggio finale dei messaggi del partito? Ed è possibile che in un paese che corre velocemente verso lo sviluppo non ci sia un’agenzia indipendente che si occupi dell’ambiente e che possa intervenire immediatamente senza aspettare il via governativo? Sono domande che dimostrano la voglia di discutere su tutto quello che accade senza attendere alcun permesso.
Ad innescare tute quelle domande fu sicuramente la sortita di un dirigente della Formosa che lavorava negli uffici di Hanoi. Alle prime domande dei giornalisti, che avevano individuato uno dei possibili responsabili nell’impianto industriale, Chou Chun- fan se ne uscì con questa affermazione al microfono della stazione televisiva statale VTC14: “Voi vietnamiti non potete avere tutto, dovete scegliere se pescare pesci e gamberi o possedere una fabbrica di acciaio super moderna”. Nel giro di poche ore arrivarono le scuse e il licenziamento di Chou Chun-fan, mentre il governo gettò acqua sul fuoco dicendo che sì, forse l’avvelenamento poteva essere causato dagli scarichi industriali, ma quella era solo una ipotesi. Invece era assolutamente vero.